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LETTERATURA: I MAESTRI: La critica oggi: Come e per chi?

1 Settembre 2009

Articoli di Giulio Nascimbeni e Geno Pampaloni
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 20 novembre 1969]  

Giulio Nascimbeni:  Lucio d’Ambra, Joyce, ecc.

Un discorso fra sordi? Un conflitto senza speranza d’armistizio? Da una parte â— come ci informa Geno Pampaloni â— la nuova cri ­tica che non vuole conside ­rarsi « al servizio » del let ­tore. Dall’altra, i lettori che si sentono ignorati e respin ­ti dal linguaggio della criti ­ca. Il contrasto, per la ve ­rità, è di vecchia data. Ma è stata proprio l’aumentata circolazione della cultura a renderlo più acuto e palese. Sembra una contraddizione in termini. Eppure, l’abitu ­dine alla lettura non ha da ­to l’abitudine alla critica. La recensione, cioè lo stru ­mento per eccellenza della divulgazione critica, resta confinata in un limbo pre ­cario. E quel che un tempo era soltanto silenzioso rifiu ­to diventa â— pur che ci sia, come nel nostro caso, l’occa ­sione d’una inchiesta anche rapida â— vera e propria protesta. Variamente moti ­vata, ma sempre protesta.
Non credo che, presa nel suo complesso, la questione « critica-lettori » sia da in ­nalzare al livello d’una gran ­de antinomia: nel senso, cioè, che la critica respinge lo storicismo, mentre il pub ­blico ne è tuttora condizio ­nato. Qui â— è bene preci ­sarlo â— si parla di più im ­mediati rapporti senza met ­ter mano ad apocalittiche metamorfosi. Esce un libro e il critico ne scrive: per chi ne scrive? Il lettore, in maggioranza, sembra dirgli di no; non è lui il destina ­tario, o per lo meno non si sente tale. E allora?
Il critico replica: perché alla pagina X del giornale, dove si parla di libri, il let ­tore chiede facilità, chiarez ­za, estrema capacità di di ­vulgazione, e poi alla pagi ­na Y, se sì tratta di sport, accetta il massimo del tec ­nicismo, anzi lo pretende?
L’obiezione è inappuntabi ­le solo in apparenza. Lo sport si giova del contributo di un pubblico vastissimo, si scalda di passionalità, pro ­voca scelte che valgono an ­che se irrazionali. Non ac ­cadrà mai â— ci si consenta questo rilievo banale â— che al bar si discuta del libro postumo di Vittorini come si fa per i gol di Riva.
Anche la critica cinemato ­grafica, quella televisiva, la stessa scienza quando si trat ­ti di medicina o di astronau ­tica, possono consentirsi un linguaggio la cui specializza ­zione è sostenuta dal « contenuto » stesso del discorso critico: uno spettacolo, una scoperta, un’impresa, cui il pubblico concorre o da cui viene coinvolto.
La letteratura ha onde dì rifrazione molto più limita ­te: una condizione, questa, dalla quale è impossibile prescindere. Ma può, la let ­teratura, rinunciare del tutto a porsi anche come con ­quista d’un pubblico? E la critica deve davvero attende ­re la sognata palingenesi del pubblico e intanto rifiutar ­si al « compromesso » della comunicazione? Conosciamo già quel che si è soliti ri ­spondere: che le recensioni non sono terra di missione e che il lettore che le segue è già un lettore convertito. Quindi, è inutile blandirlo. Gli altri â— quelli per i quali i libri sono oggetti più lon ­tani della luna â— sono già andati per la loro strada e il ricupero è puramente il ­lusorio.
Ma prima di seppellire la chiarezza, è meglio far la conta dei superstiti. Certo, se da una parte c’è diffiden ­za per ogni concessione che possa far scadere la critica a uno dei tanti generi di consumo, dall’altra serpeggia e prolifera la pigrizia. La critica non è cambiata solo perché in qualche olimpo è prevalsa l’idea del parlar difficile: la critica è cam ­biata perché è cambiata la letteratura, e l’idea stessa della letteratura. Joyce non è Lucio d’Ambra; e per dar conto di Joyce (usiamo ap ­posta un esempio estremo) non valgono i modi d’approc ­cio, le sonde illuminanti, i sistemi di lettura che si esaurivano in un riassuntino e in quattro battute d’« ana ­lisi estetica ».
Forse la criti ­ca dovrebbe aprire le porte delle sue officine e mostra ­re in palmo di mano i nuovi strumenti di cui si serve: spiegare, insomma, in che consiste questo lavoro inso ­stituibile e incompreso. Ma si può ridurre lo struttura ­lismo a un decalogo o a qualcosa di simile? Non si tornerà alla storia del let ­tore o distratto o già con ­vertito?
Il labirinto, come si vede, è piuttosto intricato. Due rifiuti, due segni negativi, non fruttano altro che una insolubile querelle. Né ci è consentita altra conclusione di quella d’una vecchia com ­media di Betti: ascoltati gli uni e ascoltati gli altri, la sentenza è impossibile. A meno che (ma Dio ci scampi da questa ennesima, ambi ­gua distinzione) non si fran ­tumi ancor di più la mate ­ria del contendere parlando di « giornalismo letterario » e di « critica ». Allora sì che il discorso sarebbe davvero rinviato alla valle di Giosafat…
 

