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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: La Lucca sotterranea

19 Dicembre 2021

di Bartolomeo Di Monaco
(Estratto dal mio romanzo “Mattia e Eleonora”, del 1991)

A Mattia piaceva credere che certi giorni, preso da un magico incantamento, egli uscisse dalla sua misteriosa stanza, quella arredata in stile ‘700, traversasse il giardino di statue e fontane, e così vestito, con la parrucca incipriata e le piccole scarpette, salisse su di una barca e con essa navigasse l’Ozzeri – ma il canale assai più grande, largo quasi come il Serchio – e piano piano, attraverso un’apertura scivolasse sottoterra e qui incontrasse una città ammaliatrice, buia, ogni tanto rischiarata da luci bluastre, sbiadite, una Lucca sotterranea insomma, parallela all’altra che stava sotto il sole.
Andava da solo, remando in piedi, lentamente.
Certe volte non scorgeva nessuno, la città silenziosa davvero come morta; altre invece si animava; incontrava gente, i fondaci spalancati con gli artigiani all’opra, filatori e tessitori soprattutto, ma anche lanaioli, fabbri, falegnami, muratori; alcune strade ne erano piene, qualcuno si voltava a guardarlo e certo potevano scambiarlo per un ricco mercante del tempo, così vestito, e Mattia si compiaceva del saluto, ricambiava con affettuosa cortesia.
Ma il suo cuore principiava a palpitare quando da piazza San Matteo, navigando “la fossa”, si dirigeva sulla bella piazza San Michele.
Da lontano già vedeva il piccolo ponte sul corso d’acqua e, sopra, qualche cittadino affacciato. Altri si recavano in chiesa.
Com’era suggestiva!
Intorno alla piazza lastricata di marmo le botteghe dei notai, il viavai dei praticanti con le cartelle sottobraccio.
Mattia sorrideva.
Era vera felicità quella che gli procurava la Lucca antica.
Molti la ricercavano nei libri e lui, invece, per un destino assai singolare, poteva vederla e toccarla tale e quale era stata.

Quei viaggi misteriosi, a poco a poco Mattia si convinse di farli davvero e allorché la sua casa si trasformava nel palazzo antico, egli chiamava Eleonora, la faceva preparare e la invitava sulla barca.
Anche Eleonora vestiva all’antica; Mattia la lasciava sedere e poi andava al remo e lentamente partiva, scivolava nella città.
Con Eleonora aveva incontrato, un giorno ch’erano scesi per una passeggiata e la città era apparsa quasi deserta, un signore dai modi gentili, comparso all’improvviso da una delle stradette che sfociano nel Fillungo.
Dopo averli salutati, si era offerto di accompagnarli in giro per la città.
Rivelò ai due incantati visitatori i segreti che Lucca nascondeva.
Mentre indicava questo o quel palazzo antico, ne narrava la storia, e la vita e le virtù dei signori che li avevano abitati.
«Essi vivono ancora! » svelò all’improvviso. «Sono qua nella città. Vivono come un tempo! »
Mattia ne provò una grande emozione. Esultò al pensiero che certamente prima o poi li avrebbe incontrati; non solo Castruccio si sarebbe mostrato a lui, ma la dolce Ilaria, la bella Lucida ammaliatrice di uomini, e il più lucchese di tutti, il Burlamacchi, e Bruno, il primo crociato della città.
Oh, come avrebbe voluto restare per sempre con loro!
Ma che cosa sapeva dare lui alla sua città per meritarlo?
Non scienza, non ardimento, non arte; solo silenzioso smisurato amore.
Poteva bastare?
Parlava e riparlava di quegli uomini con entusiasmo, ora.
Più spesso Eleonora lo accompagnava, attenta anche lei ad incontrarne qualcuno.

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Su La Nazione del 15 agosto 1999, in cronaca di Lucca, compariva questo articolo a firma di Stefano Giuntini:

