LETTERATURA: I MAESTRI: Obbedienza e dissenso -Vecchi e nuovi preti – #3/6
25 Gennaio 2008
di Carlo Bo
[dal “Corriere della Sera”, sabato 6 settembre 1969] Â
Cesare Angelini, il nostro don Cesare, mi manda un altro dei suoi preziosi volu Âmetti: Ritratto di Vescovo (Monsignor Giovanni Cazzani), primo dei Quaderni del Seminario di Pavia. Ritratto di ‘un Vescovo di antica li Âturgia’, dice l’autore: stupen Âda pagina per un’ideale anto Âlogia della pietà . Soprattutto nella prima parte del discor Âso, quella che riguarda il pe Âriodo cesenate del Cazzani che trovò poi la sua defini Âtiva sistemazione a Cremona, l’Angelini ci offre ancora una volta la misura di una prosa nuova, cristiana e classica in Âsieme: esempio unico in un secolo dove pure non sono mancati scrittori di stretta ubbidienza cattolica. Si sente che una vita non è stata spesa inutilmente e che ora ha il suo premio nel più alto magistero della parola. Certo che dal ritratto del Vescovo salta fuori un’immagine di cattolicesimo che oggi non sembra più godere di nessun credito. La figura stessa del Cazzani si ispira ad una particolare ragione di ubbi Âdienza che nella situazione attuale viene contrastata ro Âbustamente o addirittura in Âtesa come un errore o un tradimento del Vangelo (i recenti casi di don Mazzi sono davanti a tutti noi).
Così quando l’Angelini viene a toccare questo problema rifacendo la storia del Cazza Âni cesenate trova – almeno a nostro giudizio – la parola più giusta che è poi di netto sapore manzoniano: « In cer Âte occasioni, uno è più grande nell’ubbidienza che ap Âparentemente lo cancella, che non nella disubbidienza che apparentemente lo solleva ». Si tratta di una verità eterna che va molto al di là del caso particolare che c’interessa in questo momento: so Âprattutto è una di quelle tre o quattro verità che oggi vengono allegramente saltate e vituperate come ‘ scandalose ‘.
Con questo non si intende affatto dire che chi si muove sotto l’ispirazione della sua convinzione e per questo si trovi ad essere in contrasto con l’autorità religiosa non ne senta tutto il dolore e il suo cuore di fedele non sanguini. No, si vuol dire soltanto che ci sono due prezzi da pagare, e nell’ubbidienza e nella disubbidienza, e che forse il primo supera di gran lungo il secondo. La ragione è semplice: chi ubbidisce fe Ârendo il proprio orgoglio non ha nessuno che lo stia a sentire, non ha amici. Chi disub Âbidisce – oggi poi che il più piccolo rumore si trasforma subito in tempesta – ha pronta una legione di spiriti interessati a far eco, a forza Âre il significato di certi ‘ no ‘.
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E’ storia di tutti i giorni e non ci vuol molto a capire che col tempo la vittima del Âla disubbidienza gridata si trasforma insensibilmente in eroe: di qui una serie di com Âpiacenze e di vanità che, se hanno una facile catalogazio Âne umana, mancano però del Âl’indispensabile contraccolpo religioso. Lo scontro non è più fra due opinioni, fra due giudizi della storia ma fra due persone o meglio fra due simboli della società . Anche senza volerlo, la vittima del Âla disubbidienza svende in pubblico quelle che pure in partenza erano delle ottime ragioni critiche e in questo lavoro finisce per trovare una compensazione, anche se al fondo appare il volto vero dell’illusione.
Ma se questo è il nuovo regime per cui la disubbi Âdienza sembra essere diventa Âta la regola, tutto diverso era l’antico regime dell’ubbidien Âza a tutti i costi, quello, cioè, di cui il Cazzani fu a suo tem Âpo un fedele illustre. E’ la storia di secoli fatti di rinun Âce e di silenzi e di sofferenze che non avevano platee di alcun genere e che finivano per morire nell’ombra e nella lenta comunione dell’eterno. Di questi disubbidienti che hanno immediatamente rispo Âsto al primo richiamo gli sto Ârici qualcosa hanno illuminato ma di quello che era il gran Âde tesoro di spirito cristiano formato da mille esempi di rinuncia nessuno sa niente e non è possibile immaginarne le proporzioni. Si sa soltanto che indirettamente esso ha ispirato il senso stesso della verità , perché a suo modo era un ‘ segno del tempo ‘, un seme che avrebbe fruttifi Âcato più tardi. La storia del modernismo sembra fatta a posta per testimoniare in que Âsto senso. Lo stesso principio vale per il giansenismo, di cui per l’appunto si trova qualche eco nella formazione del vescovo di Angelini. Se prima fosse mancata questa barriera dell’ubbidienza, se, cioè, si fosse ceduto al pri Âmo impulso della ribellione probabilmente gran parte di quei fermenti si sarebbero perduti, avrebbero preso un’altra strada e non avrebbero più potuto incidere sulla vita stes Âsa del cattolicesimo.
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Non intendiamo, per questo, difendere gli errori dell’auto Ârità : vogliamo soltanto dire che tali errori nell’ambito della verità spirituale personale hanno un loro peso, vanno a far parte di un altro registro, appartengono a un’altra con Âtabilità . Ora è proprio di que Âsta contabilità che le nuove tendenze sembrano voler igno Ârare l’esistenza, figuriamoci il valore di sollecitazione mora Âle. Limitando la « rissa cri Âstiana » a un rapporto di forze fra l’alto e il basso si fomen Âterà certo un maggior spirito di giustizia terrena ma nello stesso tempo si sposteranno i termini della questione, pun Âtando tutte le carte sul tavolo dei risultati politici. Lo spiri Âto di unità in tal modo salta viene vanificato. Ed era inve Âce in nome di questa unità che dai disubbidienti di un tem Âpo, disubbidienti fino alla sco Âmunica, veniva scelto il silen Âzio e si preferiva l’ombra alla luce dei riflettori, la mortifi Âcazione ai comunicati-stampa.
A questa luce non possono sussistere più dubbi: il prezzo pagato dal Buonaiuti era enor Âme, aveva un peso che nessu Âna manifestazione teatrale dei nostri giorni potrà mai avere.
Ma non basta, chi ubbidi Âsce non commette un atto di viltà né dà prova di spirito di dimissione. La sua risposta ha un senso ben preciso, quello di rimettere a un altro giudice la sentenza. Beninteso, qui si parla di casi in cui non siano da mettere in dubbio la since Ârità e l’onestà delle due parti: ma quando chi comanda e chi ubbidisce rispondono soltanto a questo criterio, inevitabil Âmente si rivolgono a qualcuno che sta al di sopra e che in Âdovina le sorti del domani. E ancora, il processo si svolge in due tempi: il primo appar Âtiene a chi propone nuove in Âterpretazioni, il secondo vie Âne dall’autorità . In altre paro Âle, è uno scontro fra la realtà e il simbolo ed è – in ultima analisi – uno scontro nell’am Âbito della stessa verità .
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C’è infine un ultimo proble Âma: chi dei due favorisce di più il naturale sviluppo della fede? Chi accetta la risposta in spirito di ubbidienza o chi disubbidendo vuole sottolinea Âre la propria indipendenza? La risposta sta ancora nel regi Âstro dell’unità . Anche il più sincero dei disubbidienti e de Âgli impazienti sente che la sua è una lotta personale, parti Âcolare, dove oltre tutto, la parte dei commenti pretestuo Âsi minaccia di annullare quella delle reazioni critiche. Pensia Âmo ancora al Buonaiuti, alla sua ostinazione nel voler re Âstare vicino alla Chiesa che pure lo aveva condannato e della cui forza terrena soppor Âtava le più cocenti delusioni e amarezze: ebbene quella sua ostinazione era pur sempre un simulacro della sua volontà di ubbidienza. Non rinnegava la sua verità ma nello stesso tempo accettava con saldezza di cuore la sentenza che lo privava della vita che gli era più necessaria.
Lo sappiamo, i confronti sono pericolosi: resta il fatto che il cristianesimo del disub Âbidiente Buonaiuti aveva un carattere tutto interiore men Âtre il fenomeno che si ripete quotidianamente dei nuovi ri Âbelli appartiene piuttosto alla storia del dissenso; intanto è pubblico e senza questo pub Âblico non nascerebbe neppure e non riesce a nascondere al di sotto delle fiamme spettaco Âlari l’assenza della cenere, di quella cenere che è il primo segno del cristiano che ricono Âsce i propri limiti e la sua infi Ânita miseria.
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