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LETTERATURA: I MAESTRI: La Londra di Eliot

22 Aprile 2012

di Stephen Spender
[da “La Fiera Letteraria”, numero 18, giovedì 4 maggio 1967]

Dopo aver lasciato, giovane, l’America e aver studiato a Heidelberg e alla Sorbona, T. S. Eliot, che aveva intenzione di rimanere in Francia, fu costretto dallo scoppio della pri ­ma guerra mondiale a venire, nel 1916, a Londra.

Da allora egli divenne londinese nell’anima. Traspa ­re dai Quattro Quartetti e da molte altre poesie « mi ­nori » che per qualche chiesa, per qualche villaggio, per qualche casa di campagna della vecchia Inghil ­terra, colle sue pietre antiche e i suoi giardini, egli provò un interesse quasi mistico, come avvenne an ­che per Cape Ann, il New Hampshire, la Virginia, il fiume Mississippi e per alcuni luoghi della Scozia, ma dove egli si sentì veramente a casa sua fu nella neb ­bia e nell’atmosfera di Londra, amatissima, malgra ­do l’« unreal City » della Terra desolata.

Negli ultimi anni della sua vita, la cattiva salute non gli permetteva di vivere a Londra dopo il mese di novembre, quando la nebbia diventa insopportabi ­le. Su consiglio dei dottori Eliot e sua moglie Valerie andarono un inverno in Marocco e un altro alle Barbados. Mi accadde di incontrarli alle Barbados ed ebbi l’impressione che malgrado la viva gioia che gli procurava la compagnia di sua moglie, fosse un poco triste e pensasse con nostalgia a Kensington. Egli non amava molto i deserti né i Mari del Sud. Anchela Greciagli sembrava ripugnante â— come ebbe a di ­re indignandola a Lady Ottoline Morrell che andava in estasi per Atene â— e gli ricordava il culto del ser ­pente. I cactus â— così affascinanti per molti di noi â— emanano orrore nella poesia di Eliot.

Quando Eliot venne in Inghilterra dovette guadagnarsi da vivere. Uno dei suoi primi lavori fu, per quattro trimestri, quello di insegnante alla Highgate School (dove i ragazzi, tra i quali c’era John Betjeman, lo chiamavano « l’istitutore americano »). High ­gate, abitata dall’ombra di Coleridge, ha sulle sue al ­ture una fila di case di stile georgiano e una o due ville all’italiana, da cui si vedono i laghetti di High ­gate e al di là di essi i verdi tappeti di Hampstead Heath. Qui soleva passeggiare Keats e qui sono gli alberi e le colline tante volte disegnati da Constable.

Negli anni tra il ’20 e il ’30, al tempo del suo infeli ­ce matrimonio, Eliot abitò per qualche tempo presso i giardini di Clarence Gate, tra Regent’s Park e Ba ­ker Street. Qui Nash’s St. Clarence e Hanover Terraces danno sul parco, dove ciliegi e biancospini fiori ­scono in primavera e, oltre il laghetto, crisantemi e astor fioriscono in autunno. La scena ricorda una stam ­pa del Settecento.

Una cosa che deve aver legato Eliot a questi posti, ne sono sicuro, fu che, secondo Conan Doyle, Sherlock Holmes col suo cappello da cacciatore e la pipa di schiuma, aiutato dal fedele discepolo Watson, risolse i suoi rebus polizieschi in una stanza di Baker Street. S. S. Koteliansky, l’amico di D. H. Lawrence e di Ka ­therine Mansfield, mi raccontò una volta un aneddo ­to che se non è leggendario aiuta tuttavia a creare la leggenda di T. S. Eliot vicino di casa in quei tempi dello spirito di Sherlock Holmes. Attorno al ’20 ci fu un famoso e terribile delitto in un appartamento si ­tuato sopra un negozio che dava sulla strada principa ­le (a quell’epoca io avevo solo dodici anni, ma ricor ­do che quando passavo coll’autobus per quella via guardavo con orrore a quel negozio, che non so per quale ragione aveva sul davanti, come insegna, un cavaliere armato). Secondo quanto dice Koteliansky, Eliot rimase così turbato dalla sinistra vicenda che per diversi giorni non ebbe il coraggio di attraversa ­re la strada e limitò le sue passeggiate agli isolati che stavano tra essa e il parco.

