di Carlo Cassola
[dal “Corriere della Sera”, domenica 22 febbraio 1970]
Mi é difficile parlare di un romanzo che è sta to scritto sette anni fa. Ca pisco che sia stato difficile anche per i critici: per quelli, almeno, che non si limitano a dar conto di un libro, ma vogliono intenderne la collocazione rispet to agli altri.
Sette anni fa avevo in testa una narrazione con molte situazioni e nessuna storia. Per di più queste si tuazioni avrebbero dovuto essere legate tra loro da fi li molto tenui: il principa le, la ferrovia, e precisa mente la ferrovia locale, cioè il servizio locale fat to dai treni.
Era un progetto lettera rio preciso, ma per passa re alla fase della realizza zione dovevo disporre al meno della situazione ini ziale (fiducioso che le al tre sarebbero germinate facilmente da questa pri ma). Pensai che potesse andar bene quella di tre vecchi amici che si ritrovano ogni mattina su un treno che fa servizio loca le. Sono ancora giovani, ma già presi dall’ingranag gio delle responsabilità e del doveri (lavorano, han no famiglia). Uno dei tre, Mario Mansani, cerca di tenersi su. Ottimista, soddisfatto di sé, si considera ancora un giovanotto. Ed è per sentirsi ancora un giovanotto che decide di ricercare una certa Gio vanna, con cui diversi anni prima aveva avuto una avventura.
Per Mansani, e anche per me, doveva trattarsi solo della ripetizione dell’avventura. È quello che il personaggio pensa subito dopo il primo incontro: «Tutto a posto: l’avventura non aveva lasciato traccia ». Invece, ha già co minciato a incidere nell’animo di Mansani. Così, egli finisce col restare im pigliato in una relazione che non era affatto in pro gramma: né per lui né per me.
Accantonato il progetto di Ferrovia locale, dovetti rac contare Una relazione. Ma una volta scritta, la lasciai nel cassetto: ai miei occhi era colpevole d’avermi di stolto dalla realizzazione di un progetto a cui tenevo molto.
La storia è raccontata dal punto di vista dell’uo mo, secondo un procedi mento narrativo già speri mentato nel Soldato. Di Giovanna si sa solo quel lo che ne sa o ne intuisce Mario Mansani: che non è molto perspicace. Ma è la figura della donna che fi nisce col campeggiare nel romanzo, e proprio perché è vista a sprazzi.
I critici sono stati una nimi nel constatare che la donna ha più risalto del l’uomo, anche se occupa meno spazio. Sono stati però tutti un po’ ingiusti nei confronti dell’uomo. Lo hanno visto come un per sonaggio pesantemente ne gativo, capace al più di qualche momentaneo so prassalto della coscienza, destinato ad acquietarsi subito nella compiacenza di sé. Ecco una serie di giu dizi su Mario Mansani: « La virilità di Mario… è… un atteggiamento di faccia ta » (Luigi Baldacci, Epo ca); « …il suo torpore af fettivo, la sua limitatezza, il suo egoismo dissipato so lo a tratti… La sua medio crità morale è il dato più mordente del libro » (Giu liano Gramigna, Corriere d’informazione); «Ora il caso riconduce Giovanna a Mario, che ritrova l’antico desiderio mescolato al me diocre incentivo di un provinciale e sporadico galli smo » (Claudio Marabini, II Mondo). Per Carlo Bo (Corriere della Sera), Mansani è addirittura « un cuo re insensibile » : e lo stesso pensa Renato Bertacchini (Gazzetta di Parma), non esitando a smentire la stes sa Giovanna, che almeno questo merito gliel’ha rico nosciuto a Mario, di esse re buono.
Anche la scena finale è tutta interpretata a sfavo re di Mansani: «Sono passati molti anni. Mario, re duce dal fronte e dalla guerra partigiana, incontra Giovanna su un carro bestiame. Si è sposata, è ri masta vedova con una bambina, ma ha avuto giorni felici e non accenna nemmeno all’antico lega me. L’uomo, immutato do po tante esperienze, ne prova dispetto, quasi ran core. « Così Lorenzo Mon do (La Stampa); e Carlo Bo : « …abbiamo detto che la chiave della storia sta nella conclusione rallenta ta. Mario rimane lo stes so, legato alla vanità, al l’illusione che Giovanna ha amato solo lui. E di fron te alla scoperta della verità, che cioè Giovanna ha amato un altro, il marito, e forse lo ha amato di più, non è in grado di afferra re la situazione e si chiu de nel suo miserabile sta to di vincitore della vita (beninteso, di vincitore ap parente) ». Un po’ più in dulgente col povero Mansani è Claudio Marabini, che trova « patetico » il suo egoismo.
Almeno questo gli anda va riconosciuto, di essere un personaggio patetico. E patetico proprio nella sua apparente sicurezza e sod disfazione di sé.
Va bene, è un mediocre; ma perché dargli anche dell’insensibile? C’è un punto a cui nessuno dei critici che ho letto ha pre stato attenzione: tutto ha origine dal fatto che Mansani decide di ricercare Giovanna. Non è certo l’a more a spingerlo; ma per ché proprio Giovanna? Per ché ha un posto nel suo passato; perché, per una serie di circostanze, è « l’ul timo bel ricordo » di gio ventù. Anche Mansani, in somma, compie la sua pic cola « recherche du temps perdu »: e questo dovreb be bastare a scagionarlo dall’accusa di essere un in sensibile.