Geno Pampaloni: Chiaro e oscuro  

Sino a ieri la critica lette ­raria era accusata di par ­lare difficile; oggi fra gli ad ­detti ai lavori è sotto accusa la chiarezza. Tanto l’antico scherno, in verità non nobilis ­simo, contro il parlare «erme ­tico », quanto il mito illuministico-populista dell’«andare al popolo » che portò alla defini ­zione (Fortini) della « criti ­ca come servizio », sono largamente superati. Nel conve ­gno « Funzioni e situazione della critica letteraria » te ­nutosi di recente ad Arez ­zo, uno del pubblico, non informato delle ultime novi ­tà, si alzò per chiedere che i critici usassero un linguag ­gio più comprensibile; ma fu subito zittito. « Il parlare fa ­cile â— gli fu risposto â— è un mito medioborghese, la chia ­rezza è parente stretta del buon senso, e complice del sistema. Parlare per, foss’anche per il popolo, è sempre paternalistico. Il problema è tutto da impostare, ma inve ­ste comunque la fondazione di un nuovo linguaggio, e per essere risolto abbisogna di una nuova società. La confu ­sione attuale del linguaggio critico dipende dal fatto che il pubblico di oggi, interclas ­sista, è sostanzialmente mi ­stificato, non è un interlocu ­tore ».
Ancora più drasticamente il poeta Giovanni Giudici, rovesciando la direzione tra ­dizionale dei termini, affer ­mò che dev’essere il popolo ad andare verso il linguaggio; e indicò in Fanon e in Don Milani gli esempi anticipatori di un nuovo rapporto in cui il linguaggio sia «prolunga ­mento della persona e della praxis » (che è una bella for ­mula cattolico-marxista).
Anche se, come si vede, il convegno aretino si svolse nell’incontrastato, o quasi, do ­minio marxista (il che gli tolse rappresentatività e gli dette più teoreticità che con ­cretezza), ne emerse chiara ­mente una nota sintomatica: l’accanimento con cui specie i più giovani si dichiaravano antistoricisti, isolando sia i marxisti « liberali » come Ma ­rio Sansone, sia quelli « or ­todossi » come Carlo Salina ­ri, sia quelli problematici co ­me Gian Carlo Ferretti, re ­legati in un arcaico storici ­smo « caldo » o viscerale. Il fenomeno è generale. Si leg ­ga per esempio il libro di un sottile marxista e struttura ­lista eterodosso, Pierre Macherey (Per una teoria della produzione letteraria, ed. La ­terza, pp. 169, L. 1800). La condanna della «vecchia » cri ­tica e l’aristocratica indiffe ­renza per il problema della comunicazione non potrebbe ­ro essere più rigorose. Vi si distingue, a) la critica come arte, conoscenza pratica ed empirica, capace solo di for ­mulare regole generali di va ­lore approssimativo e medio, prive di reale necessità (« i critici, che si sono sinora de ­finiti come tecnici del gusto, non sbagliano mai; ma di fatto sbagliano sempre, e non potrebbero fare altrimenti, dal momento che il loro la ­voro, non producendo sapere nel senso vero e proprio del termine, sfugge al controllo della razionalità »); b) la cri ­tica come scienza o cono ­scenza razionale, che si pro ­pone di stabilire leggi univer ­sali e necessarie nell’ambito di una ricerca specifica che, se ha per oggetto l’opera let ­teraria, si fonda su uno sta ­tuto che va oltre i limiti del ­la letteratura.
 

