LETTERATURA: I MAESTRI: Diario Napoletano21 Agosto 2018 di Domenico Rea UN POPOLO. â— Quanto ai lamenti e ai lamentatori noi napoletani siamo degli specialisti. Nessuno più di noi ha il coraggio di confessare i propri errori. Battiamo i russi, che discendono da Dostojewski (che trovò nei na poletani i suoi primi tradut tori). Nessuno più di noi sa individuare l’anello mancante nella storia del costume della nostra città. Facciamo questo da secoli e a tutti i livelli so ciali, giacché uno stesso ico nico seme ci ha generati. Le stesse autorità e le persone responsabili si lamentano del l’andamento della cosa pubblica. Ma, allo stesso tempo simili a personaggi biblici, a Giobbe per esempio, la lamentazione è fine a se stessa, è un’abitudine, una libidine sci roccale, una costante morbosa del nostro carattere. OROLOGI. â— I lettori di un quotidiano, noto per la sua austerità, sono rimasti viva mente sorpresi ieri nel leggere una curiosa notizia, pubbli cata con notevole risalto. Essa riguarda gli orologi stradali e la tetragona impassibilità a registrare il tempo. Alcuni di essi, forse in fase sperimenta le, scrive il giornale, segnano le cinque meno dieci da alme no cento anni e, senza volere, né parere, si sono portati al livello dell’orologio più pre stigioso del mondo. Tra qualche mese infatti su un grattacielo di Nuova York sarà installato un orologio atomico capace di una carica del la durata di due secoli. Gli orologi napoletani possono fa re a meno anche della carica pluricentenaria. Ciò non deve meravigliare perché si tratta di un prodigio tutto napole tano. I nostri orologi hanno semplicemente superato il tem po e per due volte al giorno, alle cinque meno dieci all’al ba e al tramonto, risultano di una estrema precisione. Un minuto dopo, è vero, alle cinque meno nove minuti, so no già in ritardo, ma a dodici ore di distanza toccano di nuovo il sommo della preci sione. La differenza tra l’oro logio americano a carica ato mica e quelli napoletani a ca rica naturale consiste in un solo particolare: l’orologio nuovaiorchese è preciso per 1440 minuti al giorno per ap pena due secoli e i nostri per due minuti, ma per l’eternità. DON CICCIO E LA GUARDIA. â— Ogni mattina, da anni, in una zona di Mergellina arriva un vecchio er bivendolo, amante del buon vino, con un carretto carico di frutta e verdura e in com pagnia di un cane randagio mezzo spelacchiato ma di una straziante umanità. L’erbiven dolo leva il tendone che rico pre come un sacco l’intero corpo del carrettino e aspet ta i clienti, che vengono nu merosi perché in quella zona, ritenuta panoramica, turistica e di lusso, non è stato mai permesso ad alcuno di aprire uno spaccio di frutta e ver dura. Più spesso però e prima dei clienti arriva il vigile ur bano col bollettario per ele vare a don Ciccio una norma le contravvenzione di posteg gio abusivo. E dice all’erbi vendolo: « Ma quante volte vi debbo dire che a questo posto non ci potete stare? ». Don Ciccio non risponde. Si limita a pagare con un certo affanno. Srotola da misteriose, profondissime saccocce ban conote avvizzite che sembra no ducati. La scena richiama gente, che se compiange don Ciccio comprende anche il vi gile. Pagata la multa e rifat tasi la calma, l’erbivendolo può ritornare tranquillo alla opera sua, non soltanto per il giorno in corso, ma per un mese e anche due. Il vigile ha capito che don Ciccio non saprà mai brigare per ottenere il regolare (e impossibile) per messo e che in definitiva il suo spaccio ambulante risponde a un reale bisogno degli abi tanti del rione. La storia dura da due lustri. FURORE. â— Aspetto qual cuno davanti l’entrata del Mu seo Pignatelli Aragona