LETTERATURA: I MAESTRI: La vecchia villa31 Luglio 2018 di Ercole Patti Una mattina verso la fine di ottobre, dopo tanti anni che non c’era più stato, il barone X tornò nella sua vecchia ca sa di campagna alle pendici dell’Etna. Era una grande vil la costruita da un suo trisavo lo verso la fine del Settecen to. Il parco intorno era mol to vasto; dopo gli alberi di alto fusto, olmi e querce anti chissimi intramezzati da qual che olivo e noce che sorgeva no intorno alla villa, si sten devano i boschi di proprietà, dello stesso barone X; vecchi e grandi castagneti che non erano stati più tagliati da ol tre cinquanta anni e che man davano un’ombra fitta nel sot tobosco in quella stagione po polato di funghi di tutte le qualità, in massima parte ec cellenti da mangiare. Il barone X, ormai sulla sessantina, conservava un ri cordo lontano di certi anni della fanciullezza trascorsi in quella villa coi nonni duran te le vacanze autunnali; tut tavia durante la sua lunga vita di gaudente senza problemi finanziari aveva sempre pro vato una specie di avversione e come una vaga inesplicabile paura per quelle antiche e grandi stanze nelle quali ave va giocato bambino. Con la doppietta in spalla si mise a salire la scala di destra che era quella che si era sem pre adoperata sin dai tempi della sua infanzia. La rampa di sinistra era pochissimo usa ta; infatti i gradini erano con servati assai meglio sotto l’in trico delle piante rampicanti attorcigliate alle ringhiere. An che la scala di destra adesso, dopo tanto tempo che nessu no più vi saliva, era ricoperta di rametti e foglie che quasi impedivano il passo. * Il barone salì aprendosi un varco fra rami e foglie sec che e a mano a mano che an dava su provava una curiosa emozione come se fosse sul punto di incontrarsi con se stesso ragazzo. Non aveva neanche avvertito il fattore del suo arrivo perché voleva pro vare da solo il piacere di rien trare in quelle stanze il cui ricordo e il desiderio di rive derle gli erano tornati in men te all’improvviso. Girò dunque la chiave nel la serratura, la porta offrì una certa resistenza poi cigolò e si aprì scoprendo la penom bra dell’ingresso appena ri schiarata dalla luce che fil trava dalle gretole della per siana di una finestra; rivide prima di ogni altra cosa la cassapanca addossata alla pa rete, la vecchia cassapanca sulla quale per anni, rientran do in casa affamato dopo una lunga scorribanda nel bosco durante certi lontanissimi au tunni, aveva abbandonato i suoi fuciletti i suoi berrettini le sue fionde i suoi oggetti di ragazzo. Poi andò ad aprire i batten ti del balcone del vicino stan zone da pranzo; un grosso ge co bitorzoluto si rifugiò die tro una delle due credenze facendogli fare un piccolo sal to indietro. Il divano che cor reva lungo le pareti e si insi nuava negli angoli era stato ricoperto chi sa quando con vecchi lenzuoli e giornali in gialliti; qua e là da qualche strappo si vedeva la stoffa del la tappezzeria. Il barone tirò via giornali e stracci; la an tica stoffa rosso cupo di un tempo apparve conservata an cora abbastanza bene; l’occhio del barone corse verso il bracciuolo di destra accanto alla finestra e vi ritrovò la brucia tura fatta da lui in un Natale dell’infanzia, con un pezzo di carbone incandescente tolto dal braciere delle castagne, che lui si era divertito a lanciare in aria con una paletta. Poi il buco era stato riparato con una pezza della stessa stoffa un po’ più nuova che era sem pre là ma ancora di colore diverso nonostante i molti an ni che erano trascorsi. Da lì passò nello studio bi blioteca. Qui tutto sembrava in ordine come se gli anni non fossero passati; in un angolo c’era la cassa scura che ave va sempre esercitato su di lui ragazzo una grande attrattiva per gli oggetti affascinanti che conteneva. Ma il nonno la te neva sempre chiusa a chiave appunto per evitare che lui frugasse in quelle vecchie carte col francobollo di Ferdinando di Borbone, le pipe di schiuma chiuse negli appositi astucci di velluto entro i quali era modellata la forma del la pipa, le rotonde custodie di latta che conservavano diplo mi dei suoi bisnonni, una lau rea in medicina del 1700 in forma di libretto, richiami per le quaglie, sacchetti di pallini da caccia e scatole di tappi cerati per le cartucce. * Il barone alzò il coperchio; l’interno della cassa gli apparve come una volta: cera no le custodie tubolari, la lau rea del 1700, gli astucci delle pipe di schiuma: anzi uno conteneva un bocchino che raffigurava un pastore seduto su una roccia