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LETTERATURA: I MAESTRI: La vecchia villa

31 Luglio 2018

di Ercole Patti
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 30 gennaio 1970]

Una mattina verso la fine di ottobre, dopo tanti anni che non c’era più stato, il barone X tornò nella sua vecchia ca ­sa di campagna alle pendici dell’Etna. Era una grande vil ­la costruita da un suo trisavo ­lo verso la fine del Settecen ­to. Il parco intorno era mol ­to vasto; dopo gli alberi di alto fusto, olmi e querce anti ­chissimi intramezzati da qual ­che olivo e noce che sorgeva ­no intorno alla villa, si sten ­devano i boschi di proprietà, dello stesso barone X; vecchi e grandi castagneti che non erano stati più tagliati da ol ­tre cinquanta anni e che man ­davano un’ombra fitta nel sot ­tobosco in quella stagione po ­polato di funghi di tutte le qualità, in massima parte ec ­cellenti da mangiare.

Il barone X, ormai sulla sessantina, conservava un ri ­cordo lontano di certi anni della fanciullezza trascorsi in quella villa coi nonni duran ­te le vacanze autunnali; tut ­tavia durante la sua lunga vita di gaudente senza problemi finanziari aveva sempre pro ­vato una specie di avversione e come una vaga inesplicabile paura per quelle antiche e grandi stanze nelle quali ave ­va giocato bambino.

Con la doppietta in spalla si mise a salire la scala di destra che era quella che si era sem ­pre adoperata sin dai tempi della sua infanzia. La rampa di sinistra era pochissimo usa ­ta; infatti i gradini erano con ­servati assai meglio sotto l’in ­trico delle piante rampicanti attorcigliate alle ringhiere. An ­che la scala di destra adesso, dopo tanto tempo che nessu ­no più vi saliva, era ricoperta di rametti e foglie che quasi impedivano il passo.

*

Il barone salì aprendosi un varco fra rami e foglie sec ­che e a mano a mano che an ­dava su provava una curiosa emozione come se fosse sul punto di incontrarsi con se stesso ragazzo. Non aveva neanche avvertito il fattore del suo arrivo perché voleva pro ­vare da solo il piacere di rien ­trare in quelle stanze il cui ricordo e il desiderio di rive ­derle gli erano tornati in men ­te all’improvviso.

Girò dunque la chiave nel ­la serratura, la porta offrì una certa resistenza poi cigolò e si aprì scoprendo la penom ­bra dell’ingresso appena ri ­schiarata dalla luce che fil ­trava dalle gretole della per ­siana di una finestra; rivide prima di ogni altra cosa la cassapanca addossata alla pa ­rete, la vecchia cassapanca sulla quale per anni, rientran ­do in casa affamato dopo una lunga scorribanda nel bosco durante certi lontanissimi au ­tunni, aveva abbandonato i suoi fuciletti i suoi berrettini le sue fionde i suoi oggetti di ragazzo.

Poi andò ad aprire i batten ­ti del balcone del vicino stan ­zone da pranzo; un grosso ge ­co bitorzoluto si rifugiò die ­tro una delle due credenze facendogli fare un piccolo sal ­to indietro. Il divano che cor ­reva lungo le pareti e si insi ­nuava negli angoli era stato ricoperto chi sa quando con vecchi lenzuoli e giornali in ­gialliti; qua e là da qualche strappo si vedeva la stoffa del ­la tappezzeria. Il barone tirò via giornali e stracci; la an ­tica stoffa rosso cupo di un tempo apparve conservata an ­cora abbastanza bene; l’occhio del barone corse verso il bracciuolo di destra accanto alla finestra e vi ritrovò la brucia ­tura fatta da lui in un Natale dell’infanzia, con un pezzo di carbone incandescente tolto dal braciere delle castagne, che lui si era divertito a lanciare in aria con una paletta. Poi il buco era stato riparato con una pezza della stessa stoffa un po’ più nuova che era sem ­pre là ma ancora di colore diverso nonostante i molti an ­ni che erano trascorsi.

Da lì passò nello studio bi ­blioteca. Qui tutto sembrava in ordine come se gli anni non fossero passati; in un angolo c’era la cassa scura che ave ­va sempre esercitato su di lui ragazzo una grande attrattiva per gli oggetti affascinanti che conteneva. Ma il nonno la te ­neva sempre chiusa a chiave appunto per evitare che lui frugasse in quelle vecchie carte col francobollo di Ferdinando di Borbone, le pipe di schiuma chiuse negli appositi astucci di velluto entro i quali era modellata la forma del ­la pipa, le rotonde custodie di latta che conservavano diplo ­mi dei suoi bisnonni, una lau ­rea in medicina del 1700 in forma di libretto, richiami per le quaglie, sacchetti di pallini da caccia e scatole di tappi cerati per le cartucce.

