LETTERATURA: I MAESTRI: Oscar Wilde: La ricerca del tragico5 Marzo 2019 di Edmund Wilson Una scelta di scritti di Oscar Wilde, con una dozzina di lettere inedite e una prefazione di Richard Aldington, è stata pubblicata dalla Viking Press nella sua collana della « Portable Library » ; presso Harper sta per uscire una sua biografia: Oscar Wilde: His Life and Wit di Hesketh Pear son. Questo libro ha un carattere giornalistico: il Pearson è infatti un ex attore che si è messo a scrivere e al quale si debbono anche biografie di Erasmus Darwin, Sydney Smith, Hazlitt, Gilbert e Sullivan, Labouchère, Anna Seward, Tom Paine, Shakespeare, Bernard Shaw e Conan Doyle. Il suo libro costituisce comunque una lettura interessante, in quan to egli ha raccolto da varie fonti una immensa quantità di aneddoti e battute ed è riuscito a darci un racconto più stringato di quanto non accada di solito quando si parla di Wilde. Finora di Oscar Wilde avevano scritto quasi sol tanto amici suoi personali, le diatribe si fanno sempre più velenose col passare del tempo. Il Pearson invece è assolu tamente estraneo a tutte queste beghe e scrive quindi in modo sensato e tranquillo; ma il suo libro costituisce soltanto un altro esempio del tipo di biografia più banale e aggiunge dunque ben poco alla nostra conoscenza dell’argomento: è una biografìa acritica, non analitica e, pur trattando di cose letterarie, essenzialmente non letteraria. Tuttavia il Pearson narra la vicenda di Wilde con una nuova vivacità che è a tutto vantaggio dell’opera. La pub blica ignominia del processo di Wilde ha finito per offusca re a tal punto tutta la sua precedente carriera e le sue bril lanti capacità che è un’ottima cosa vedercelo ora presentato da qualcuno che, senza alcun timore di ammirarlo, lo resti tuisca agli onori e al prestigio degli anni anteriori alla sua rovina. La biografia di Frank Harris, per esempio, ci pre senta un ritratto assolutamente grottesco dei genitori di Oscar, Sir William e Lady Wilde. Frank Harris si sofferma con compiaciuta insistenza sulla cattiva fama di impe nitente dongiovanni del padre dello scrittore, ma non rac conta quasi nulla della famiglia Wilde, ad eccezione del processo scandalistico in cui il vecchio Wilde fu coinvolto allorché una giovane signora più o meno squilibrata, già sua paziente, lo accusò di averla violentata mentre era sotto anestesia. Né egli ci dice molto su Lady Wilde, se non che R.Y. Tyrell la considera « una creatura pretenziosa » con una « fama fondata su versi mediocri ». Lord Alfred Dou glas, nel libro Oscar Wilde and Myself, firmato da lui ma scritto da altri, ha avallato con la sua firma certe spiritosag gini piuttosto avventate circa le origini e la condizione del la famiglia Wilde. Per quanto mi risulta, il Pearson è fra i biografi di Oscar Wilde il primo che renda giustizia ai suoi ottimi genitori, ed una nuova biografia del vecchio Wilde â— Victorian Doctor di T.G. Wilson â— fornisce un quadro an cora più completo dei precedenti familiari di Oscar. Que st’ultimo libro, opera di un medico di Dublino, costituisce una cronaca di vario interesse su avvenimenti politici e me dici e studi archeologici in Irlanda, e conferma le notizie del Pearson sull’importanza di Lady Wilde nel primo di questi campi e sulla ragguardevole posizione di suo marito negli altri due. William Wilde, insignito per i suoi meriti del titolo di baronetto, era, a quanto sembra, uno dei mas simi otoiatri e oculisti del mondo di lingua inglese del suo tempo; Jane_Francesca Elgee (gli Elgee erano Algiati di Firenze, e di questa componente italiana nelle origini di Oscar bisogna tener e conto nel considerare le sue inclina zioni teatrali e il suo gusto del liberty), per quanto poetessa men che mediocre, aveva avuto in gioventù una parte co spicua nel movimento nazionalista irlandese e in seguito, oltre a tradurre dal tedesco e dal francese, fu autrice di libri su problemi sociali. Entrambi erano