Alla ricerca di Huckleberry

di Manlio Cancogni
[dal “Corriere della Sera”,  domenica 18 maggio 1969]
Mark Twain è l’unico scrit ­tore americano che abbia il no ­me di un suo personaggio stam ­pato sulle normali carte stra ­dali in uso negli Stati Uniti, quelle che il turista può avere gratuitamente da qualsiasi di ­stributore di benzina. E’ il solo scrittore ufficialmente legato (anche per la gente illetterata che si sposta di continuo per lavoro o per svago attraverso il territorio dell’unione) a una terra ben definita. Vicino ad Hannibal, sulla riva destra del Mississippi, nello stato del Mis ­souri, sta scritto in rosso: The Land of Huckleberry Finn. Nes ­sun altro personaggio della let ­teratura americana ha avuto fi ­nora quest’onore. Ed è proba ­bile che nessun altro l’avrà, al ­meno in un prossimo futuro.

Per raggiungere Hannibal, la via più comoda è andare a Saint Louis in aereo e risalire il Mississippi sulla riva destra, quella dello stato del Missouri. Dopo un centinaio di miglia, attraverso una campagna poco popolata, con grandi fattorie sparse fra terreni incolti e re ­sidui di boschi, si raggiunge la città.

In Vita sul Mississippi Twain raccomanda ai suoi connazio ­nali la via dell’alto Mississippi, da Saint Paul nel Minnesota. Aveva ragione, è il tratto più bello. Il fiume scorre ampio (molto più ampio che alla fo ­ce) e abbastanza chiaro, d’un verde oliva, fra rive acciden ­tate, sotto colline che agli abi ­tanti di quella pianura immen ­sa che è il Middle West sem ­brano montagne. Ma Twain scri ­veva Vita sul Mississippi nel 1883, e da allora il fiume è cambiato; la navigazione lungo il suo corso che lo scrittore trovava declinante rispetto al ­l’età eroica (prima della guer ­ra civile, quando lui stesso fa ­ceva il pilota) oggi, per quel che riguarda i passeggeri, è completamente scomparsa.

Io ho scelto la via di Chicago-Springfisìd, attraverso l’illinois, in maniera da sbucare sul fiume     all’improvviso, proprio davanti ad Hannibal che sta sulla riva opposta. Chicago pia ­ceva molto a Twain. Egli ama ­va il progresso, l’industria, le ferrovie, i telegrafi, la naviga ­zione a vapore, le banche, gli affari, i giornali. In quella cit ­tà vedeva il motore della gigan ­tesca trasformazione in atto, dopo la fine della guerra civi ­le, in tutto il Middle West. In questo senso credo che gli pia ­cerebbe ancora. Chicago conti ­nua a crescere, rapida, violen ­ta, senza badare alle macerie, anche umane, che si lascia die ­tro. Basta tornarci dopo una breve assenza per accorgersene. Si trovano nuovi grattacieli co ­me l’Hancocks, cento piani di un nero azzurro davanti al lago; la Michigan Avenue, specie in una giornata di sole, è più animata di Broadway; il cielo è attraversato dai jets che si alzano ininterrottamente, due al minuto dall’aeroporto di O’ Hare.

Chicago è un’ottima base di partenza per entrare nel mon ­do di Twain e di lì nel Sud. L’autostrada che parte dal cen ­tro della città, verso sud-ovest, percorre un lungo tratto sotto ­terra, ai piedi dei grattacieli di State Street e di Madison Avenue, e quando esce alla lu ­ce, in alto, come i binari del ­la elevated, si corre già sulla periferia che s’apre sotto a ven ­taglio. Mai vista una distesa di mattoni così sterminata e mi ­serabile. Casette a uno o due piani, un tempo abitate da gen ­te agiata, ora brulicanti di ne ­gri, vecchie, storte, decrepite; tuguri che s’ammassano nei ri ­quadri del piano stradale, a gruppi, isolotti, senza ordine né criterio, fabbriche, piccole, me ­die, grandi, tutte di un’altra epoca (le nuove sorgono altro ­ve) con le scritte in nero o in calce sui muri affumicati, i finestroni grigi, i vetri rotti; distese di ferraglia, detriti, ri ­fiuti che s’interrompono per dar luogo a qualche magro parco; qua e là un blocco di case po ­polari, casermoni di venti, tren ­ta piani, tetri e senza stile; e negri, negri, negri…

Ma già l’abitato comincia a interrompersi, si spezza, dirada, finisce: di Chicago restano alle nostre spalle le sagome dei grat ­tacieli grigi per la distanza sul ­la linea dell’orizzonte, e in al ­to, nel cielo sereno, le nuvo ­lette di fumo dei jets che gira ­no e girano sulla città aspet ­tando il turno di atterrare. Cor ­riamo nell’ampia pianura dell’Illinois, illuminata dal sole del pomeriggio verso sud-ovest. Una galoppata di oltre duecento mi ­glia fino a Springfield, la capi ­tale dello stato dove ha vissuto ed è sepolto Abramo Lincoln.

C’è qualcosa che accomuna Twain a Lincoln (oltre il na ­turale umorismo e la non me ­no naturale tristezza di fondo) anche se Twain, nato nel Mis ­souri, era sudista, e come tale, allo scoppio della guerra si ar ­ruolò nell’esercito confederato. Ma era poco convinto della causa del Sud, non gli piaceva la guerra, e dopo un mese di servizio abbandonò l’uniforme e i campi di battaglia, trasferen ­dosi più a ovest, sempre più a ovest. Era il vero uomo della frontiera, nato libero, ricco di senso pratico, indifferente alla disputa fra abolizionisti e schia ­visti ch’era la facciata di ben altri contrasti fra Nord e Sud. Anche Lincoln, considerato uni ­versalmente come l’apostolo dell’abolizionismo, pensava so ­prattutto all’avvenire dell’Ame ­rica. Non tanto il problema della schiavitù gli stava a cuo ­re quanto quello dell’unità. Te ­meva che dividendosi l’America sarebbe diventata, come l’Euro ­pa, un campo di rivalità e di battaglie fra stati sovrani de ­stinati prima o poi a degene ­rare nell’autocrazia e nel mili ­tarismo. Come Twain è stato il primo vero americano in let ­teratura, così Lincoln lo è stato in politica. Politicamente e let ­terariamente la nazione america ­na è nata con loro.

Springfield dista da Hannibal meno di cento miglia. Si abban ­dona l’autostrada per Saint Louis e si piega ad ovest, avan ­zando nella luce del tramonto in una campagna monotona, con rari ciuffi d’alberi su strade secondarie e scarsamente fre ­quentate. Scende il crepuscolo. All’orizzonte, contro il cielo di perla, si annuncia una cortina più densa di alberi. Si sente nell’aria la presenza di qual ­cosa di grande, come il respiro di un grosso animale che s’av ­vicina insieme a quei boschi, dietro quei boschi. Si entra nel folto, scuro, se ne esce di col ­po su un ponte di ferro: sotto c’è il Mississippi, largo circa un miglio che riverbera le ul ­time luci del giorno, e quelle nuove, brillanti dell’altra riva: la terra di Huckleberry Finn e di Tom Sawyer.

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