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LETTERATURA: I MAESTRI: La morale di Sorel

18 Dicembre 2018

di Leo Valiani
[dal “Corriere della Sera”, martedì 29 settembre 1970]

Alla domanda se leggeva i libri di Georges Sorel, Victor Griffuelhes, l’operaio dal forte temperamento d’uomo di azione che come segretario della C.G.T. aveva fatto della centrale sindacale francese un’organizzazione rispettata o temuta, rispondeva: « Io leggo Alexandre   Dumas ». Si trattava naturalmente d’una « boutade », che esprimeva orgoglio con cui gli autentici militanti operai francesi rivendicavano le origini non libresche, ma pratiche del loro orientamento. Peraltro, Griffuelhes, che conosceva personalmente Sorel e lo stimava, e ne era molto stimato, non solo lo leggeva, ma gli chiese di scrivere la prefazione ad un suo opuscolo, pubblicato nel 1910, sul sindacalismo rivoluzionario.

Quel che pensava dell’ap ­porto di Sorel, Griffuelhes lo precisò in una lunga recensione che dedicò, nel 1919, al volume « Matériaux d’une téorie du prolétariat », che accoglie alcuni dei più significativi scritti soreliani, redatti lungo un ventennio. Sorel prese dai militanti operai rivoluzionari la fede nel valore creativo dello sciopero generale, ma, sottolinea Griffuelhes,  l’arricchì di una nozione fondamentale. Egli scorse la derivazione dell’autonoma azione sindacale rivendicativa del progresso economico, rivoluzionario nei suoi effetti tecnici e sociali, messo in moto e alimentato dagli imprenditori capitalistici, agenti per interesse individuale.

Così come la borghesia ha rivoluzionato la tecnica produttiva e la società attraverso iniziative individuali degli imprenditori alla ricerca di un profitto, il proletariato po ­trebbe farlo a sua volta, attraverso le iniziative di lotta dei sindacati che traggono profitto dalla situazione economica, quand’essa è favorevole alle loro rivendicazioni. Affinché ne venga una rivoluzione profonda e durevole, bisogna però che la classe rivo ­luzionaria abbia una sua ideo ­logia, una sua forza morale che, nel caso della classe ope ­raia socialista, dev’essere la morale dei produttori.

Era questa, in sostanza, possiamo aggiungere, la sintesi di Marx e di Proudhon che Sorel aveva cercato d’ope ­rare. Il fatto che, guardando indietro, già al termine della sua carriera d’organizzatore e di combattente, e sforzandosi contemporaneamente di sta ­bilirne la parentela ideale con la rivoluzione sovietica russa, ancora carica d’aspirazioni all’autogoverno degli operai, che aveva le sue simpatie, così come quelle dello stesso Sorel, Griffuelhes riconoscesse l’im ­portanza della problematica soreliana, ne documenta il le-game concreto con le speranze che un’avanguardia di sinda ­calisti nutrì e destò, in un certo periodo, in Francia, in Italia, e in numerose altre na ­zioni. Gli svolgimenti succes ­sivi delusero poi queste spe ­ranze, ma nella concezione so ­reliana del « mito » era per l’appunto essenziale il convin ­cimento che un’epopea si for ­ma attraverso le sconfitte, non meno che attraverso le vit ­torie.

Fama anche molto maggio ­re dei saggi che compongono il libro recensito da Griffuel ­hes, ebbero gli scritti, essi pure già apparsi in riviste (e per cominciare in una rivista italiana, il « Divenire socia ­le »), che Sorel pubblicò in volume nel 1908, col titolo « Réflexions sur la violence ». La traduzione italiana, alla quale Benedetto Croce premi ­se una penetrante introduzio ­ne, rivolta sopratutto all’esa ­me dei giudizi storici di cui l’opera di Sorel è piena, vide la luce nel 1909, sotto il titolo « Considerazioni sulla violen ­za ». Se ne ebbe una nuova edizione nel 1926, che è stata ristampata ora, con uno studio introduttivo di Enzo Santa ­relli. (Universale Laterza, Ba ­ri, Lire 1.600).