persone di vasta cul tura e di notevoli doti intellettuali, e avevano un carattere indipendente e una personalità originale che talvolta li re sero poco graditi alla società dublinese. Oscar fu allevato in questa tradizione e la seguì fin dai primissimi anni. Benché amasse ostentare trascuratezza e pigrizia, aveva una prodigiosa capacità di assimilazione e, a quanto sembra, nel periodo trascorso a Oxford, si distinse come il miglior grecista del suo corso. Non gli mancavano nemmeno forza e coraggio : l’idea di un Oscar Wilde molle e smidollato è in parte conseguenza della sua « posa estetiz zante », parodiata da Gilbert in Patience e, in parte di una in giustificata deduzione dalle sue abitudini omosessuali. Il Pearson ci racconta che Oscar, durante un’escursione com piuta da studente in una delle zone più impervie della Grecia, andava armato di fucile e avrebbe tenuto testa agli osti li abitanti del luogo con lo stesso coraggio di un Byron; così come in seguito, negli Stati Uniti, egli si guadagnò il rispet to dei cow-boy, dei minatori del Colorado e dei bohémiens di San Francisco per l’intrepido buon umore con cui sop portava la dura e selvaggia esistenza dei pionieri e per la sua capacità di reggere l’alcool (qualità che, anche al culmine dei suoi risentimenti, Lord Alfred Douglas riconosce ad Oscar Wilde fin quasi alle soglie della morte). Il Pearson, sulla scorta di una testimonianza di un condiscepolo di Oscar Wilde al Magdalen College di Oxford, riesce a smen tire la storia secondo la quale egli fu ridotto a mal partito da un gruppo di studenti, che gli avrebbero anche spaccato i denti. « Era tutt’altro che un esteta rammollito, » dice questo suo coetaneo, Sir Frank Benson, « e c’era un solo studente nell’istituto, settimo remo nell’equipaggio di Oxford, che aves se una vaga possibilità di spuntarla in una baruffa con Wil de. » Quando una banda di studenti che volevano suonarglie le mandò nel suo alloggio quattro ragazzi un po’ sbronzi, Wil de riuscì a sbatterli fuori e sollevando l’ultimo di loro come un bamboccio « lo portò in camera sua e dopo averlo ceri moniosamente seppellito sotto una catasta di suoi lussuosi mobili, invitò gli spettatori, ora tutti dalla sua parte, ad as saggiare i vini e i liquori dell’amico: invito che fu accettato con particolare piacere data la presente sventura e la pas sata spilorceria dell’interessato ». Proprio questa sicurezza di se e questo coraggio lo indussero purtroppo a fare causa per diffamazione al marchese di Queensberry e lo sostennero du rante il processo celebrato a suo carico su denuncia dell’au torità giudiziaria. Il Pearson offre una divertente versione (vista naturalmente solo dalla parte di Wilde) del modo in cui egli ricevette il marchese e un pugilatore che gli faceva da guardia del corpo quando il Queensberry venne a casa sua per insultarlo: « Questo è il marchese di Queensberry, » egli disse al valletto diciassettenne, « la più grande bestia di Londra. Non dovete mai più permettergli di entrare in casa mia. » Molto, dunque, di questo libro di Pearson con ferma l’opinione espressa da W.B. Yeats nella sua autobio grafia secondo la quale Wilde era « essenzialmente un uomo d’azione, scrittore per ripicca e per caso, che sarebbe riuscito molto meglio come militare o politico ». Dopo decenni di polemiche fra gli amici di Wilde per stabilire chi fosse la causa della sua rovina e chi, nei suoi anni di esilio, gli diede o non gli diede del denaro, è vera mente un sollievo leggere un libro che mette in evidenza l’aspetto più forte della personalità di Wilde, nonché la sua naturale generosità e gentilezza, di cui il Pearson offre mol ti esempi. Ma è un difetto di questa biografia il fatto che l’autore tenda ad ignorare, per quanto non possa escluderla, la fondamentale perversione di Wilde. L’unico tentativo del Pearson di far luce sulle complesse contraddizioni del carat tere di Wilde è la tesi secondo cui la sua intelligenza