Non solo, ma in seguito si innamora sul serio di Gio vanna. Tanto da non di menticarla più. Sapere che è stata felice col marito lo indispettirà, e questo non torna a suo onore; ma gli farà provare anche rimor so: «Era così, quel giova ne le aveva voluto bene ed era stato felice con lei… malgrado che gliel’avessero insozzata. Perché que sta era la verità: lui, Mansani, aveva insozzato Gio vanna. Lui e tutti gli al tri. Lui più di qualunque altro… ».
Io non ho inteso fare di Mansani un personaggio negativo. Come non ho in teso fare di Giovanna un personaggio interamente positivo. Le sue disgrazie m’ispirano compassione, la sua pazienza mi commuo ve, il coraggio con cui ha risalito la china mi appa re degno di rispetto: ma Giovanna resta una tipica ragazza italiana di quel tempo. La sua più profon da aspirazione non è l’a more, ma la sistemazione del matrimonio. Traguar do più difficile per lei, da ta la fama di ragazza po co seria che s’è acquistata quand’era molto giovane. Ritrovando Mario dieci an ni dopo, a fatica mostra di riconoscerlo. Tanta indif ferenza ferisce l’uomo non soltanto nel suo amor pro prio, anche nel suo senti mento: «Ecco in che mo do sono le donne â— pen sò amaramente. â— Quan do si fanno una famiglia, dimenticano tutto quello che c’è stato prima… Noi uomini saremo egoisti, ma abbiamo un po’ più di sen timento… ».
La Rita del Soldato e la Anna di Un cuore arido infrangono coscientemente la convenzione sociale, e pagano l’infrazione con la solitudine. Giovanna non ha questa forza. Le sue ri bellioni all’ingiusta con danna della gente, sono so lo scatti momentanei.
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Sotto il profilo letterario, le recensioni che mi hanno interessato di più sono quelle in cui il critico si è posto la domanda se a uno scrittore come me, vincola to da una poetica ridutti va e negativa, sia possibi le raccontare una storia; e che razza di storia salti fuori. Scrive Gramigna: « Una relazione è libro significativo nella carriera di Cassola perché segna il momento in cui egli si è avvicinato di più allo psi cologismo senza però ca dervi… lo scrittore giunge al punto critico della con densazione del suo mondo schematico in una storia ma si arresta a tempo, ri manendo, per fortuna del lettore, nell’ambito delle sue soluzioni più naturali ».. E Marabini: «…un rac conto classicamente natu ralistico, però spogliato il più possibile dell’apparato psicologico e ambientale: una storia d’amore (la sto na più “storia”!) realiz zata con gli strumenti nar rativi di chi ha sperimen tato a fondo la riduzione ” a zero ” della realtà ». Per Bo questo romanzo, pur apparentandosi agli al tri, presenta un elemento nuovo: «La fine della sto ria è essenziale all’econo mia del racconto, e qui sta la maggiore novità di que sto Cassola, Di solito egli abbandonava di colpo i suoi personaggi, li rimetteva nella nebbia opaca della realtà. Non c’era mai l’op portunità di passare a un confronto superiore né â— tanto meno â— di arrivare a un giudizio ».
Secondo altri critici, Una relazione potrebbe addirit tura indicare una nuova strada da battere. Scrive Walter Mauro (Il Telegra fo) : « …Cassola ha iniziato con questo libro una nuova esperienza, ha volu to aprire un nuovo capi tolo, dopo che la sintassi del ” cuore arido ” lo ave va spinto fino alle più ri schiose conseguenze nega tive… ». E Lorenzo Mondo: « La vicenda, anziché smo rire indistinta, trova una sua conclusione di ferma e chiara moralità. E’ il se gno di un fervore segreto che basta da solo a smen tire in Cassola ogni ipotesi di virtuosistico appagamen to. Davvero, per lui non tutti i giochi sono stati an cora fatti ». Credo anch’io che sia così. Comunque, lo accetto come un augurio.
Le reazioni dei lettori so no state favorevoli. Me lo conferma indirettamente Piero Dallamano, che nel la recensione su Paese-Se ra scrive: «Una mia vicina di casa, cui regalo i ro manzi di Cassola dopo averli letti (me li chiede implorante, con assoluta precedenza sugli altri scrit tori italiani), sostiene che in essi c’è ” tanta, tanta, tanta poesia “. Sarei ten tato di spiegarle che dopo aver depresso, ridotto e av vilito il lettore, facendogli accettare i Mansani, le Gio vanne, i viaggi in ferrovia, gl’incontri nel bosco, i pranzi in latteria, ecc. ecc., risulta facile allo scrittore battere all’acciarino qual che scintillina che sembra nell’abisso della depressio ne la sciabolata notturna di un faro di notevole poten za ».
Gli intellettuali, si sa, disprezzano la gente comu ne. Io no. Non si offenda Dallamano se gli dico che il consenso della sua vicina di casa mi ripaga a usura delle sue stroncature.