LETTERATURA: I MAESTRI: Africa di Stanley21 Novembre 2017 di Paolo Monelli E’ uscita di questi giorni la traduzione dell’opera di Stan ley, How I found Livingsto ne, che quando fu pubblicata, l’anno 1872, suscitò la curio sità di lettori in ogni parte del mondo; e non mancarono ac cuse all’esploratore, di incre duli o di malevoli, di avere inventato buona parte delle sue straordinarie esperienze, poi confermate dai diari di Livingstone e da documenti originali (Henry M. Stanley, Come trovai Livingstone, ed. Gherardo Casini, Roma, 1969). Il bel volume riprodu ce gli efficacissimi disegni del l’originale, che come appare da quanto scrive lo Stanley al capitolo 26 debbono essere tut ti di sua mano, per quanto né l’edizione originale né la tra duzione facciano menzione al cuna del nome del loro autore. Riassumo in fretta per quei rari lettori ai quali i nomi di Stanley e di Livingstone pos sano suonare nuovi, gli avve nimenti da cui l’opera è na ta. Un missionario ed esplora tore scozzese, David Living stone, partito nel 1840 per l’Africa Centrale e rientrato in patria sedici anni più tar di (1856) dopo avere percor so in lungo e in largo quel continente, in regioni dove prima di lui non s’era mai visto un uomo bianco, e ave re scoperto laghi montagne e fiumi ed uno dei più grandiosi fenomeni naturali, le gigantesche cascate del fiume Zambesi, ripartito per laggiù il ’58 e rimpatriato nel ’64, il ’65 era di nuovo nel cuore del continente nero; ed erano ormai due anni che non se ne avevano più notizie quel gior no d’ottobre del 1869 quando il direttore del New York Herald J. Gordon Bennett ri chiamò dalla Spagna un suo giovane inviato speciale che seguiva quei moti rivoluzio nari, e gli ordinò di partire per l’Africa Centrale con una sola consegna, trovare Livingstone. vivo o morto. Se vivo, dargli denaro e tutto quanto chiedesse per condurre a termine la sua missione; se morto, narrarne le ultime vicende. Stanley giunto il 6 gen naio 1871 a Zanzibar, dopo un lungo indugio in Asia di cui narra i curiosi motivi nel suo libro, e partito da Bagamoyo porto sull’Oceano In diano il 21 marzo 1871, il 10 novembre di quell’anno dopo 233 giorni d’un viaggio irto di rischi e di traversie d’ogni genere s’incontrava finalmente con Livingstone ad Ugigi sulle rive del lago Tanganica; e si svolgeva fra loro quel notissimo lapidario dia logo: « Doctor Livingstone, I presume? » « Yes ». E una stretta di mano, e un legge ro sorriso di Livingstone. (E‘ inutile ch’io dica che Stanley sapeva bene che nel raggio di centinaia di miglia non c’e ra alcun altro uomo bianco oltre a loro). Una decina di anni fa mi trovavo a Nairobi nel Kenya al tempo della ribellione dei mau mau. Avevo nella biblio teca dell’albergo una copia del libro dello Stanley; e in tre quattro sere me lo lessi tutto, con la foga, col rapi mento con cui avevo letto in altri tempi le storie di Erodo to e la favola degli Argonau ti. Pochi giorni dopo, a bor do di un aereo noleggiato dal signor de Amici rappresen tante della ditta Astaldi che costruisce strade in quel continente, comodissimamente ammirando dai duemila metri in tre quattro tappe di volo quella regione equatoriale che mi era sconosciuta, da Nairo bi ad Entelle nell’Uganda, a Stanleyville nel Congo, a Bukavu nel Ruanda-Urundi, e di nuovo ad Entelle, sorvolan do vastissimi laghi, crateri di erti vulcani fumanti di lava in fiamme, l’enorme intatta fittissima foresta congolese (« Virgin, I presume? »), mi tornavano alla memoria come un rimprovero i cento episo di della lenta marcia di Stan ley: il passaggio del fiume Ungerenge enormemente gon fiato dagli acquazzoni, gli uo mini immersi fino al petto sot to la pioggia battente per tra sportare i bagagli, cinque gior ni di affanni per uscire da! pantano, un focolaio di pe stilenze brulicante di fastidio si vermi, di vespe velenose, di schifosi esseri striscianti come nel vestibolo dell’inferno dan tesco, « abomination to memory »; il tormento delle mar ce pomeridiane per deserti senza vita sotto la sferza del sole; il portatore ammalato di vaiolo che stramazza a terra sulla pista ed è abbandonato a morirvi di fame e di sete; gli snervanti indugi all’anda re imposti dagli attacchi di febbre palustre che prostrava no il capo della carovana o manipoli di portatori e di ar mati. Una mattina a Stanleyville, mentre si faceva una succulen ta colazione nel parco dell’al bergo all’ombra delle grandi acacie servita da un boy in giacchetta bianca, vennero ver so di noi a prendere ordini i due piloti del nostro aereo; e il signor de Amici disse che oggi non ne aveva bisogno, saremmo forse partiti il gior no dopo, non avevamo furia, era delizioso il clima in quel la stagione. E rividi nella sua efficace narrazione lo Stanley roso dall’impazienza e dall’an goscia per una sosta forzata di tre mesi in una regione cor sa da una guerra fra tribù ri vali, costretto a studiare un nuovo itinerario per terreno mai prima percorso da alcuno per evitare masnade di predo ni sanguinari che terrorizzava no i villaggi. E mi vituperavo dentro di me, « che viaggiato re d’Africa sei, hai già vedu to in due tappe di volo come in una pellicola cinematografi ca più parte di Africa dì quan to non ne abbia visto