Sull’Eliot di questo periodo, quando non era ancora molto noto, si hanno curiose storie che riguardano l’aspetto più esistenziale del suo carattere ; si dice che a quei tempi egli desse l’impressione di essere uno che, malgrado il suo candore e persino la sua di ­sarmante ingenuità, recitasse continuamente. A quel tempo Eliot portava spesso sua moglie Vivienne a bal ­lare all’Hammersmith Palais de Danse, un’escursione piuttosto fuori della Londra di Eliot, perché io non posso pensare che la sua Londra fosse quella della periferia.

Dopo l’insegnamento Eliot lavorò nella sezione Esteri e colonie alla sede centrale della Lloyd’s Bank a Cornhill. La signora Eliot (che mi ha fornito gene ­rosamente molte notizie personali per questo artico ­lo) racconta che quando suo marito lavorava alla Lloyd’s Bank, aveva l’abitudine di visitare le chiese delle vicinanze. Due di queste chiese hanno ispirato a Eliot alcuni dei versi più magici della Terra desola ­ta: St. Magnus Martyr, dall’« inesplicabile splendore di bianco e oro ionici », e St. Mary Woolnoth, che « segnava le ore / Con un sordo suono all’ultimo tocco delle nove » («un fenomeno che mi è capitato spesso di osservare », come scrive Eliot nelle famose « note », parlando delle sue passeggiate nella City).

Aldous Huxley mi raccontò che andando talvolta a prendere Eliot alla banca per portarlo a colazione, doveva scendere nel seminterrato, dove Eliot sem ­brava « il più burocratico degli impiegati di banca messo dietro la più burocratica delle scrivanie ». La scrivania stava (secondo i ricordi di alcuni scrittori riportati nel numero speciale del Sewanee Review de ­dicato a T. S. Eliot) sotto un marciapiede di vetro su cui picchiettavano’ i tacchi delle commesse che pas ­savano.

La permanenza di Eliot alla Lloyd’s Bank contri ­buì al suo futuro sviluppo sotto due importanti pro ­fili. L’esperienza inquietante del mistero sottile delle chiese della City forse affrettò la sua conversione al cattolicesimo anglicano e, indirettamente, il suo amo ­re per queste chiese lo portò a scrivere per il teatro. Infatti la sua prima impegnativa prova di poesia tea ­trale fu La rocca, « dramma morale » scritto come con ­tributo per la raccolta di fondi a favore delle chiese della City. Dopo La rocca venne il ben più famoso Assassinio nella cattedrale, rappresentato per la pri ­ma volta a Canterbury.

Ho ragione di sospettare che Eliot lavorasse con piacere alla Lloyd’s Bank ; tuttavia questo lavoro gli sottraeva molto tempo alla sua attività di poeta e scrittore, ed è per questa ragione che verso il ’30 i suoi amici si impegnarono decisamente a liberarlo da esso. Allora egli diventò redattore della rivista Criterion, i cui uffici in Russell Square occupò quasi fino alla fine della sua vita.

Malgrado la vicinanza del mastodontico British Museum e degli orrendi e oppressivi nuovi grattacieli dell’Università, Russell Square è ampia, spaziosa, ri ­posante, quasi gaia, con due hotel in stile vittoriano nel lato est e un giardino che è quasi un piccolo par ­co al centro. E’ vicina alla stazione della metropolita ­na e ha diritte grige strade stile tarda Reggenza rav ­vivate da un via-vai cosmopolita di studenti stranie ­ri, che vivono in sinistre piccole pensioni, e si diri ­gono sempre di corsa verso il museo e verso l’Università. Alcuni versi assurdamente tristi e lieti a un tem ­po della poesia A un gatto persiano evocano con ra ­ra efficacia la frammentaria e rapsodica atmosfera di Russell Square:

Gli uccelli canori dell’aria si posano Sui prati verdi di Russell Square.
Sotto gli alberi non c’è quiete
Per l’intelletto ottuso, gli acuti desideri
E gli occhi fuggitivi di Woolly Bear.
Non c’è sollievo che nel dolore.