si sa rebbe sviluppata molto al di là della sua struttura emotiva, rimasta invece immatura. Ma la perversione di Oscar Wil de â— termine che non vuole esprimere semplicemente la sua inversione sessuale â— era parte integrante del suo pen siero così come della sua vita emotiva. Di qui nasce tut ta la forza del suo ingegno. Come ha scritto in De Pro-fundis, Wilde considerava se stesso « uno di quelli che sono fatti per le eccezioni, non per le regole ». Nei suoi scritti Wilde ha come un dono particolare di esprimere questo suo impulso in una forma che affascina e sconvolge al tempo medesimo; ma la sua stessa perversione fu anche il princi pale motivo della sua tragedia che, in certo qual modo, è ancor più commovente dei suoi scritti o, meglio, che da ai suoi scritti una commozione che altrimenti non potrebbero avere. Nessuno dei suoi biografi ha mai veramente affrontato questo dramma. L’omosessualità non ne costituiva che un elemento: dal punto di vista morale, non v’era nulla di ine vitabile nella punizione da lui subita per questo. È assurdo che Bernard Shaw dica, nella sua prefazione alla nuova edizione del libro di Frank Harris su Wilde, che « la rovina di Oscar fu causata dalla sua trasgressione al codice pena le e a null’altro ». La sua querela contro il marchese di Queensberry fu un’azione disinteressata benché malaccorta, ispirata dalla sua infatuazione per Lord Alfred Douglas, il quale, puerile ed isterico lui stesso, voleva vendicarsi del suo rabbioso padre, e che nemmeno per un secondo esitò, per il proprio egoistico rancore, ad esporre Oscar ai più gra vi rischi. Lord Alfred, come ci appare nelle descrizioni di altre persone e nei suoi stessi scritti in cui cerca di giustifi carsi, fa un’impressione così sgradevole che soltanto leggen do Dorian Gray e The Portrait of Mr. W.H., in cui Wil de prima del suo incontro con Douglas descrive il pro prio ideale romantico, possiamo vedere in che modo Lord Alfred rappresentasse questo ideale; e soltanto leggendo il sonetto di Douglas su Wilde, scritto dopo la morte di que st’ultimo, possiamo vedere che l’ammirazione di Wilde stes so non era completamente infondata. Ma certamente la macchina della tragedia fu messa in movimento, da parte di Wilde, mediante questa idealizzazione di Douglas, e da par te di Douglas con F adozione di Wilde come una specie di sostituto paterno che nel suo pensiero potesse opporsi al suo vero padre. Ma un altro problema è come mai Oscar, dopo aver perduto la causa contro Queensberry, decidesse di restare in Inghilterra per il secondo procedimento penale â— avendo la giuria ricorso contro il verdetto del primo â— in cui egli venne perseguito d’ufficio per accuse derivanti dalle prove presentate nella prima causa da Queensberry, quando in vece avrebbe potuto benissimo rifugiarsi nel Continente. Ciò viene spiegato di solito col battagliero orgoglio irlandese di Wilde, per giunta stimolato da quello della madre, che gli aveva detto che se fosse fuggito non gli avrebbe mai più rivolto la parola; e viene spiegato pure col suo desiderio di difendere la propria reputazione nell’interesse della moglie ( dei figli. Ma a quell’epoca egli già sapeva qual era la pro va a suo carico ed avrebbe dovuto prevedere la sua sconfitta così come avrebbe dovuto avere l’accortezza di non pren dere l’iniziativa querelando Queensberry (Bernard Shaw di ce che, quando fece questo, Wilde era ubriaco). Vorrei sottolineare che fin da molto tempo prima di incappare nel lac cio che lo avrebbe trascinato fino al carcere di Reading, Wilde denota nei suoi scritti come un senso di dannazione, un presagio di tragico fallimento. Tale è il tema del sonetto Hélas!, come pure di Dorian Gray: esso riecheggia, rileva il Pearson, perfino in An Ideal Husband. E il conflitto de stinato a concludersi nel crollo è rispecchiato nella continua contrapposizione operata da Wilde tra quello che egli con siderava il suo lato « pagano » e quelli che