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LETTERATURA: I MAESTRI: Apollinaire e i pagliacci

18 Agosto 2018

di Giuseppe Raimondi
[da “La Nazione”, mercoledì 8 luglio 1970]

Prima di andare soldato, il mio interesse per la poesia mo ­derna francese mi aveva fatto entrare in rapporto con i poeti dell’avanguardia parigina. Quan ­do fui in guerra, classe 1898, non ricordo di preciso come, entrai in corrispondenza con il poeta Blaise Cendrars. Cendrars aveva già perduto il braccio de ­stro sul fronte di Champagne. Anche Guillaume Apollinare, ferito alla testa, aveva subito la trapanazione del cranio. Una scheggia di granata che lo ave ­va colpito alla tempia in una trincea presso Berry-au-Bac. Tra ­sportato a Parigi la guarigione procedeva a rilento. Tuttavia Apollinaire riprende a frequen ­tare gli amici, i compagni dei caffè letterari. Durante la con ­valescenza gli viene assegnato un ufficio presso la Censura del ­la Direzione dei rapporti con la stampa.

Collabora a Cabaret Voltaire, la rivista zurighese da cui nasce ­rà il movimento Dada. Si lega con Pierre Reyerdv che inizia la pubblicazione di Nord-Sud, rivista fortemente influenzata dal gusto, dalle preferenze este ­tiche di Apollinaire. E’ a questo momento, al principio del ’18, che Blaise Cendrars mi mette in rapporto epistolare con Apol ­linaire. Sono i giorni in cui Apollinaire sta per licenziare presso il Mercure de France il volume di Calligrammes. Me ne annuncia l’invio. Del resto con ­tinuavano a giungere all’indiriz ­zo di casa, a Bologna, i libri, le placchette, i cataloghi di mo ­stre che i due poeti di Francia spedivano puntualmente al gio ­vane italiano, aspirante poeta distaccato in servizio militare come soldato del 2.o Genio Zappatori in zona di guerra.

La corrispondenza scambiata con i due amici francesi è qua ­si la sola traccia e testimonian ­za di quella mia acerba voca ­zione letteraria. Tentando di mettere in carta le mie parole e immagini di vaga tendenza « cubista », respiravo l’aria ve ­nuta dalle pagine di Cendrars e di Apollinaire. Mi ero già provato in alcuni componimen ­ti, ripeto di imitazione timida ­mente cubistica, nel medesimo incerto cubismo poetico dei pri ­mi tentativi di Raymond Radiguet. Uscirono, quelle mie co ­se, fra il ’17 e il ’18 in una ri ­vista: Avanscoperta che amici pubblicavano a Roma. Vi ap ­parirono, fra gli italiani, cose di De Chirico, di Savigno, di Folgore, di Giorgio Vigolo. E per la mia intromissione alcuni dei Poèmes Élastiques di Cen ­drars e una poesia, restata ine ­dita fra le mie carte, di Apolli ­naire. Intitolata A l’Italie, in ­viatami con lo spirito patriotti ­co del tempo di guerra, da com ­pagno d’armi a compagno d’ar ­mi. Vergata col solito inchiostro viola nel retro dell’invito di una mostra della Galerie Haas & Gros di Parigi.

Presero a circolare, fra la zo ­na di guerra italiana e Parigi, lettere e carte postali in fran ­chigia. Chiesi ad Apollinaire di procurarmi la raccolta di Les Soirées de Paris. La storica ri ­vista in cui, di fianco alle poe ­sie e prose di Max Jacob, di Cendrars, di Savigno, di Soffici, venivano rivelate le opere del ­la pittura francese. Da Matisse a Braque, da Henri Rousseau a Derain, a Picabia, a Léger, insomma i maestri dell’École de Paris. Quella che Apollinaire medesimo chiamò col nome del ­l’« Esprit nouveau ».

Ed ecco la storia di Apolli ­naire e di Bologna. Mi aveva parlato della sua partecipazione alle riviste dell’avanguardia let ­teraria, quelle che egli stesso fomentava, come Nord-Sud e Sic. Mandò Calligrammes e una copia di Les mamelles de Tirésias, la specie di parodia laforguiana per un genere di teatro surrealista che poi non è sur ­realista, ma quasi teatro per marionette laforguiane.