Dobbiamo dare atto a San ­tarelli, che s’ispira al marxi ­smo-leninismo, ma già in altri suoi lavori ha indagato senza eccessive prevenzioni la storia dell’anarchismo e del sinda ­calismo rivoluzionario in Ita ­lia, d’essersi accinto con com ­prensione a questa ripresen ­tazione, che tiene dietro, del resto, ad alcuni anni di di ­stanza, ad una buona edizione dei principali « Scritti politi ­ci » di Sorel (fra cui le stesse « Considerazioni sulla violen ­za »), curata da Roberto Vivarelli, che vi ha aggiunto una utilissima bibliografia (UTET, Torino, 1963, Lire 6.000). Certo, sarebbe stato desidera ­bile che, nella sua prefazio ­ne, Santarelli facesse maggior ­mente cenno alle fonti italia ­ne di Sorel e agli studi ita ­liani su Sorel (basti ricorda ­re Missiroli). Comunque, an ­che se Sorel ebbe grande for ­tuna proprio in Italia, Santa ­relli ha ragione di situarlo nella più vasta problematica del movimento operaio in una serie di paesi (segnatamente, ma non esclusivamente, nei paesi latini) dell’Europa del primo decennio del nostro se ­colo. Nel contrasto, che s’era aperto, fra socialisti riformisti e socialisti politici rivolu ­zionari o sedicenti tali, Sorel s’inserì con originalità, richia ­mando l’attenzione sul sinda ­cato operaio, in quanto forza indipendente dai partiti poli ­tici socialisti e anzi divergente da essi.

A parte alcuni punti par ­ticolari sui quali non consen ­tiamo coi giudizi che Santa ­relli esprime nella sua prefa ­zione o nelle sue note, il ri ­tratto intellettuale e morale ch’egli traccia di Sorel ci sem ­bra fedele. Ma non siamo del suo avviso quando conclude affermando che il dramma del socialismo di Sorel è consistito nel non aver tentato d’inte ­grare Marx, col quale dialo ­gava idealmente, sul terreno della teoria generale della sto ­ria e dell’economia. In verità, questo tentativo Sorel l’ha compiuto. L’originalità delle stesse « Considerazioni sulla violenza » non è tanto nell’ap ­pello all’azione violenta del proletariato, ma nella motiva ­zione, economica ed etica nel ­lo stesso tempo, che Sorel dà a quest’appello.

Marx aveva insegnato che una società non muore finché non ha sviluppato tutte le forze produttive che può con ­tenere. La rivoluzione socia ­lista avrebbe dovuto verificar ­si, nella sua visione, così co ­me Sorel l’interpretava, in un periodo d’ascesa economica e tecnica, bruscamente interrot ­to da una guerra o da una delle sempre più gravi crisi cicliche, ossia temporanee, dell’industria e del commer ­cio. Che cosa avverrebbe in ­vece, si domanda Sorel nelle « Considerazioni sulla violen ­za », se l’economia capitali ­stica, lungi dal continuare a svilupparsi su una linea ascen ­dente, entrasse in una fase di prolungata decadenza? Ove la classe operaia, che questa decadenza indebolirebbe, riu ­scisse ad espropriare egual ­mente la borghesia capitali ­stica, ne riceverebbe un’eredità fallimentare, che graverebbe pesantemente sulla riuscita degli sforzi di costruzione del socialismo.

E’ sommo interesse, perciò, della classe operaia che l’asce ­sa economica prosegua, e si acceleri, anche in regime ca ­pitalistico, generando un cre ­scente progresso tecnico. Stan ­do a Sorel, a stimolare siffatti sviluppi non giova però, ma al contrario nuoce, l’interven ­to dello Stato che, alla ricer ­ca della conciliazione sociale, mortifica o corrompe lo spi ­rito d’iniziativa degli impren ­ditori e lo spirito di lotta de ­gli operai.

Questa lotta, che nell’auspi ­cio di Sorel dovrebbe ispirar ­si alla morale eroica delle guerre sostenute per alti idea ­li e farsi essa stessa, attra ­verso il mito e la prassi dello sciopero generale rivoluziona ­rio (economico e non politi ­co, diretto dagli operai stessi a fini d’emancipazione e non dai partiti politici per preme ­re sul governo), guerra socia ­le, contrasterebbe le tendenze alla decadenza che, a suo giu ­dizio, lo statalismo comporta. Essa preparerebbe la classe operaia ad affrontare i sacrifi ­ci che la rivoluzione esige e a gestire l’economia con quei criteri d’austerità e solidarie ­tà morale, con quella capacità dei lavoratori di sentirsi re ­sponsabili dell’ascesa della produzione, senza dei quali il socialismo resterebbe lettera morta.

L’integrazione di Marx an ­dava ricercata, agli occhi di Sorel, in un indirizzo che met ­tesse il socialismo in grado d’assimilare i pregi e non i difetti della società alla quale doveva succedere. Altrimenti la rivoluzione si sarebbe ri ­solta in una nuova dittatura dei politicanti sui produttori.

Il mito che Sorel propu ­gnava fu illusorio e ancora molto più illusori e contrad ­dittori furono i suoi successi ­vi orientamenti personali. Ma le sue preoccupazioni nasce ­vano da una profonda cono ­scenza della storia e da un acuto senso dell’avvenire.

 

 


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Bart