lo Stan ley in nove mesi; sicuro del l’alloggio e del bar, con una automobile sottomano per vi sitare i villaggi indigeni nel l’ombra perpetua della fore sta; e potendo ascoltare, se te ne viene curiosità, le noti zie di eventi contemporanei da tutto il mondo ». (Lo Stan ley viaggiando con il ritrova to Livingstone da Ugigi verso oriente riceve da gente sua tornata dalla costa lettere e giornali vecchi di un anno, legge notizie da Parigi, « la Commune ribelle all’assem blea nazionale, le Tuileries, il Louvre in fiamme, le truppe francesi che trucidano uomi ni donne e fanciulli » etc; « quali efferatezze veniamo a conoscere nel cuore della bar bara Africa Centrale! », scrive nel suo diario). Viaggiare in Africa in quel tempo era veramente un’im presa sovrumana. Occorreva predisporre una complicata organizzazione che prevedesse tutti i bisogni; suppellettili tende, vesti, armi, barche, medicinali, strumenti astronomi ci, coltelli da macellaio, zappe, picconi, sapone zucchero caffè carne in scatola. Stan ley partì da Bagamoyo con una carovana di 172 persone fra cui due bianchi e un indiano, e una quarantina fra asini e cavalli; i quadrupedi e più di metà dei portatori non recavano altro che il denaro per il viaggio, ché non servivano allora con gli indigeni dollari o assegni, le sole monete di scambio per ottenere servizi o acquistare viveri o pagare i pedaggi ai cento ti-rannelli indigeni erano balle di stoffa, sacchi di conterìe e rotoli di grosso filo di ferro. Si andava a piedi, o tutt’al più a cavallo di una bestia che resisteva poche settimane al clima e poi crepava, del l’acqua di una fonte malsana o di vermi che ne divoravano le interiora. L’itinerario doveva essere inventato giorno per giorno, dirigendosi con la bus sola o lo stelle, giovandosi ogni tanto di piste di carova ne o di predoni che poi biso gnava abbandonare per mag gior sicurezza. La natura era ostile, feroce; bisognava con quistarsi ogni sera il luogo per collocare la tenda o trovar l’acqua, e predisporre le dife se dagli uomini e dalle bestie selvagge. Certo quei primi esplorato ri, giunti dopo mesi ed anni alla meta agognata, di fron te alla scoperta d’un lago di un fiume d’una altissima mon tagna non ancora indicata sul le carte, ad intatti paesaggi bucolici, ad una reggia barbarica come quella che accolse Livingstone, con una bellissima regina sontuosamente vestita, circondata da un cor po di gagliarde amazzoni ar mate di lancia, si sentivano ri compensati ad usura degli strapazzi, delle sofferenze, dei mali ricorrenti che li inchio davano per settimane sul lettuccio. Quando Stanley, giun to a poche ore di marcia da Ugigi sul Tanganica ove avrebbe finalmente incontrato Li vingstone, scorge da un pog gio il lago, « un riflesso ar gento fra i rami degli albe ri », è invaso da un giubilo così traboccante che gli can cella dalla mente i duecento e più giorni di tormenti di pene e di dubbi, si ritrova « allegro e felice come il gior no che lasciò Zanzibar »; e per la sua narrazione trova i più lucidi aggettivi, le espres sioni più tenere, più affettuo se per i colori del cielo e dei campi, per i floridi palmizi, per la folla dei negri che lo acclamano ridendo sganghera tamente. (Ma io quando tra svolai il lago Victoria, vasto come il Piemonte la Lombar dia e il Veneto riuniti, credo che fossi nello stato d’animo di quel modenese che giunto la prima volta in America, e subito portato da un amico pratico traverso tutto lo Sta to di Nuova York a vedere le cascate del Niagara, non tro vò altre parole di fronte allo spettacolo che queste, « bén, a l’è tott’acqua »; e scrissi an noiatamente nel mio libretto: « il lago Victoria, infinito pal lido azzurro fuso con l’oriz zonte, qualche vela. Dalla par te del sole groppe di isole emergono nere come il carbo ne contro una luce di cielo e di veli nebbiosi ». Oggi ciò che era fino a qualche generazione fa l’at trattiva principale del viaggio in paesi sconosciuti, l’imprevi sto, è quasi del tutto scom parsa, tutto è preordinato, quel poco di inatteso che ci è riservato non ha nulla di fantastico, sono solo le secca ture e i contrattempi per non aver trovata la camera riser vata all’albergo, per uno scio pero di treni o di aerei che manda a male gli appunta menti. Il viaggio nell’Africa non più misteriosa è quasi so lo pretesto di caccia, per il gusto di uccidere, per portare a casa una pelle o un paio di corna, nei limiti fissati dai re golamenti, agli ordini di un « cacciatore bianco » che as solda la scorta e stabilisce il luogo del sicuro agguato. Stanley cacciava per necessi tà, per difendersi dall’improv visa carica d’un bufalo o d’un leone, per procacciare carne fresca alla carovana, per te ner lontani gli animali dal l’accampamento; un giorno che i suoi uomini sono affamati, da un pezzo non si nutrono che di scarsi frutti dei campi, s’imbatte in un branco di’ giraffe e una ne uccide, e l’indigeno che lo accompagna è giubilante; « ecco buona car ne fresca finalmente, padro ne! », ma lui scrive nel suo diario: « ero addolorato nel vedere quel nobile animale di steso ai miei piedi; se avessi potuto rendergli la vita credo che lo avrei fatto ». Letto 1363 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||