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LETTERATURA: Joe Abercrombie: “The Heroes” (Gargoyle Ed.)

19 Marzo 2013

di Giovanni Agnoloni
(dal “Corriere Nazionale”)

Non sono un amante del fantasy in sé. Sono un figlio di Tolkien. E un tema centrale, nel “Legendarium” tolkieniano, sono le battaglie. Questo libro di Joe Abercrombie,“The Heroes” (Gargoyle Ed.), è imperniato proprio su una battaglia che si svolge nell’arco di tre giorni, nelle terre del Nord.

Il romanzo è intrinsecamente guerra, lacerazione e rabbia. Confesso che lo stile di questo autore non è quello che più amo. È crudo, privo di lirica e tendente al manierismo. Figlio di un’estetica che a mio avviso risente della lezione stilistica di Robert Ervin Howard, il padre di Conan il Barbaro, privilegia toni estremi, violenti e concitati. E qui iniziano le sue qualità. Pur mancando, infatti, della ricchezza filosofica e spirituale di Tolkien, ha una profonda onestà nel ritrarre un mondo – che potrebbe, in questo, essere il nostro – privo di qualsiasi etica. Le linee narrative (e i punti di vista) ruotano attorno a tre figure: il principe Calder, animato dalla brama di dominio e pronto a tutto pur di soddisfarla; Bremer dan Gorst, un uomo finito, assetato di vendetta e della disperata determinazione di prendersi la propria dignità a qualunque costo, sul campo di battaglia, ricorrendo alla violenza senza scrupoli; e, infine, Curden lo Strozzato, che l’onore non l’ha perso, ma ha smarrito ogni senso della direzione e ogni entusiasmo. Un mondo senza valore, in un panorama di vita che ospita solo uomini: questo è un fantasy senza altre razze e senza una natura densa di percezioni e capace di ispirare, come nelle opere del Professore di Oxford. Ma forse concretizza un rischio in- sito proprio nel prosieguo dell’Era degli Uomini, la Quarta Era della Terra di Mezzo (con cui queste terre, peraltro, non hanno alcun rapporto): quello dell’appiattimento, della per- dita di senso. In questo, l’opera di Abercrombie è profonda- mente onesta, oltre a caratterizzarsi per il fatto di essere impregnata di plot. Insomma, se non innesca un effetto subcreativo (di Evasione, Recupero e Consolazione, secondo la teorizzazione di Tolkien nel saggio “Sulle fiabe”), è perché il suo scopo non è quello di rilanciare o di “risvegliare” il mondo, ma di fotografarlo. Anche se è un mondo che non esiste.


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