Più a nord, rispetto agli uffici di The Criterion e dei suoi editori, Faber and Faber, ci sono Gordon Square, Fitzroy Square, Gower Street, pieni di austerità e di tri ­stezza eppure attraenti, densi delle memorie di « Bloomsbury », degli echi delle chiacchiere erudite e dei pettegolezzi raffinati degli studiosi, dei romanzie ­ri e degli intellettuali che vissero lì prima della guer ­ra. Léonard e Virginia Woolf vissero in una casa (di ­strutta poi in un bombardamento aereo) in Fitzroy Square: con tavoli, mobili, piatti e tazze decorati con disegni della sorella, Vanessa Bell, e di Duncan Grant, essa era il sancta sanctorum della piccola associazio ­ne di amici chiamata « Bloomsbury ». Poco più lon ­tano, in Gower Street, Lady Ottoline Morrell (la so ­rella del duca di Portland che abbandonò il titolo per amore delle arti), la donna che fu corteggiata da Ber ­trand Russell, disegnata e dipinta da Augustus John, ritratta da D. H. Lawrence nel personaggio di Hermione Rodice in Donne innamorate, riceveva nei suoi famosi « giovedì » personalità come W. B. Yeats, James Stephens, Aldous e Julien Huxley, e anche Eliot. Il grande orientalista, poeta e conversatore di Ar ­thur Waley viveva in Gordon Square, dove anche E. M. Forster aveva un appartamento. C’erano davvero verdi prati e uccelli canori vicino alla Russell Squa ­re di Eliot.

Quando Eliot pubblicava The Criterion e divenne un dirigente della casa editrice del suo amico Geoffrey Faber, prese l’abitudine di ritrovarsi con amici e com ­pagni d’avventure intellettuali in pranzi che ebbero luogo dapprima a Soho, spesso al ristorante Commer ­cio, vicino a Soho Square. Si trattava di uno di quei piccoli ristoranti italiani con una discreta cucina e pochi tavoli, di buon livello ma non destinati a diventare locali di successo. Una generazione dopo, gio ­vani scrittori come Auden, lsherwood e io solevamo cenare spesso in quel ristorante senza sospettare che era frequentato da Eliot e dai suoi colleghi. Herbert Read era un elemento indispensabile di queste riu ­nioni, così quando egli ottenne un posto al Victoria and Albert Museum, fu necessario che queste si te ­nessero vicino al suo luogo di lavoro e furono traspor ­tate in un pub chiamato The Grove, in Beauchamp Place, a Kensington. Così scrive Read nel Sawanee Review: «The Grove divenne così un punto di ritro ­vo dove, settimana dopo settimana, venivano non solo alcuni collaboratori regolari del Criterion ma an ­che tutti i critici o poeti simpatizzanti che venissero di fuori e fossero di passaggio a Londra. Kensington e Russell Square erano i due poli della Londra di Eliot ».

Che Eliot fosse profondamente londinese lo si può vedere, io credo, non solo dal fatto che ha abitato in tante parti della città e l’ha visitata tutta con amo ­re, quanto dal fatto che, secondo me, egli si adattava, camaleonticamente, al colore e all’atmosfera delle diverse parti di Londra. In abito scuro e ombrello egli si adatta mirabilmente all’ambiente della City. A Bloomsbury egli appare ai miei occhi l’ambascia ­tore di un altro Paese (tradizionalista, monarchico, cattolico), che abbia la sua ambasciata nella quasi straniera Russell Square, e intrattenga cortesi relazio ­ni diplomatiche con Gower Street e Fitzroy Square. A parte Hammersmith, la parte di Londra in cui rie ­sco di meno a immaginarmi Eliot è Hampstead, dove, dopo la crisi del suo primo matrimonio, negli ultimi anni tra il ’20 e il ’30, egli risiedette saltuariamente, ospite di Geoffrey Faber nella sua casa di Frognal.

Non riesco a immaginarmelo mentre sale per quelle ardue strette stradine, dai negozi falsamente antichi e dai caffè che profumano di torta fatta in ca ­sa; tra quei giovani « bohémiens » barbuti, sfac ­cendati e vagabondi. Me lo immagino invece benissi ­mo a Chelsea, dove durante la guerra e per qualche tempo dopo divise lo stesso appartamento con l’illu ­stre studioso John Hayward, che era sciancato e sta ­va su una sedia a rotelle: a quest’uomo Eliot dedicò le sue premure per dieci anni.

