LETTERATURA: I MAESTRI: Bono Giamboni precursore di Dante18 Ottobre 2018 di Alfredo Schiaffini Siamo in grado di indicare oramai chi si può salutare co me il più grande prosatore to scano del Duecento. E’ Bono Giamboni, di famiglia fioren tina, uomo di toga e di lette re, che dai documenti d’archi vio risulta più volte giudice del podestà (già il 1261) nella Cu ria del sestiere di Por San Pie ro. Della principale delle sue opere, il Libro de’ Vizi e delle Virtudi, che è anteriore di mol ti anni alla prosa della Vita Nuova e si unisce ai precedenti modelli più vicini alla Divi na Commedia, si possiede final mente, uscita in luce prima della fine del 1968, l’edizione critica il più possibile perfet ta, per le cure di un filologo della perizia di Cesare Segre e per i tipi di Giulio Einaudi. L’eccellente edizione, che com pare in una raccolta di classici diretta da G. Contini e include anche un Trattato di virtù e di vizi (già scoperto da Michele Barbi nel 1904, ma rimasto ine splorato e che del Libro è la prima redazione), si fonda su tutti i manoscritti reperibili ed è arricchita di un vasto com mento e di un prezioso indice-glossario. Il commento illumi na gli aspetti linguistici del l’opera, allietando i glottologi, e segnala le fonti a cui Bono ha attinto, latine e volgari. Fino all’edizione del Segre, e dopo il 1836, quando P. Tassi pubblicò, a Firenze, il Libro de’ Vizi e delle Virtudi in for ma non accurata e col titolo arbitrario di Introduzione alle Virtù, l’opera di Bono viveva nell’oscurità, e di lui si badava, anche con intenti puristici, ai volgarizzamenti piuttosto che alle scritture originali. Ma già Santorre Debenedetti, filologo dei più addestrati per dottrina e severità di metodo, si faceva a indagare la vita del giudice prosatore, e così determinava l’importanza dei suoi volgariz zamenti e rimaneggiamenti: « Nel quadro della cultura fio rentina, dopo Ser Brunetto, conviene proprio ricordar lui, il nostro Giudice. Traduttore in solenni periodi, apre la schiera dei forti volgarizzatori che dif fondono mirabilmente il tosca no e preparano l’avvento del Decameron. Uomo di legge e letterato, favorisce anch’egli il laicizzarsi della dottrina, il suo divenir popolare »: vale a di re, come altri scriverà, procura « di ordinare e attualizzare una cultura etico-religiosa ad uso della borghesia comunale ». Stretto al Debenedetti, di cui ha assimilato passione e me todi (si intende, ulteriormente perfezionandoli), appare Cesa re Segre, che nella densa e complessa introduzione al te sto critico delinea con mano maestra la figura di Bono Giamboni, rispetto ai caratteri della cultura e della lingua del Duecento. Il Libro de’ Vizi e delle Vir tudi si collega dunque con una tradizione illustre che da Ala no di Lilla arriva a Brunetto Latini, dall’Anticlaudianus al Tesoretto. E’ un romanzo alle gorico, â— o, come dice moder namente Maria Corti, saggisti co, â— formato di esposizioni dogmatiche e morali che si in seriscono in una struttura nar rativa. (Eleganti e dotte le re lative pagine del Segre). Cro nologicamente, il romanzo vie ne collocato nell’ambito di Fi renze, tra il Tesoretto, al cui schema molto si accosta, e la Somme le roi nella volgarizza zione di Zucchero Bencivenni, alla quale fornisce proprie fra si e perfino pagine intere. Così Brunetto, Bono e Zuc chero, tra loro congiunti da uniforme attività e da somi glianza di temi (che, pur infe riori, lasciano pensare alla Di vina Commedia), costituiscono il triumvirato predantesco del la Firenze del Duecento. E se negli scrittori fiorentini del tempo si avverte una « tenden za pedagogicamente nazional popolare », la loro cultura è certamente, quanto a materia li, arretrata, ma comunque si mostra « progressista nell’impo stazione etico-politica laica »; e per il ricorso a testi divulga tivi meglio che alle opere più originali del pensiero duecen tesco, riesce accessibile a quan ti esigevano un insegnamento pratico. Questo era diretto, in realtà, a un pubblico di ban chieri e commercianti e di pic coli imprenditori. La nuova dottrina morale doveva favori re, non infrenare, l’attività ci vile, e non poteva non fare po sto, oltre che al pensiero tra dizionale, alle raffinate mode della cavalleria e cortesia dif fuse dalla Francia, nazione cosi progredita. Brunetto pertanto, vissuto in Spagna e Francia, è evidentemente più cosmopolita di Bono, e mescola il Roman de la Rose e il De planctu Naturae: mentre Bono resta più avvinto alle dottrine della tra dizione, anche se non è estra neo a quell’influsso cavallere sco che doveva risentire per il tramite dei romanzi, come al Segre sembra provato dalle descrizioni di battaglie nel Li bro e nel volgarizzamento di Orosio. Nei riguardi tuttavia del lin guaggio, Bono si presenta più moderno di Brunetto: non ade risce, come accade per i sette nari del Tesoretto, alle conven zioni di un genere accettato, ma crea invece la prosa nuova di un romanzo allegorico, la quale prende spicco di fronte ai tipi di oratio soluta della se conda metà del Duecento: che sono la prosa didattica, scien tifica e morale, estranea alle ricerche di stile, e quella nar rativa, quasi sempre conven zionale e uniforme (ove si ec cettuino la rapidità e la con cisione del Novellino), la pro sa giuridico-politica che si con forma alle regole dell’Ars dictandi, e quella delle lettere di Guittone, eloquente e carica di tutte le malizie retoriche. Bono Giamboni, secondo spiega e conclude Cesare Segre, « conce pisce per primo il disegno di forgiare una prosa d’arte adat tabile a un contesto insieme narrativo, didattico ed elo quente »: la prosa appunto del Libro de’ Vizi e delle Virtudi
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