Cortes alla riviera di Chiaia e, com’è naturale, mi diverto a guar dare il passeggio. Ne sono in vogliato anche dalla giornata ottobrina, tiepida di sole e da gli oggetti â— gli alberi della villa comunale dirimpetto, fili della rete tranviaria, gli smalti dei distributori di ben zina â— stagliati nella luce con un netto risalto. Ma la mia contemplazione è interrotta. Mi si avvicina un uomo di mezza età, con un vestito di buon taglio, troppo grande per lui, due scarpe un po’ alla Charlot, ma sane e lustre. Si intende, vuole qualcosa e io distrattamente gli do qualco sa. Ma lui mi si piazza di fron te e mi dice di essere uscito di fresco dal manicomio, di essere stato pazzo furioso, non uno qualsiasi, ora tranquillo e che il vestito che indossa gliel’ha dato l’avvocato, che a mezzogiorno fa colazione con pane e qualcosa, mentre la sera mangia un piatto caldo accompagnato da buon vino, perché si sa trattare e si sa prebbe trattare ancor meglio e che tutto sommato non è affatto scontento perché la giornata corre, sulle duemila lire al giorno, perché lui ci sa fare, è una persona dabbene, stato una volta, ah, una volta furioso, ma che ora si sa guardare il cliente, lo sa rispettare e tutti gli vogliono bene e chi gli dà il vestito, chi le scarpe, chi le calze e anche qualche maglia pesante e qualche cravatta, perché lui non fa lo schizzinoso, accetta tutto e ringrazia onestamente, disciplinatamente, senza fare discussioni, senza andare per il sottile, senza superbia, modesto, onesto, educato, da signore, gran signore com’è nato e cresciuto. Confidenze non richieste e quasi non ascoltate sul punto di precipitare in confessioni indicibili. E come lui, tanti. IL PRODIGIO. â— Da una decina di giorni a questa parte la cronaca ha registrato una media di quasi un crollo al giorno. Per grazia di Dio si è trattato di crolli bianchi, senza vittime. E soltanto in base a questa loro caratteristica ci permettiamo qualche battuta di spirito. Il signor Zero, la moglie e quattro figli dormivano in una sola stanza, pacificamen te e saporitamente, quando sono stati svegliati di sopras salto storditi da un terribile boato. Levatisi tutti e sei a mezzo il letto e fregandosi gli occhi si sono guardati in torno senza venire a capo dell’origine e del perché del l’insolito rumore. La stanza era quella loro di sempre: il letto matrimoniale al centro, quattro lettini dei quattro figli sui quattro lati e il sof fitto, quello solito, dipinto ad angeli intenti a pizzicare cor de di mandolini. A questo punto il signor Zero ha detto ai familiari: – Ragazzi, si sarà trattato di qualche grossa botta di Na tale. Se ne sparano di già nei vichi. Riprendiamo a dormi re â—. E poiché tutti avevano una gran voglia di farlo, sta vano per ritirarsi di nuovo sotto le coperte quando dalla strada si sono levati gridi e pianti. Il signor Zero e i suoi fi glioli si sono lanciati in ter ra, indi verso il balcone, ac colti da esplosioni di meravi glia e di gioia. – Siete vivi? â— ha chie sto il capo dei pompieri. – E perché dovremmo es sere morti? â— ha risposto il signor Zero. – Allora non vi siete ac corti di nulla? – Ma di che cosa avrem mo dovuto accorgerci? – Che siete caduti dal quinto al quarto piano… Proprio così. Il pavimento della camera da letto della famiglia Zero si era staccato tutto d’un pezzo, precipitan do di un grado sul piano sot tostante, come lungo la scala di un termometro. Il soffitto era dunque rimasto quello di sempre di casa Zero, con gli angeli e i mandolini. Fragi lità e putrescenza, sonno, stordimento e sorpresa congiurando, hanno reso possibi le il prodigio. Letto 869 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||