(Estratto dal mio racconto “Vivere un uomo”, del 1978)
Qualche giorno dopo chiesi informazioni presso alcuni vecchi del luogo e appresi che una leggenda vuole che una volta la Rocca fosse appartenuta ad un arcigno marchese, venuto di fuori, ricchissimo.
Aveva molta servitù e scendeva ogni tanto in paese su di un calessino splendido di legno durissimo e lucido.
Non aveva amicizie; spesso si contrariava per un nonnulla, gridava.
La marchesa invece era una giovane molto bella, nativa del luogo, assai alla mano, dal portamento distinto e gentile.
Conosceva tutti, e quasi sempre giù in paese faceva visite, stava anche per molte ore.
I giovani che l’avevano conosciuta ragazza non riuscivano a togliersela di mente. Le parlavano con calde parole, con sguardi intensi.
Aiutava chi ne aveva bisogno.
Fino a qualche secolo fa conduceva in cima alla Rocca un viale ampio, ben tenuto. La marchesa scendeva di là a piedi – raccontano – godendosi la frescura del bosco.
Una sera la sentirono urlare; salirono dal paese con fiaccole e la trovarono svenuta sul viale.
Chiamarono il marchese, che accorse con la servitù. Venne il medico e la giovane fu portata alla Rocca, deposta sul letto antico.
Morì dopo qualche giorno, senza aver confidato ad alcuno ciò ch’era accaduto: pallida, gli occhi ancora impauriti.
Le ultime ore, il parroco cercò di strapparle il segreto; ma non ebbe il coraggio di penetrare la solitudine, lo sgomento della donna.
D’allora il marchese fece sbarrare l’ingresso al viale e non fu più visto.
Soltanto qualche anno dopo si apprese della sua morte. Vennero da fuori a prenderlo e fu sepolto lontano.
Il libro qui.