Il prodotto

La formula con cui il Macherey seccamente riassume la sua posizione è questa: « l’arte critica si limita a proporci regole di consumo. Una conoscenza razionale, do ­vrà elaborare in primo luogo leggi di produzione ». Dunque tutta l’area in cui la critica svolgeva tradizionalmente la sua mediazione interpretati ­va e giudicante è tagliata fuori, disprezzata come « con ­sumo »; il nuovo critico in ­dagherà scientificamente co ­me nasce il « prodotto » let ­terario. E peggio. Anche lo scrittore, con il suo dileggia ­to « mondo poetico », è prati ­camente assente da siffatta indagine: ciò che conta è la opera nella « oggettualità » della sua struttura. L’uma ­nità profonda della poesia è cercata paradossalmente at ­traverso la sua disumanizza ­zione.
Un altro esempio di intran ­sigenza antistoricistica ci vie ­ne da tutt’altra parte, dal cattolico Rodolfo Quadrelli (Il linguaggio della poesia, ed. Vallecchi, pp. 144, L. 2000), che, partendo da pre ­messe opposte, approda agli stessi dintorni. I modelli di questo studioso sono molto alti e vigorosamente « inat ­tuali », da Dante a Eliot. E se da un lato il suo bersaglio è ogni residuo romantico nel ­l’arte, giacché « l’artista non vuole esprimere emozioni, di ­chiarò una volta per tutte il grande Strawinsky, ma desi ­dera semplicemente affron ­tare una certa materia con le sue intrinseche difficoltà »; dall’altro lato egli è severis ­simo contro l’istituto della critica, figlia del mondo mo ­derno, parte di quella filoso ­fia moderna « che attribui ­sce razionalità soltanto al soggetto e nega l’oggettività ovvero il muto discorso degli oggetti, che parlano da soli perché sono natura creata e possibile ».
Rivoluzione ed oggettuali ­tà sono i poli contrari da cui si parte all’attacco dello sto ­ricismo, nemico comune. Né sembra che la posizione più duttile, dei difensori (Enzo Golino)   di uno storicismo « freddo », cioè integrante le nuove tecniche d’analisi, sti ­listiche, linguistiche, strutturalistiche, possa a lungo re ­sistere contro spinte così po ­tenti. D’altronde, anche l’u ­nico che ad Arezzo difese la letteratura con sottile inge ­gno e lucida determinazione, Giorgio Barberi Squarotti, la difese in modo rischioso, co ­me altro dalla realtà, come altro dalla storia, con un’as ­solutezza che alla fine dei conti è altrettanto mortale.
 