*

Il barone alzò il coperchio; l’interno della cassa gli apparve come una volta: cera ­no le custodie tubolari, la lau ­rea del 1700, gli astucci delle pipe di schiuma: anzi uno conteneva un bocchino che raffigurava un pastore seduto su una roccia intento a suonare un piffero, in cima al piffero c’era il buco nero per incastravi la sigaretta, l’alloggiamento nel velluto della scatola seguiva tutti gli ango ­li e i rilievi del bocchino che era pieno di volute e di pun ­te; la schiuma porosa era in ­giallita dal fumo di sigarette fumate forse verso la fine dell’Ottocento da qualche mon ­dano bisavolo che amava far ­si vedere in giro tenendo fra i denti quel monumentale e complicato bocchino.

Attraverso i vetri della li ­breria si vedevano i dorsi di alcuni volumi: Massimo d’Azeglio, Emilio de Marchi, An ­tonio Fogazzaro, L’amore che torna di Guido da Verona ac ­canto al solito trattato di me ­dicina del 1700 rilegato in cartapecora, Postuma di Lo ­renzo Stecchetti, Gli sperona ­tori dell’Oregon, di Emilio Salgari.

Nella cucina un porcellino d’india spaventato si nascose sotto i fornelli. Dal balcone che aveva in basso una larga fessura si vedeva un po’ di pavimento del terrazzino di servizio che con una scaletta di pietra conduceva nel cor ­tile: era da quella fessura che entravano chi sa da quanti anni polli conigli e porcellini d’india ispezionando la cuci ­na le cui mattonelle erano tra ­sformate in una specie di pa ­vimento di piccionaia.

*

Un poco emozionato da quelle vecchie cose il barone salì le scalette che portavano alla foresteria nell’ammezzato piene per lui di memorie di adolescenza. Due o tre stanze dai soffitti bassi con bei mo ­bili di noce, una scrivania con due file di tiretti che arriva ­vano fino a terra, letti di ot ­tone, lumi a petrolio istoria ­ti. La foresteria aveva anche un ingresso a parte con una scaletta esterna che arrivava nel cortile.

Entrando nello studio dove aveva tanto giocato da ragaz ­zo il barone avvertì un’aria strana diversa da quella delle altre stanze, un’aria pulita co ­me se le finestre fossero state aperte fino a poco tempo prima. Inoltre gli occhi gli cad ­dero subito su un giornale di grande formato posato su una sedia, il cui titolo era 15 stam ­pato a grandi e neri caratteri; stupito lo raccolse, recava la data dell’ottobre 1967, e sotto c’era una copia di Paese-sera con la data del giorno prima.

Quel giornale ancora fre ­sco di stampa in quella casa abbandonata da almeno quarant’anni gli fece passare un brivido nella schiena. Guardò in giro e non ebbe il coraggio di avventurarsi nella stanza vicina.

Il cassetto della scrivania era un poco socchiuso, il ba ­rone lo tirò piano piano esi ­tando, vide sei o sette libri dal ­le rilegature moderne, acco ­stando l’occhio riconobbe al ­cune copertine delle edizioni di Feltrinelli e di Garzanti. Tirò su un libro era L’incom ­piuto di Francesco Leonetti; il secondo volume che gli ca ­pitò sottomano era Barcelona di Germano Lombardi. Frugò ancora nervosamente: un libro di Balestrini, La struttura as ­sente di Umberto Eco, tre nu ­meri di Marcatré, un volume di Manganelli. Senza più con ­trollarsi il barone gridò: « Chi c’è di là? ».

Nessuno rispose. « Chi è là? » gridò ancora il barone.

Gli parve di sentire come un fruscio leggerissimo di pas ­si nella scaletta esterna.

Raccolse quei libri, la copia di 15 e scese giù di corsa nel ­la biblioteca, aprì una fine ­stra.

*

Il parco ricoperto da una fitta e tenera erbetta verde era immerso in una silenziosa dol ­cissima aria autunnale. Si sen ­tì il canto di un pettirosso.

Il barone prese la doppiet ­ta che aveva appoggiato in un angolo accanto alla libreria la apri e vi fece scivolare dentro due cartucce caricate a palli ­ni numero 9, si affacciò alla finestra e gridò ancora nell’a ­ria un po’ umida e struggen ­te del parco: « Chi è là? Vie ­ni fuori o sparo ».

Nessuno rispose. Il barone tirò un colpo in aria. La deto ­nazione echeggiò e si perdet ­te nel silenzio del bosco creando per un attimo un affascinante clima di caccia autunnale.

A un tratto dalla parte del ­la legnaia si vide correre qual ­cuno; era un capellone che fuggiva curvo e veloce simi ­le a un grosso cocker nero, coi capelli svolazzanti al vento della corsa. Evidentemente quel capellone di campagna si era istallato chi sa da quan ­to tempo nella casa disabitata.

« Ferma! Ferma! » gridò il barone esasperato e gli sca ­gliò dietro i libri che aveva in mano, poi intanto che ca ­devano sfarfallando li colpì a volo con la seconda fucilata.

Mentre il capellone, ventre a terra, si cacciava nel bosco e spariva, i libri piombarono sull’erba del parco tartassati; il grande numero di 15 si po ­sò scandalosamente aperto sul’erbetta verde tutto bucherel ­lato dalla schioppettata.


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Bart