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LETTERATURA: I MAESTRI: Vangelo senza Fede? #1/6

12 Dicembre 2008

di Carlo Bo
[dal “Corriere della Sera”, lunedì 28 luglio 1969]  

[Carlo Bo fu uno dei maggiori critici letterari del Novecento, esperto in modo particolare della letteratura francesce. Cattolico, scrisse vari articoli a riguardo della religione, della fede e della morale. Ne pubblichiamo alcuni, riservandoci più avanti nel tempo di inserire altri suoi articoli e brevi saggi letterari.]


Che cosa rimane da fare ai vecchi cristiani, ai fedeli della vecchia Chiesa cattolica? La domanda non è soltanto retorica e nasce dallo spettacolo delle crisi ricorrenti, degli abbandoni, dei congedi che segnano puntualmente le cronache degli ultimi anni. È di oggi l’annuncio della fine di Sìgnes du temps, il mensile che aveva rilevato la grande eredità della Vie Intellectuelle, la rivista dei domenicani francesi che ha nutrito per lo meno tre generazioni di cattolici di tutto il mondo. E’ pur vero che la rivista non è nuova a questo tipo di sospensioni ma le altre due volte il silenzio era stato scelto dagli uomini della redazione, prima all’arrivo dei tedeschi a Parigi e poi, nel 1956, al tempo dell’Algeria. Oggi il silenzio sembra essere stato imposto e senza fornire ragioni mo ­rali, invitando a puntare su dei motivi economici. Ma più ancora del silenzio, imposto, colpisce il modo con cui i re ­dattori di Signes du Temps salutano i lettori, gli amici, insomma tutta la larga famiglia di quanti aspettavano dalla rivista delle indicazioni e delle speranze. Il congedo è avvenuto in maniera molto triste e suona piuttosto come un addio alla vecchia Chiesa, anche se apparentemente viene riconfermata   come la   « no ­stra » Chiesa. I redattori aggiungono, peraltro, che continueranno a far sentire la loro voce altrove e con i mezzi che riterranno più idonei: ciò non toglie che si sia verificata nell’ambito di uno dei gruppi più vivi e intelligenti della Francia cattolica una rottura che difficilmente potrà essere composta e sanata.
La morte della rivista, d’altra parte, ci costringe a fare un rapido bilancio di ciò che è stato e di ciò che ha voluto dire il cattolicesimo francese degli ultimi quarant’anni. Si tratta davvero di un’epoca che sopporta     perfettamente un confronto serrato con le altre stagioni di grande individua ­zione spirituale. Non importa per il momento vedere se la parte del passivo – che è quella consacrata nell’ultimo numero dalle tragiche parole di Serrand – superi quel-dell’attivo, conta molto invece dire che il cattolicesimo del Novecento è stato fortemente arricchito e sostenuto dal gruppo   dei domenicani francesi. Si deve a loro se in anni di perfidi e ostinati silenzi la voce del Vangelo ha potuto raggiungere il nostro cuore e se i cattolici di Europa     non     hanno dovuto sempre arrossire di vergogna. È questo un merito che nessuno potrà negare a quegli uomini.
Al tempo della guer ­ra civile spagnola, nella tormenta del fascismo e del nazismo e poi nei difficili anni della ripresa, la rivista è stata di guida e ha rappresentato la verità cristiana là dove si preferiva giuocare di astu ­zia sui numeri del silenzio e delle troppo facili allusioni.
La parte del passivo è sta ­ta fatalmente segnata alla luce del nuovo corso della Chiesa nel senso che molte volte si aveva l’impressione che i mez ­zi di resistenza e di opposi ­zione non fossero più adegua ­ti ai tempi. Nel disordine del ­le proposte, delle rivendica ­zioni, insomma nel quadro di una lotta che investiva diret ­tamente e al cuore la Chiesa la parola dei domenicani ri ­sultava, se non inefficace, per lo meno insufficiente. Di que ­sto stato d’animo i primi ad accorgersene sono stati i re ­dattori e gli animatori della rivista e per questo oggi sem ­bra facile spiegarci l’atteggia ­mento di rottura e il loro addio che non consente nessun recupero del passato e vuole misurare soltanto i colori e le voci del futuro.
Naturalmente non ci sono obbiezioni da muovere, ognu ­no è libero di fare le scelte che vuole ma su un punto ci sia permesso porre una do ­manda che d’altra parte tocca e la nostra formazione e una accezione di cattolicesimo che non è – almeno per noi – del tutto morta. Che cosa fare? Chi guardi – limitiamo la no ­stra indagine alla sola Fran ­cia – le diverse posizioni, è costretto ad ammettere per pri ­ma cosa che è stata rovescia ­ta completamente l’idea di unità. Fra un cattolico come Mauriac o Maritain e un cat ­tolico nuovo intento a fissare sempre più rigidamente il con ­fronto della propria fede con il mondo non c’è più alcun punto d’incontro. E non c’è perché si tende a fare astra ­zione del primo dato indi ­spensabile, quello della fede. C’è un punto del saluto di Serrand che a noi sembra mol ­to importante ed è là dove chiede alla Chiesa di restituir ­ci il senso stesso della fede, un messaggio, il Vangelo.
Qui sta il punto vero della questione e sarebbe ipocrita nascondercelo ancora una vol ­ta. O, per meglio dire, ci tro ­viamo di fronte a due modi di concepire il cristianesimo.
I Mauriac e i Maritain non sono disposti a credere che tutta la colpa di questo muoverci nel nulla debba essere imputata       alla       Chiesa, intesa come organizzazione della verità cristiana. I nuovi cattolici, per contro, non hanno nessun dubbio al proposito Hanno accompagnato al cimitero la vecchia Chiesa e ora si chiedono: quali strade dob ­biamo prendere?
Ammettiamo che i nuovi cattolici siano stati portati a questa forma di disperazione assoluta per colpa della Chiesa, per tutto ciò che il cristia ­nesimo costituito in società finora non ha saputo fare o non ha voluto promuovere, ciò non toglie che la respon ­sabilità dei singoli non possa essere saltata e tanto facilmen ­te annullata. Ora è proprio di queste ragioni dirette che non troviamo traccia nei testi di nuovo orientamento e che al ­meno in apparenza cercano di desensibilizzare il cristianesi ­mo nelle sue vere radici per farne un’ideologia politica o parapolitica. Siamo proprio convinti che mutate le strut ­ture, che dato vita a una Chie ­sa completamente nuova, di partecipazione diretta le cose mutino, il male scompaia, l’in ­giustizia sia debellata? E’ chia ­ro che chi lo credesse pecche ­rebbe di presunzione e di in ­genuità. Ma lasciamo il futu ­ro, torniamo al presente e fac ­ciamoci ancora una domanda: perché tanto silenzio su quel ­lo che è il confronto spiritua ­le interiore, perché rifiutare l’eredità dei Maritain, dei Mauriac? Siamo davvero convinti che il loro lavoro non sia ser ­vito a nulla o le loro parole abbiano – sia pure senza vo ­lerlo – servito solo il padro ­ne del momento?
Per conto nostro non siamo disposti a crederlo e per spi ­rito di giustizia e perché sia ­mo convinti che stia in noi cercare il Vangelo e sia trop ­po comodo aspettare la fede dai contraccolpi di una nuova situazione politica. Se gli uo ­mini della Vie intellectuelle avessero applicato questi prin ­cipi nel 1936 e nel 1940 le loro parole avrebbero preso un’altra strada, diventando vo ­ci del tempo, voci della cro ­naca. In altri termini, il cri ­stianesimo non può rinunciare a quella che per noi è e resta la sua virtù capitale, la misu ­ra dell’eterno, la conferma di una speranza che va ben oltre l’attualità e il contingente. Ecco perché in ultima analisi a noi sembra che il vecchio cristianesimo di cui troppe volte cantiamo la morte e la sconfitta, conservi nella sua tomba una luce di vita, un segno eterno di attesa che nes ­suna riforma umana riuscirà mai a sostituire.