invece riteneva i suoi istinti « cristiani », volendo riferirsi con tali perifrasi letterarie ai suoi appetiti da un lato e al suo senso morale dall’altro. Per un « esteta », come il maestro di Wilde, Walter Pater, era possibile partecipare di entrambi i punti di vista in uno stato di serena contemplazione; ma, benché Wilde potesse vedere la « bellezza » così nei piaceri sen suali dell’uno come nelle sofferenze che l’altro punto di vista comportava, non poteva fare a meno di sentirsi, dietro la sua sorridente maschera di sicurezza, profondamente trava gliato e lacerato dalla contraddizione. L’impulso della per versione si esercitava in lui costantemente in entrambe le di rezioni : lo costringeva non solo a deludere le aspettative del mondo normale con i suoi sconcertanti paradossi e lo scan daloso comportamento, ma lo induceva altresì a tradire il suo credo pagano indulgendo in una cristiana compunzione. A. momenti si ha l’impressione che non solo egli paventasse la catastrofe ma che perfino in un certo senso la sollecitasse; è appunto quando sentiamo che, dopo essersi fatto beffe del mondo rispettabile accumulando una grande quantità di de naro e ottenendo grande successo in società con lo spregio di ogni norma e costume, egli si rivolse contro la sua propria arroganza e prese a calci, per così dire, e denaro e successo. A illuminare in qualche modo questo quadro psicolo gico può servire il ritratto che di Wilde traccia Yeats in The Trembling of the Veil. Yeats parla della famiglia Wilde in Manda definendola « molto fantasiosa e colta », « sporca, disordinata » e « temeraria » e parla del « sangue semici vilizzato » di Wilde che non gli permetteva di « sopportare la fatica sedentaria di un’arte creativa ». È vero senz’altro che, pur con molta sensibilità e nobiltà, Wilde aveva anche una certa rozzezza, e il suo perseguimento dell’ideale « pagano » ebbe sempre una tendenza a condurlo all’ostentazio ne e alla sregolatezza volgare. Il guaio è che quando, allevato nel lusso, egli se ne allontana disgustato, ciò non avviene di solito nella direzione della « sedentaria fatica di un’arte creativa » ma nella direzione di una versione dell’ideale cri stiano di umiltà e abnegazione che è essa stessa ostentata e volgare: certe sue fiabe possono offrirci sconcertanti indica zioni al riguardo. Pur tuttavia si ritrova in lui, in certi mo menti, anche un senso di colpa e l’amaro cruccio di essere caduto tanto più in basso degli ideali sognati. C’è natural mente nel De Profundis una certa dose di querulo sentimentalismo cristiano, ma c’è anche l’altra cosa. « Quando io vedo, » egli dice con una certa saggezza, « che non v’è nulla di male in quel che uno fa, vedo che qualcosa di male c’è in quel che uno diventa. » Uno dei suoi principali rimpro veri a Lord Alfred Douglas, sia che questi lo meritasse o meno, è che egli interferiva col suo lavoro; ed è appunto questa coscienza di colpa per aver trascurato il lavoro piut tosto che il dolore di aver danneggiato la famiglia a fargli sentire in carcere come sia giusto per lui espiare i propri di sordini. Anche in questo caso, per la verità, egli sta reci tando, e vi sono le prove, come indica il Pearson (che po trebbe aver aggiunto la testimonianza di Ford Madox Ford), che Oscar esagerò in qualche occasione la miseria e lo squal lore dei suoi ultimi anni. Ma il fatto di recitare sempre non sminuisce il valore della sua recitazione. Non è una parte semplicemente letteraria. Nei suoi scritti, la sua immagina zione assume spesso’ travestimenti di sfarzo e di stracci; sol tanto al meglio delle sue risorse intellettuali â— ossia quando ritroviamo il suo ingegno al massimo di purezza e spoglio d’ogni compiaciuto artificio â— egli raggiunge uno stile ec cellente. Bisogna combinare i suoi scritti, i ricordi della sua conversazione e gli avvenimenti della sua vita per apprez zare adeguatamente Wilde e per accorgersi che, pur non potendosi definire