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LETTERATURA: I MAESTRI: Dio è un rischio

31 Marzo 2009

di Antonio Barolini
[dal “Corriere della Sera”, lunedì 31 marzo 1969]  

In Lugano, nel 1986, compiendo anni 86 e mesi 7, Giuseppe Prezzolini ha messo fine a un lungo discorso di 186  pagine intitolato Dio è un rischio (Longanesi, 1969). Lo ha dedicato ad alcuni amici cattivi (quelli che non credevano in Dio) e sono tutti scomparsi; e ad alcuni amici buoni (quelli che credevano in Dio) altrettanto scomparsi. Egli, ancora, vuole che sia il commiato d’un vecchio dai giovani d’oggi e un annunzio a coloro che nasce ­ranno dai giovani d’oggi: « E’ un altro libro senza Dio – conclude – che trova il po ­sto a Dio per chiunque abbia un Dio che debba trovare un posto ».
Prezzolini pensa che io possa essere il recensore più adatto a questo suo tipo di libro. Lo ringrazio, anche se il còmpito mi è difficile. Ma le ragioni di Prezzolini ci sono, le ricordo e anche Prezzolini le ricorda. Egli, poi, a differenza di me, non dimentica nul ­la. Il non dimenticare è la sua forza e il suo castigo; allo stesso modo che, per me, il facile dimenticare è certamente la mia debolezza e, al tempo stesso, il dono e la grazia di trasfigurare che, qualche volta (solo qualche volta), mi sono stati concessi: ossia di vedere la realtà banale e co ­mune che mi ha afflitto e mi affligge, di là dai termini asso ­lutamente insignificanti dell’io: questo tremendo io, che non riusciamo mai ad abbat ­tere e a liberare dalle torri in cui si chiude e difende. Ep ­pure, le sue origini e la sua vocazione (per il fatto stesso che diventa cosciente e sa di esistere) lo destinano a un contesto che non è più tessuto di razionalità comune, di logica meccanica, di mera cau ­salità; ma di razionalità vera, Cioè di coscienza e di ispira ­zione. Allora, è strumento di un disegno che ci trascende tutti, nel quale esistiamo, sia ­mo sempre esistiti, immagine di una realtà ineffabile per ogni nostra normale percezio ­ne fisiologica.
Senza avvedermene, a que ­sto punto, mi accorgo di ave ­re risposto alla generosa ora ­zione di Prezzolini (che tale mi è sembrato, per il suo « ia ­to » effusivo, il suo ultimo libro); e già potrei essere col ­locato da lui, anziché fra gli amici cattivi che non credo ­no o quelli buoni che credo ­no (tutti morti); in una ter ­za categoria: in quella degli amici ancor vivi e cattivi che sperano tuttavia di credere. Del resto, il libro, per la sua natura, non consente di usci ­re dalla sfera degli affetti e dei sentimenti anche se è for ­se il più maturo, libero da se ­dimenti polemici secondari, e i! più impetuoso libro di Prez ­zolini.
Credo che le ragioni per cui egli ha pensato a me siano principalmente due: l’una trova stimolo in alcuni di ­scorsi che, da colleghi giornalisti quali eravamo, negli Stati Uniti, abbiamo avuto modo di sviluppare più volte soprattutto una sera, in confidenziale reciproco abbandono, nella sala d’aspetto di Washington, dopo una gior ­nataccia di lavoro. E parlam ­mo, non oziosamente, a lun ­go, di Dio e del nostro esi ­stere; del tutto o del niente, delle infinite contraddizioni del nostro esistere; donde an ­che certi miei odierni atteg ­giamenti che Prezzolini, pro ­babilmente, non condivide. Il secondo riguarda una confi ­denza che gli ho fatto, quan ­do seppi che si decideva a venire in Italia (lui che, al ­lora, aveva perfino deposto ogni idea di tornarvi), soprat ­tutto per rivedere Papini, malatissimo, e accomiatarsi da lui: « Sta attento – gli dissi – che vai a trovare un an ­gelo, murato ancora per poco in una carcassa umana ». Può darsi che mi sia espresso in forma diversa, ma il concetto era questo; ed è confermato in una mia lettera che Prez ­zolini benevolmente cita in uno degli ultimi documenti del suo carteggio: Papini, Prezzolini, storia di un’amici ­zia, 1925, 1956, secondo vo ­lume, Vallecchi, a pagina 378. Prezzolini conserva tutto, for ­se anche le mie cose (io non conservo nulla); mi urge dir ­gli che, comunque, quella mia lettera non voleva e non vuo ­le essere bellissima com’egli la definisce: ma molto di me ­no e molto di più. Vorrei che fosse stata e sia, semplicemen ­te, la manifestazione intima di un mio religioso sentire, in quella particolare circostanza.
Prezzolini, con quest’ultimo suo libro, Dio è un rischio, si confessa apertamente figlio della sua generazione, brucia ­ta e vitalistica, che ebbe in lui uno dei campioni più rappre ­sentativi e questo libro è l’e ­stremo documento di questa vitalità. Non lo avrebbe potu ­to scrivere un uomo che come lui, con le sue qualità (me ­riti e difetti), non fosse stato autentico protagonista della vita culturale italiana, soprattutto negli anni che vanno dal 1905 al 1914 e che contribuì in modo certamente unico, a dare all’Italia provinciale e d’allora una prima e rinnova ­ta dimensione europea. La fe ­deltà agli elementi della cul ­tura di quel tempo vi è tutta, come vi sono anche molti ele ­menti del Prezzolini più tar ­divo e spesso malinteso; che si è divertito a far da spadac ­cino e da Bastian contrario, politico e moralista, che si oc ­cupa di spaghetti e di Ma ­chiavelli e che, alla fine, one ­stamente sfrondato delle sue impetuosità, resta un chierico al lavoro in una delle sue esuli stanzucce.
Non mi dolgo di averlo de ­finito una volta « poeta del giornalismo »; tale è ancora. Questo suo nuovo libro, pro ­prio perché non è un trattato filosofico, ma un’appassionata confessione di vita e di espe ­rienza spirituale, lo conferma. Nell’ambito della sua genera ­zione, egli ha svolto, sovente, il compito dell’avvocato del diavolo, con diabolico piace ­re, con orgogliosa pertinacia. Lo fu verso molti, con cui li ­tigò, e perfino con Papini, malgrado l’amicizia rimasta intatta. Così, si vestì da scet ­tico e perfino da cinico, irri ­dente, protervo; ma, per chi lo conosce e lo ama, di là dal ­le sue impennate, appare un volto rigato dal sangue della disperata fede di non aver fe ­de: anche lui, uomo murato nel suo « ego » attivo, voliti ­vo, orgoglioso, sicuro del suo presente.
Nove capitoletti in tutto; eccone i titoli: «Mie relazio ­ni private con il padre eter ­no. Credesti in Dio mai? », « Io sono, e nessuno, nemme ­no io, sa cosa sono », « Siamo in un mondo non fatto da noi. L’Altro ». (Qui Prezzoli ­ni si sente un escluso dall’Al ­tro. Non si sente, dunque, sua imperfetta presenza, sua ope ­ra e immagine e coscienza espansiva, anima distinta ed eterna in lui: l’Altro. Non si sente prezzo della mediazione del Cristo fra l’imperfetto e il perfetto), « La scienza molti ­plica i misteri e i rischi del ­l’uomo », « A che cosa serve l’intelligenza? », « La morte, chiave della vita. Il suicidio di Cristo », « Il linguaggio come causa d’errore » e, finalmen ­te, ultimo capitolo, « Dio è un rischio ».
Quale l’assunto di questi sentimenti logicizzati di Prez ­zolini? Me lo spiega lui stes ­so, in una lettera: « La ragio ­ne, la scienza, la storia nega ­no Dio. Ma son tutte cono ­scenze imperfette, le loro certezze son provvisorie e limi ­tate. Ad ogni punto della vita ci abbandonano e dobbiamo saltare per conto nostro, con un rischio. Ecco fatto il posto per Dio, se uno è così fortu ­nato da crederci ».
Ma è proprio così, mi do ­mando? Dio è soltanto un ri ­schio perché è l’unico possi ­bile rifugio della ragione, cioè una non ragione? E la storia e la scienza è proprio vero che lo negano? Certo, dalla pro ­spettiva del visibile, del me ­ro causale, del determinato e del deterministico. Ma, se c’è una cosa che la storia e la scienza ci confermano, ormai, a ogni piè sospinto, è che non è vero che « due più due fan ­no quattro ». E dopo Einstein, e Freud, le nuove scienze che si dibattono fra la teoria del ­la relatività e l’abisso dell’in ­conscio, suscitano fatalmente una teologia che si sta fin troppo fondando sulla ragio ­ne.
In questa prospettiva, a me pare evidente che non è più Dio il rischio ma il mondo, la sua morgana, la sua pove ­ra realtà esistenziale e speri ­mentale; mentre Dio è la cer ­tezza, non il rifugio, della ra ­gione. E, in questa realtà spe ­rimentale, appare chiaro, al ­meno per noi occidentali (sia ebrei sia gentili della « nuova Israele »), che il Cristo è la pietra angolare, nel cui dono di Eucarestia non può non es ­sere anche il pegno della no ­stra incorruttibile resurrezio ­ne. E perciò Dante esprime verità di luce teologica come mai nessun poeta le ha espres ­se e, quando Raffaello di ­pinge « La disputa del San ­tissimo Sacramento », non la dipinge con le sue mani di carne, ma con quelle dell’an ­gelo Raffaele, medicina di Dio: l’angelo del « Tobia ».
Credere in Dio da questa prospettiva, caro Prezzolini, tu dici che è una fortuna. Lo è certamente, ma è anche la grazia più pesante che cade addosso a chi crede, per le responsabilità che comporta Questo perché nessuno di noi è allenato a vedere Dio e al vederne anche un’infinitesima particella si arrischia di re ­starne bruciati; come Fetonte che, per temerarietà, ha osato guidare il carro del sole. Si può resistere soltanto se c’è la mediazione del Cristo. In ba ­se alla mia personale esperien ­za, senza il Gesù Cristo, Dio è certamente il più pericoloso e stolto dei rischi che un mor ­tale e soprattutto un occiden ­tale possa assumersi. Se vuo ­le esistere carismaticamente (ed è il solo esistere accetta ­bile, per chi non è bestia), nella sperimentale storia del ­la sua civiltà.


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1 commento

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 31 Marzo 2009 @ 17:24

    Vorrei ricordare che gli scienziati, nella loro continua approfondita ricerca, sono arrivati persino a scoprire l’infinitamente piccolo. Ma a questo punto non sanno più giustificare cosa regoli ciò e che cosa ci sia oltre. Si sono trovati di fronte a qualcosa di umanamente e scientificamente inconcepibile, di enormemente misterioso, di indefinibile, di non giustificabile. A mio avviso, sono pervenuti al contatto con l’Assoluto, lo stesso contatto che ha la fede di chi crede.
    Fede e scienza, pur attraverso vie differenti, giungono allo stesso fine.
    Ciò premesso, debbo dire che concordo con Prezzolini e con i suoi dubbi: Dio può essere un rischio, ma, come ben sosteneva il recensore, abbiamo il Cristo che ci ha indicato ed aperto la strada da seguire. Ed allora Dio diviene immensa risorsa, luce che ci illumina e ci guida, fonte di forza e di sostanza, abbraccio consolatore, traguardo ultimo
    Gian Gabriele Benedetti

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