intento a suonare un piffero, in cima al piffero c’era il buco nero per incastravi la sigaretta, l’alloggiamento nel velluto della scatola seguiva tutti gli ango li e i rilievi del bocchino che era pieno di volute e di pun te; la schiuma porosa era in giallita dal fumo di sigarette fumate forse verso la fine dell’Ottocento da qualche mon dano bisavolo che amava far si vedere in giro tenendo fra i denti quel monumentale e complicato bocchino. Attraverso i vetri della li breria si vedevano i dorsi di alcuni volumi: Massimo d’Azeglio, Emilio de Marchi, An tonio Fogazzaro, L’amore che torna di Guido da Verona ac canto al solito trattato di me dicina del 1700 rilegato in cartapecora, Postuma di Lo renzo Stecchetti, Gli sperona tori dell’Oregon, di Emilio Salgari. Nella cucina un porcellino d’india spaventato si nascose sotto i fornelli. Dal balcone che aveva in basso una larga fessura si vedeva un po’ di pavimento del terrazzino di servizio che con una scaletta di pietra conduceva nel cor tile: era da quella fessura che entravano chi sa da quanti anni polli conigli e porcellini d’india ispezionando la cuci na le cui mattonelle erano tra sformate in una specie di pa vimento di piccionaia. * Un poco emozionato da quelle vecchie cose il barone salì le scalette che portavano alla foresteria nell’ammezzato piene per lui di memorie di adolescenza. Due o tre stanze dai soffitti bassi con bei mo bili di noce, una scrivania con due file di tiretti che arriva vano fino a terra, letti di ot tone, lumi a petrolio istoria ti. La foresteria aveva anche un ingresso a parte con una scaletta esterna che arrivava nel cortile. Entrando nello studio dove aveva tanto giocato da ragaz zo il barone avvertì un’aria strana diversa da quella delle altre stanze, un’aria pulita co me se le finestre fossero state aperte fino a poco tempo prima. Inoltre gli occhi gli cad dero subito su un giornale di grande formato posato su una sedia, il cui titolo era 15 stam pato a grandi e neri caratteri; stupito lo raccolse, recava la data dell’ottobre 1967, e sotto c’era una copia di Paese-sera con la data del giorno prima. Quel giornale ancora fre sco di stampa in quella casa abbandonata da almeno quarant’anni gli fece passare un brivido nella schiena. Guardò in giro e non ebbe il coraggio di avventurarsi nella stanza vicina. Il cassetto della scrivania era un poco socchiuso, il ba rone lo tirò piano piano esi tando, vide sei o sette libri dal le rilegature moderne, acco stando l’occhio riconobbe al cune copertine delle edizioni di Feltrinelli e di Garzanti. Tirò su un libro era L’incom piuto di Francesco Leonetti; il secondo volume che gli ca pitò sottomano era Barcelona di Germano Lombardi. Frugò ancora nervosamente: un libro di Balestrini, La struttura as sente di Umberto Eco, tre nu meri di Marcatré, un volume di Manganelli. Senza più con trollarsi il barone gridò: « Chi c’è di là? ». Nessuno rispose. « Chi è là? » gridò ancora il barone. Gli parve di sentire come un fruscio leggerissimo di pas si nella scaletta esterna. Raccolse quei libri, la copia di 15 e scese giù di corsa nel la biblioteca, aprì una fine stra. * Il parco ricoperto da una fitta e tenera erbetta verde era immerso in una silenziosa dol cissima aria autunnale. Si sen tì il canto di un pettirosso. Il barone prese la doppiet ta che aveva appoggiato in un angolo accanto alla libreria la apri e vi fece scivolare dentro due cartucce caricate a palli ni numero 9, si affacciò alla finestra e gridò ancora nell’a ria un po’ umida e struggen te del parco: « Chi è là? Vie ni fuori o sparo ». Nessuno rispose. Il barone tirò un colpo in aria. La deto nazione echeggiò e si perdet te nel silenzio del bosco creando per un attimo un affascinante clima di caccia autunnale. A un tratto dalla parte del la legnaia si vide correre qual cuno; era un capellone che fuggiva curvo e veloce simi le a un grosso cocker nero, coi capelli svolazzanti al vento della corsa. Evidentemente quel capellone di campagna si era istallato chi sa da quan to tempo nella casa disabitata. « Ferma! Ferma! » gridò il barone esasperato e gli sca gliò dietro i libri che aveva in mano, poi intanto che ca devano sfarfallando li colpì a volo con la seconda fucilata. Mentre il capellone, ventre a terra, si cacciava nel bosco e spariva, i libri piombarono sull’erba del parco tartassati; il grande numero di 15 si po sò scandalosamente aperto sul’erbetta verde tutto bucherel lato dalla schioppettata. Letto 852 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||