«È stata una giornata decisamente soddisfacente ». Così Massimo Santoni, presidente della Cooperativa turistica lucchese, ha commentato il primo giorno di apertura al pubblico del restaurato interno di Palazzo Pfanner: 250 paganti in 8 ore. «L’affluenza turistica è stata notevole e varia – ha detto -, abbiamo infatti avuto visitatori italiani, tedeschi, inglesi e francesi. Interessante, in questo contesto, anche il fatto che molti lucchesi hanno colto l’occasione per varcare ancora le porte del palazzo ». L’orario di apertura dell’immobile è stato fissato dalle 10 alle 18, tutti i giorni, l’ingresso costa 5mila lire e le visite all’interno sono guidate da Alice Santoni (esperta di storia del costume) e Diana Saggi (laureata in lingue e professoressa d’inglese). E così, per la durata (in verità flessibile) di un quarto d’ora, è possibile tuffarsi in pieno Seicento. Un viaggio, questo, di sicuro interesse culturale e storico. «Dato che era il primo giorno di apertura – ha spiegato Santoni – le nostre guide si sono prese la premura di chiedere alle persone le loro impressioni al termine della visita. Il sentimento più diffuso fra questi turisti, tutti di elevata cultura, è stata la curiosità per i particolari, l’attenzione per i dettagli ». Santoni ha poi espresso la viva intenzione di riportare nel palazzo la mostra di costumi, un’iniziativa che, come lui stesso ha detto, «potrebbe essere realizzata entro ottobre ». E quindi parliamo della Ctl, ovvero la prima cooperativa turistica lucchese che, oltre a Palazzo Pfanner, si occupa anche della gestione (per conto del comune di Lucca) della torre Guinigi e di quella del primo vero negozio di souvenir all’interno dell’arborato cerchio (situato sempre in via Guinigi). Nata nei primi anni ’80, la Ctl è stata, assieme alla zecca di Lucca e al Comune, la promotrice delle tanto amate «Giornate medioevali », svoltesi lo scorso settembre. Santoni ci fa chiaramente capire che, anche in questo contesto, l’idea è di fare il bis: «Ci stiamo già attivando per potere ripetere l’iniziativa dello scorso anno, nata da un’idea di Bartolomeo Di Monaco. Se tutto andrà bene è nostra ferma intenzione ampliare e potenziare l’offerta delle ‘Giornate medioevali’. Con nuove e interessanti sorprese, di cui riparleremo a tempo debito ». Il ringraziamento di Santoni, comunque, va alla famiglia Pfanner («gente squisita, con la quale è un piacere lavorare ») al Comune e alla provincia di Lucca («per la disponibilità e la collaborazione ricevute »).

Il libro a cui fa riferimento Massimo Santoni è proprio “Mattia e Eleonora”, il quale alla sua uscita nel 1992 per le edizioni di Maria Pacini Fazzi Editore ebbe su La Nazione la seguente recensione del compianto commediografo e poeta lucchese Cesare Viviani:

«Mi è arrivato, graditissimo omaggio dell’autore, un libro profumato ancora di… tipografia. Un libro da pochi giorni in commercio. Vorrei parlarne, anche se l’autore ha una “penna” che sa farsi strada da sola. Il libro “Mattia e Eleonora: una storia lucchese” di Bartolomeo Di Monaco non solo coinvolge la nostra città, la nostra campagna e personaggi reali o immaginari di Lucca, ma ci propone una filosofia di vita che oggi si va perdendo e che è necessario recuperare. L’autore propone una storia autobiografica cesellata dalla fantasia, con quei sogni e con quelle immagini che sono farmaci salutari per il nostro essere. Di Monaco, con infinita, struggente poesia gusta e ci fa gustare quelle piccole cose che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi e che molte volte dimentichiamo di farne oggetto della nostra osservazione. Ed è difficile metter su una storia così senza cadere nella retorica. Di Monaco, a mio avviso c’è riuscito. E c’è riuscito bene. Il profumo dei pini a primavera, l’avvicendarsi delle stagioni, un cappotto caldo sotto una nevicata, un pomeriggio trascorso in un trattenimento paesano, un pettirosso che aspetta un po’ di becchime fuori dalla finestra di cucina, sono tutte cose che ci vengono descritte come normali, senza enfasi, senza sdolcinature, ma vengono inserite nel “quotidiano” con tutta la loro potenza di trasmettere tranquillità interiore. Mattia e Eleonora vivono queste eccezionali esperienze a Lucca, in una città che vista con i loro occhi fa veramente sognare. E il sogno si ingigantisce: c’è anche un tuffo nell’Ozzeri, c’è una barca misteriosa che sprofonda in quelle acque per arrivare nel sottosuolo dove una Lucca settecentesca si nasconde e vive ancora avvolta nel fascino e nei fasti di allora. C’è una vita a due, un menage familiare, che trova ogni giorno la carica necessaria per sopravvivere ad un mondo ostile: un mondo da tralasciare. C’è la volontà di vivere in un mondo fatto di tante piccole cose meravigliose: un mondo da sorseggiare, da centellinare come si fa con il buon vino. È un libro che, stranamente, esce ora per Pasqua, anche se l’ultimo sogno pone questo libro sul ramo più alto d’un albero di Natale. Un gran bel dono per i figli e per i nipotini di Eleonora e di Mattia. Ma c’è nelle ultime pagine una frase che raccoglie interamente il senso del libro. Di Monaco scrive che Mattia capisce come e quanto la sua anima abbia bisogno di semplicità. Una cosa che fa pensare e meditare.
Questa semplicità che può riempire l’anima non rappresenta solo una necessità del personaggio o dell’autore. E un patrimonio comune che Mattia e Eleonora in questa storia lucchese propongono a tutti noi, così distratti da un mondo che vorrebbe impedirci perfino di sognare nel giardino sotto un pino odoroso di resine aromatiche ».

Il libro, qui.

In inglese, qui.


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Bart