Letteratura – L’ospite – racconto di Toni La Malfa
21 Maggio 2008
Piombino, 20 gennaio 1965
Cari papà e mamma, oggi ho voglia di scrivere.
Così, forse, mi passa un po’ questa cosa che sento nella pancia; è una specie di quello che sento quando ho fame, oppure appena mi sveglio, ma è un po’ diverso, un pochino più forte.
Forse mi passa un po’, ora.
Lo zio Gianni mi ha detto che ha parlato con il suo capo, ma che per il papà non c’è ancora posto, forse fra qualche mese.
Forse ci sarà posto proprio dove lavora lo zio, gli ha detto proprio così. Così poi salite voi, e Cetti e Mimmo.
Lui lavora una settimana di mattina, una di pomeriggio e una di notte. Anche i papà degli altri ragazzi fanno così.
Mi ha detto che dove lavora lui si chiama coccheria, deve mettere il carbone nel fuoco e così fanno l’acciaio, non lo so come, ma un giorno forse mi porta lì.
Poi quando torna a casa è tutto sporco, anche quando si soffia il naso, io gliel’ho detto di non metterla nel naso quella roba nera, di stare attento, e lui ride.
Lo zio è bravo, anche la zia; ieri era domenica e mi hanno portato al mare con la cinquecento nuova nuova, rossa con il tettino nero, c’è pure un bottone di gomma che quando si pigia esce l’acqua sul vetro davanti per lavarlo.
Il mare è bello anche qui, c’è una pineta vicino, abbiamo fatto una passeggiata e abbiamo raccolto delle conchiglie.
Una di queste conchiglie è a strisce gialle e bianche, mi sembra un gelato con crema e limone, come quello che fanno al bar Cambria, che ci mette tante strisce.
Quando venite, ve la faccio vedere, la conchiglia.
Mentre diventava buio, siamo tornati. Io mi sono addormentato in macchina, e ho fatto un bel sogno, ero io che guidavo.
Stamattina a scuola ho litigato con un mio compagno.
Lui mi ha detto che i siciliani come me gli fanno schifo, e che quando giochiamo a pallone lui non vuole giocare con me.
Io gli ho detto che non mi frega niente di giocare con lui e che anche lui mi fa schifo.
Poi abbiamo urlato e ci siamo attaccati, è arrivata la professoressa di italiano e ci ha portato dal preside.
Lui vuole parlare con voi, io gli ho detto che non ci siete, cioè che siete laggiù a Milazzo.
Lui si è arrabbiato un po’, ha detto “Ma come si fa” poi si è calmato e ha detto che vuole parlare con lo zio.
Penso che gli dirà cose brutte, però il maestro Nicosia l’altr’anno diceva che ero bravo, e che non devo avere paura delle scuole.
Io spero che lo zio non si arrabbi come il preside, spero che non si arrabbi con me.
Lo zio e la zia mi dicono sempre che mi devo comportare bene, meglio degli altri perché è come se siamo ospiti qui.
Ora mi dispiace che non mi sono comportato meglio degli altri, dovevo stare zitto, tanto non voglio giocare con Stefano Biondi.
Mi dispiace di non aver pensato che siamo ospiti e non so come dirglielo, a voi ve lo direi meglio, anche se mi dispiace lo stesso. Forse vado di là e gli apro il quaderno con la scritta del preside e basta.
Poi vi scrivo come è andata.
Poi ve lo dirà anche lui, quando vi scrive, e poi mi fa vedere le vostre lettere.
L’altro giorno sono arrivate le arance e i mandarini e i torroni, quelli morbidi mi piacciono tantissimo.
Lo zio dice che a Pasqua gli danno giorni per riposarsi e che possiamo venire giù.
Allora io voglio che la Pasqua arrivi presto perché mi piace venire e voglio stare con voi qualche giorno. C’è la scuola fino a giugno e poi torno a Milazzo, se voi non siete ancora saliti.
Dopo che faccio i compiti vado a giocare in cortile ma a volte non so cosa fare perché non ci sono tanti bambini, non li conosco e poi a pallone non ci fanno giocare perché sennò si fa troppo rumore, c’è gente che dorme. Dormono i papà che hanno fatto il turno di notte.
Qualche volta invece giochiamo a “campana” che è bello, con il sasso piatto e i giorni della settimana che il giovedì e la domenica si può mettere due piedi in terra.
Poi leggo Il giornalino di Gian Burrasca, me l’ha regalato la zia, fa ridere tanto. Io sono più bravo di lui, di Gian Burrasca.
Anche Gian Burrasca è buono, però.
Ora vado di là e gli dico del preside. Sono un ospite, così gli dico allo zio, ma me lo ero dimenticato. Non voglio dimenticarlo. Mai più.
Vi abbraccio voi e anche Cetti e Mimmo, che fanno loro?.
Quella cosa allo stomaco mi è passata un po’, poi dico allo zio di mandarvi questa lettera, quando non sarà più arrabbiato con me.
E vi bacio tanto
Giuseppe
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