L’avanguardia

Se apriamo il recente libro di uno scrittore a lui conge ­niale, Maurice Blanchot (Il libro a venire, ed. Einaudi, pp. 250, L. 3500) troviamo che la storia e l’uomo vi giuocano un ruolo innominabile. La critica che va in cerca dell’uomo nell’artista « sem ­bra sottomettere la lettera ­tura a un processo umiliante in nome della storia ». Il Blanchot individua attorno al 1850 (Mallarmé, Cézanne) la data a partire dalla quale l’arte moderna ha comincia ­to a riconquistare il suo di ­ritto all’oggettività, che esclu ­de il poeta nell’orfico « silen ­zio » dell’opera. Sì che oggi, « noi diciamo Proust, ma sen ­tiamo bene che a scrivere è l’alterità assoluta, e non sem ­plicemente qualcun altro, ma l’esigenza stessa di scrivere, un’esigenza che si serve del nome di Proust, lo esprime solo espropriandolo, renden ­dolo Altro ». Come sorpren ­derci allora se la conclusione finale è che « la letteratura va verso se stessa, verso la sua essenza, che è la sparizione? ».
A questo punto, sul comune denominatore dell’antistorici ­smo, è facile registrare le con ­vergenze più eterogenee. Ecco infatti il giovane « marxista non storicista » Romano Luperini, teorico dell’«eversione », dichiarare inutile la critica della letteratura (la critica, rincalza il bolognese Boarini, è sempre « critica del mon ­do ») e necessaria invece la critica alla letteratura. Ecco Gianni Scalia difendere acu ­tamente l’avanguardia come « negazione della comunica ­zione e comunicazione della negazione ». La chiarezza, in questo contesto, si richiede solo al risultato della distru ­zione. «Massima di Adorno: non partire dalle buone vecchie cose, ma dalle cattive cose nuove »: questa inedita citazione da Walter Benjamin risuonò come l’epigrafe finale di tutto il convegno.
Qual è la parte del critico giornaliero in questo raffina ­to carosello di estraniazioni? Egli non può negare di esse ­re, per la natura stessa della sua funzione, « integrato », qualunque sia la sua posi ­zione ideologica nei confronti del « sistema ». Ma se ama la letteratura, la sua presen ­za e non la sua sparizione, non può neppure dimentica ­re che intanto, ancora, a Pi ­co o a Maggiano, in via dei Redentoristi come sul Lungo ­tevere o a Monte Mario, a Donoratico come a Parigi e Milano e in mille altre « città del mondo » c’è sempre qual ­cuno che con le parole, dal cuore della storia, rompe l’as ­sedio della storia. E non può dimenticare neppure che c’è, anche, qualche sperduto let ­tore che si aspetta da lui (ahimè, dal suo « gusto ») di essere facilitato nel cogliere il senso di quelle parole, nel misurarne il valore. Egli sa ­rebbe lieto di poter servire alla storia senza esserne il servitore, anche se non igno ­ra che la storia nella sua giu ­stizia non avrà bisogno di lui.


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2 Comments

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 1 Settembre 2009 @ 18:39

    Ampia e profonda analisi sulla critica, che ha messo in evidenza le varie tendenze. Io, modestamente, ritengo che il critico non debba far pesare la propria ideologia o i propri pregiudizi, nel valutare e nel giudicare, bensì affidarsi ad una schietta coscienza. Sosteneva Henry James: “Criticare è valutare, impadronirsi, prendere possesso intellettuale, insomma stabilire un rapporto con la cosa criticata e fatta propria”. De Sanctis scriveva: “La critica è la coscienza e l’occhio della poesia” (e non solo, aggiungo io), “la stessa opera spontanea del genio riprodotta come opera riflessa dal gusto”. Sottolineerei queste ultime parole.
    Per quanto riguarda la critica storica, in particolar modo, essa, quasi sempre, è in parte distorta dalle convinzioni ideologiche di chi la esercita. Difficilmente è obiettiva, specie riguardo ad avvenimenti non troppo distanti nel tempo.
    Chi legge le critiche, deve, a sua volta, avere una mente critica ed una capacità tale da non farsi influenzare. Non sempre, purtroppo, questo avviene, per ovvii motivi.
    Gian Gabriele Benedetti

  2. Pingback by LETTERATURA: I MAESTRI: La critica oggi: Come e per chi? — 2 Settembre 2009 @ 07:53

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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart