LETTERATURA: I MAESTRI: Emilio Praga, gentile e maledetto11 Agosto 2018 di Guido Bezzola Molti e molti anni fa, in questo stesso giornale, Alfredo Panzini, pubblicando al cuni suoi ricordi personali, disse che Emilio Praga gli era sempre stato caro per una sua gentile fiamma di poe sia che non riusciva a spe gnere per quanti liquori ci versasse. E certo il cliché del poeta maledetto, un po’ pro vinciale rispetto ai grandi modelli parigini, nessuno è riuscito a levarglielo di dosso al Praga: non senza una certa ragione, del resto, per ché anche il figlio Marco si rammentava, di averlo visto più di una volta stramazzare a terra ubriaco, proprio mentre andavano insieme a passeggio e il padre lo teneva per mano. Sorte comune e tristissima di parecchi membri della Scapigliatura, quella di pa gare di persona la propria devozione al mito dell’irrego larità. Rovani, Tarchetti, Pra ga e non soltanto loro bru ciarono così il meglio di sé, con risultati discontinui, ine guali e tutto sommato stima ti meno dei loro meriti. La reazione carducciana prima e dannunziana poi sembrò spazzar via per sempre tutto il mondo in cui gli scapiglia ti e i loro eredi avevano cre duto e che si erano sforzati di tradurre in opere d’arte. Non da molto, a far bene i conti, la letteratura setten trionale del secondo Ottocen to, la lombarda soprattut to, è tornata di moda, se ne è capita l’importanza, il va lore determinante anche per i suoi nessi con la storia ci vile del nostro paese. Il De Marchi, il Dossi delle Note Azzurre, Igino Ugo Tarchet ti sono stati ripubblicati in edizioni critiche, con eccel lenti introduzioni e osserva zioni a cura rispettivamente del Ferrata, dell’Isella, del Ghidetti: ora tocca a Emilio Praga, di cui Mario Petruc ciani ha egregiamente cura to tutte le Poesie (pp. 432, L. 5000) per gli «Scrittori d’I talia » del Laterza (e fa pia cere salutare l’ingresso d’uno scrittore così recente e così poco accademico in una col lezione fino a qualche anno fa togata e seriosa). Ebbene, riletto tutto il Praga, preso atto delle serie cure finalmente date al te sto, bisogna pur dire che il Panzini aveva ragione, e che la « gentile fiamma di poe sia » nel Praga ardeva dav vero. Il suo è un mondo sem plice (quando va nel filoso fico o nello storico il tono scade subito), un mondo di umori, di sentimenti, di im pressioni rapide e immediate, colte d’un tratto e messe in carta in una forma così di messa da parer talvolta sciat ta senza esserlo; però è un mondo vivo, da cui traspaio no una delicatezza d’animo e una profondità di sentimenti che contrastano totalmente con l’irregolarità della vita e delle abitudini del Praga: ba sti vedere i componimenti dedicati alla nascita del fi glioletto. Trentasei anni di vita, dal 1839 al 1875, sono pochi dav vero, specie se bruciati con così ossessiva ansia di auto distruzione: perciò, al di là delle notate derivazioni da Baudelaire (se n’era accorto anche il Dossi, che nelle No te Azzurre cita il Praga solo due volte, e con freddezza), da Hoffmann, da Poe, da Heine, conta vedere quel che il Praga ci seppe dire di suo. E il meglio si trova proprio in un linguaggio semplice e spontaneo, in versi facili ma non slombati, che è poi la prosecuzione lombarda della teoria manzoniana del lin guaggio popolare, anche se il Praga si professa antiman zoniano su molti punti. Se leggiamo « Che nebbia fra i comignoli e il selciato, Che freddo per le strade, e quan ti ombrelli!… » oppure « E ci son certe strade in Valtelli na Cui far l’amore. Meglio che al muso e alla carta ve lina Di un editore » vediamo bene che la lezione dei Pro messi sposi non era passata invano, anche se il fiorentinismo veniva volutamente ignorato. E, ancora, la bella poesia sui Re Magi, dedicata alla madre, con quell’attacco ricchissimo di memoria favo losa «I bei vegliardi dallo scettro d’oro Che per la ne ve, sotto il ciel sereno. So star sommessi alla mia por ta udia, La notte della santa Epifania, O son morti di freddo, 0 son malati, Nei paesi del sole, I bei vegliardi dallo scettro d’oro! » mostra una più impegnata ricerca di linguaggio, ma insieme ha il suono e il timbro delle cose scritte da un poeta vero. A sbalzi s’intende, non sem pre e non tutto vivo, con pa recchio ciarpame, ma ricono scibile nei paesaggi, nelle piccole scene immediate, in certi delicati schizzi femmi nili: non poeta vate (per fortuna) ma poeta. Se è permesso introdurre una nota personale, dirò che in certi appunti manoscritti del mio nonno paterno, scul tore nato nel 1846, si narra di una cena col Rovani, po chissimi anni prima che egli morisse, e dei generosi sfor zi dei non ricchi amici per pagargli una camera all’al bergo del Cappello, dato che l’autore dei Cento Anni non sapeva dove andare a dormi re, ridotto in miseria come era: e quasi uguale era la si tuazione del Praga, privato dell’impiego al Conservatorio, separato dalla famiglia, com pletamente alla deriva. Il Rovani morì nel 1874, Emilio Praga nel 1875: due destini assai simili, due ingegni più che notevoli entrambi voltisi al peggio.
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