precisamente uno scrittore di prim’ordine, egli ha offerto per così dire uno spettacolo di prim’ordine. Non c’è ancora nessuna biografia di Wilde che fornisca tutti i retroscena di questo dramma e le sole descrizioni di lui che denotino una qualche vera intuizione psicologica sono quelle di Yeats e di Gide. Sembra che proprio a Gide, sempre assai sensibile ai problemi morali, Wilde, a sua volta sempre ben consapevole di chi l’ascoltava, abbia fatto la più viva rivelazione di come concepisse il suo proprio ruolo nel le successive scene della commedia. « II mio dovere verso me stesso, » disse a Gide incontrandolo in Algeria nel gen naio 1895, quando già il marchese di Queensberry aveva cominciato a tormentarlo, « è di divertirmi tremendamente… nessuna felicità â— soltanto piacere. Bisogna sempre cercare quel che è più tragico…(1) I miei amici sono straordinari; mi consigliano di essere prudente. Oh, la prudenza! â— È mai possibile per me? Sarebbe come un ritornare sui miei passi, mentre debbo spingere le cose il più lontano possibile. Non posso andare oltre, e qualcosa dovrà capitare… qualcosa di diverso. » E in seguito, quando era già uscito di prigione e Gide era andato a trovarlo in Francia : « Non bisogna mai riprendere la stessa esistenza di prima. La mia vita è come un’opera d’arte : un artista non ripete mai la stessa opera o, se lo fa, è solo perché non c’è riuscito la prima volta, La vita prima che andassi in prigione è stata il più grande s cesso possibile. Ora è una cosa compiuta. » Quanto all’aspetto clinico del caso Wilde, nessuno lo ha attentamente studiato, benché l’uomo meriti lo stesso tipo di attenzione che è stato dedicato a Maupassant e a Swift. Il Pearson, il dottor Wilson e Frank Harris hanno sottoli neato l’impressionante parallelismo fra gli ultimi anni della vita di Oscar e gli ultimi anni di Sir William Wilde. Entram bi vennero trascinati alla rovina, quando la loro fama era al vertice, da scandali sessuali che li portarono davanti alla giustizia, e il padre si ritirò poi da Dublino abbandonando quasi completamente la professione, così come il figlio fuggì in Francia e smise di scrivere. L’esempio paterno esercitò in questo caso una sua determinata influenza ovvero, sia nel padre che nel figlio, agì uno stesso principio patologico? Bernard Shaw, nel suo saggio sulla biografia di Harris, avan za la tesi che sia Oscar sia la madre presentavano i sintomi di una disfunzione della glandola pituitaria, e il dottor Wil son ha discusso questa tesi alla luce di più recenti studi sui diversi tipi glandolari. Ma c’è evidentemente un altro fatto re nella patologia di Oscar Wilde: un fattore che, a quanto mi risulta, non è mai stato messo in evidenza se non negli scritti dello stravagante e non omosessuale amico di Wilde, Robert Harborough Sherard. Di solito nei libri su Wilde ci viene riferito, come se si trattasse di cosa di interesse pura mente marginale, che egli morì probabilmente di sifilide. Ma se davvero fu vittima della sifilide, è certo importante cono scere in che modo avesse contratto la malattia e per quanto tempo e con quale gravita ne avesse sofferto. Apprendiamo ora dal libro del dottor Wilson che egli l’avrebbe contratta a Oxford, ma il Wilson non si dilunga sull’argomento. Se venisse dimostrato che nella sua vita di adulto Wilde fu tor mentato da un’infezione luetica non curata, ciò aiuterebbe a comprenderlo meglio; e di questa sua malattia â— rapida mente aggravatasi, si dice, per la sua intemperanza nel bere durante gli ultimi anni â— bisognerebbe certamente tenere conto nel valutare l’estremo crollo morale dello scrittore. Nei casi di Baudelaire e Maupassant, appare evidente che il cu po malcontento dell’uno e il disperato pessimismo dell’altro rispecchiavano sinistramente la condanna del sifilitico in un’epoca in cui la malattia era incurabile. Nel caso di Wilde, l’uomo è così disarmante, l’opera vivace e divertente, che i suoi biografi â— dovendo