Qui, nella residenza di Carlyle, colla veduta sul Ta ­migi dipinta da Whistler, o mentre spinge tristemen ­te la carrozzella dell’amico John Hayward nella pas ­seggiata lungo il fiume, Eliot, che durante la guerra scrisse i Quattro Quartetti, sembrava una figura va ­gamente fin-de-siècle â— « mentre si muove tra curiose anticaglie », mentre va alla Messa â—- che avrebbe po ­tuto far visita all’ironico vicino Thomas Carlyle, o avrebbe potuto osservare, con quel suo enigmatico sorriso, i movimenti degli altri vicini William Mor ­ris e Rossetti.

Eliot â— mi dice sua moglie â— ha cambiato spesso di casa a Londra, soprattutto nei primi anni; e quasi in ogni residenza ha scritto qualche opera im ­portante. In Chester Terrace, S. W. I, ha scritto Un canto per Simeone, e in St. Martin’s Lane, W. C. 2, ha scritto Sweeney Agostines. Ma i rapporti più feli ­ci li ebbe con Kensington, dove per venticinque anni egli fu sovrintendente della chiesa di St. Stephens in Gloucester Road. « Egli conservò questa carica e fu consigliere parrocchiale fino alla sua morte » raccon ­ta sempre Mrs. Eliot.

Forse proprio il suo amore per Kensington gli ave- va-fatto pensare in un primo momento di intitolare i Quattro Quartetti i Quartetti di Kensington, e sia il primo che il secondo quartetto, Burnt Norton ed East Coker, furono entrambi scritti nel Royal Borough.

Kensington vide anche la gioia più grande della sua vita, il secondo matrimonio. Negli ultimi anni Eliot colse un altro aspetto di Londra, o forse ne fu colto. Doveva farsi vedere qualche volta ai ricevimenti del sindaco e delle ambasciate, in abito da cerimonia e colle onorificenze conseguite.

A settant’anni la vita di Eliot era determinata da tre condizioni che egli risolveva in un atteggiamento, direi, di manifesta accettazione: queste tre condizio ­ni erano la grande felicità che gli veniva dal matri ­monio, la malattia che gli estenuava progressivamen ­te il suo talento, e la grande fama meritatamente rag ­giunta.

Londra, con i suoi teatri in cui si rappresentavano le opere di Eliot, e con i suoi fastosi ricevimenti, rendeva onore al poeta e questi, inchinandosi gentil ­mente e benevolmente, rendeva onore alla città.

Ma per completare il ritratto di Eliot, bisognerebbe mostrarlo non tanto a un banchetto reale, quanto nell’ambiente di un club di Londra, come l’Oxford Club o il Cambridge Club, dove appunto ebbi l’occasione di pranzare con lui per la prima volta attorno al ’30. Questo club, che si trova vicino a Trafalgar Square, aveva a quell’epoca una curiosa atmosfera di gran ­dezza perduta: qui Eliot poteva avere l’impressione di recitare la parte di un club-member di una sua commedia. Infatti in seguito egli lasciò questo club e divenne socio dell’Athenaeum. Ma il club da lui preferito fu forse il Garrick, con le sue grandi sale, le sue fastose scale e il suo grande passato che in parte ancora viveva nel presente.

L’ultima volta che lo vidi fu a un tavolo in un an ­golo della sala da pranzo del Garrick, dove da ulti ­mo aveva trasferito quelle settimanali riunioni di vecchi colleghi che erano cominciate a Soho ed era ­no continuate a Kensington. Con Eliot erano Herbert Read, Bonamy Dobrée, Frank Morley e forse qualcun altro. E’ bello pensare che dopo più di quarant’anni Eliot e i suoi amici londinesi si riunissero per que ­sto settimanale rito della conversazione.

Nulla fa più Londra di un club e io sono contento di aver conosciuto Eliot e di averlo visto l’ultima volta appunto in un club.

Stephen Spender, poeta e saggista inglese, è noto non soltanto per i suoi libri ma anche per aver diretto le riviste Horizon e Encounter.

 


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1 commento

  1. Commento by Simona — 22 Maggio 2014 @ 11:15

    Ciao Apprezzo il tuo articolo, come gli altri, giudico ricco di
    contenuti il tuo blog e penso che ti aggiungerò ai preferiti, ciao!

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