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1 commento

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 12 Dicembre 2008 @ 16:24

    Attraverso i secoli la Chiesa ha operato, seppur lentamente, cambiamenti essenziali, cercando di adeguarsi ai tempi. Certamente non possiamo che condannare quella cosiddetta Chiesa che usava il potere temporale e che praticava persino la violenza (vedi, tra l’altro, il periodo dell’Inquisizione). Quella, a mio avviso, nulla aveva da spartire con i principi del Vangelo.
    L’ammodernarsi della Chiesa, sempre cauto ed assai ponderato, ha prodotto alfine risultati confortanti. Soprattutto con i Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, c’è stato un grande avvicinamento tra la Chiesa e gli uomini. E il Vangelo è divenuto ancor più punto di riferimento essenziale e di espressione per la Chiesa stessa e per noi. Certo, senza il Vangelo, ben poco ci sarebbe a sostegno della casa dei Cristiani. Il Vangelo era ed è, oggi più che mai, la stella polare che guida e che indirizza. Ed è immortale.
    Ai giorni nostri si pretendono ulteriori cambiamenti ed aperture da parte della Chiesa. Ma questa, a mio modesto parere a ragione, procede con la dovuta cautela e consapevolezza, perché ben sa a quali rischi e pericoli si potrebbe andare incontro con un eccessivo libertarismo. Ben conosce come si potrebbe arrivare a stravolgere completamente certi saldi principi che regolano la vita. Già Platone (“La Repubblica”) metteva in guardia i governanti a non concedere troppo ai sudditi, perché, facilmente e pian piano, questi ne avrebbero approfittato, per giungere, poi, a conseguenze nefaste
    Gian Gabriele Benedetti

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