già fare i conti col problema della sua omosessualità, sembrano riluttanti a farli con un altro sgradevole elemento; ma io credo che schivandolo essi smi nuiscano anche l’interesse dell’opera di Oscar Wilde e la tra gedia della sua vita. Si legga The Picture of Dorian Gray o perfino la più bella delle sue fiabe, The Birthday of The Infanta, ponendo mente alla Spirochacta pallida. In tali vicende i tragici protagonisti ci appaiono nella tipica condi zione di malati â— nel primo caso, una corruzione morale che si diffonde; nell’altro, un permanente senso di repulsione â— senza che, fino ad un certo punto, siano costretti a sperimentare i danni che le rispettive malattie comportano. Do rian Gray nasconde i suoi vizi e riesce ad eluderne le conse guenze; in The Birthday of the Infanta, il Nano non è rat tristato o amareggiato dalla sua bruttezza in quanto non conosce il proprio aspetto. Ma in entrambi i casi, alla fine, l’or rore si manifesta: l’afflitto deve riconoscere se stesso ed es sere riconosciuto dagli altri per l’odiosa creatura che è, e la sua malattia o invalidità lo uccideranno. Questo motivo di rovina impendente, è ricorrente in Wilde, e deve avere un qualche strettissimo legame con la sua concezione della pro pria natura e della sorte ad essa connessa. Lo si può spiegare anche semplicemente in rapporto alla vita sessuale e morale di Wilde, senza supporto condannato dalla sifilide ; ma è dif ficile credere che un carattere così duttile e spensierato possa aver subito un crollo talmente completo e rapido senza al cuna rovinosa causa fisica. 29 giugno 1946 Un volume intitolato The Trials of Oscar Wilde, apparso nella collana dei « Notable British Trials », ha rivelato in se guito quei fatti clinici che mancano nelle biografie dello scrit tore. Cito dall’appendice E del curatore H. Montgomery Hyde: « Certo è che Wilde non denotò nell’adolescenza e nella sua prima età adulta alcun segno di anormalità. Anzi sem bra che le sue inclinazioni fossero decisamente eterosessuali. Studente a Oxford, egli si contagiò di sifilide in seguito ad un rapporto casuale, probabilmente con una prostituta. A quel l’epoca la cura riconosciuta per tale malattia era quella del mercurio. Nel caso di Wilde il trattamento fu indubbiamente la causa di quei guasti alla dentatura che segnarono in modo permanente la sua fisionomia per il resto della vita e aggravarono l’impressione di ipertrofia e di bruttezza che egli produceva in chi veniva a conoscere. Si può aggiungere che in lui non vi fu mai il minimo segno di effeminatezza, sia ad Oxford che in ogni altro successivo periodo… Sappiamo pure che egli era profondamente innamorato della moglie all’epo ca del matrimonio e che ebbe con lei normali rapporti ses suali, tanto che dall’unione nacquero due figli, prima che si verificasse la rottura… Prima di chiedere la mano della moglie, Wilde si era fatto visitare da un dottore di Londra, dal quale aveva avuto assicurazione di essere completamente guarito della sua malattia giovanile. Sulla base di tale assicu razione egli si sposò. Ma circa due anni dopo scoprì con grave disappunto che non tutti i segni della sifilide erano scomparsi dal suo organismo, e fu questa spiacevole scoperta che lo obbligò a interrompere i rapporti fisici con la moglie. Di conseguenza, fra l’altro, egli si diede all’omosessualità. » II dottore che lo assistette in carcere riferì che la malattia di Wilde era allora ad uno stadio avanzato. Nulla di strano, dunque, che quando infine si trasferì sul Continente, egli smettesse di lavorare. (1) « Non la felicità! Soprattutto non la felicità. Il piacere. Bisogna desiderare sempre il più tragico. » La citazione è dal libretto di Gide su Wilde. E Gide aggiunge : « Non ho inventato niente, niente riadat tato, negli ultimi discorsi da me citati. Le parole di Wilde sono pre senti alla mia memoria e direi quasi al mio orecchio. »
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