Finché mi giunse la lunga let ­tera datata samedi, che era, se ­condo il timbro postale, il 22 febbraio 1918. Sono due fogli, quattro facciate scritte sulla car ­ta dell’Hòpital du Val de Grace, Villa Molière, 57 Bd. Mont-morency, Paris. Fu il giorno che all’improvviso si era ricor ­dato, attraverso me, della sua infanzia italiana. Ne ricopio la prima pagina.

Mon cher ami â— dice â— il arrive souvent que je ne vous réponde pas parce que la vìe est beaucoup plus violente à Paris qu’à Bologne. Je me souviens avec précision de Bologne, je devais avoir trois ou quatre ans, j’y ai eu ma première, ma plus grande, ma véritable frayeur. C’était à une féte, une sorte de foire, avec des baraques de paillasses. J’étais avec ma mère et mon petit frère. Ma mère pour nous amuser voulut nous faire assister à un spectacle dans une baraque devant laquelle nous venions de voir la Parade. Mais il n’y eu pas moyen de me faire entrer, les paillasses m’avaient fait peur. Ils sont restés pour moi quelque chose de mystérieux et ce sentiment je l’ai semé dans l’í¢me de Picasso où il a germé en oeuvres merveilleuses. C’est à Bologne aussi que fai commencé à apprendre à lire, mais douloureseument car j’avais hor-reur de cela. Mais j’y pris goût dès que je commení§ai à savoir et ce fut, cela, à Turin.

J’ai d’autres souvenirs de ce sejour à Bologne. Je vous les dirai une autre fois…

Nella lettera si racconta dun ­que che il piccolo Guillaume, di tre o quattro anni, capitato a Bologna con la madre e il fra ­tello Albert, fu portato ad una specie di fiera, e si trovò da ­vanti a baracconi di circo, in uno dei quali si esibiva sulla passerella una fila di pagliacci. La vista degli strani personag ­gi in vesti di buffa rappresen ­tazione provocò « paura », una inesplicabile e profonda paura nel ragazzo. Non fu possibile farlo entrare nella baracca di legno e di tela dipinta di co ­lori violenti. Già la « parade » inaspettata lo aveva sconvolto. Chissà cosa significò per lui la visione di quegli esseri viventi in cenci e toppe, gli occhi gri ­danti, le facce truccate nel ges ­so e coperte di tatuaggi rossi, neri, verdi. E soprattutto, sotto questi stracci di una emblema ­tica di comicità assurda e di dolore, l’avvertire penoso della sostanza di una verità umana che vi era nascosta.

La « foire » doveva svolgersi sullo spiazzo dell’antica Monta ­gnola bolognese, destinata a que ­sti spettacoli, sullo sfondo del ­le basse e povere case del tem ­po. Un luogo che, a noi ra ­gazzi, sembrava risuonare anco ­ra, quando vi entravamo, dei colpi quarantotteschi di fucile scambiati fra il popolo di Bo ­logna e le truppe austriache mes ­se in fuga.

Quei « paillasses » apparsi al ragazzo di tre o quattro anni dovettero restare come traccia di ferita umana nel cuore e nel ­la mente di Apollinaire. Difatti egli aggiunge nella sua lettera che: «… sono rimasti per me come qualcosa di misterioso », e questo sentimento, egli dice, « … io l’ho seminato nell’animo di Picasso dove ha germogliato in opere meravigliose ».

Se l’informazione è giusta, e non può non esserlo, sul piano poetico e su quello umano, è curioso ricavare la conclusione che, da quell’incontro del picco ­lo Guillaume coi primi pagliac ­ci, visti da lui quasi in istato di meraviglia e di paura, sia derivata, come racconta, per l’opera di Pablo Picasso un mondo di soggetti pittorici, cui Picasso diede vita nel periodo rosa e nel periodo blu della sua arte. Un’arte che ha fatto lunga strada nella vicenda del ­la pittura moderna. La poesia di Francia ritrovava le radici in quel fondo di ripiegamento pa ­tetico che dalle maschere di Watteau era rifluito nella fan ­tasia claunesca di Jules Laforgue, non senza mostrare il viso di stupefatto dolore nei motivi di parade e di circo di Georges Seurat.

 

 


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Bart