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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: Lucca nelle mie poesie

14 Marzo 2022

di Bartolomeo Di Monaco

LUCCA
Al professor Guglielmo Lera

Sotto le mura
della mia città
in Primavera e in Estate
schiamazzano i ragazzi
e le loro risate
sul verde dei prati
rimbalzano intorno.
Li osservo dal viale
e mi ricordo
le grida di allora
coi compagni.
I turisti sciamano a frotte,
l’ammirano incantati,
la magica bellezza
riflettono negli occhi;
la sognano al Nord
tra boschi di neve,
la misurano ai castelli;
ma queste mura
che nascono dal verde
così massicce
e così gentili
con la corona degli alberi
fioriti
solo qui
si possono trovare
e, dentro,
gli uomini antichi
rievocare
sui selciati d’un tempo!
I tetti vicini,
il piccolo anfiteatro,
l’orologio della Torre,
il leccio dei Guinigi…
È davvero bella la città
e più bello ancora
è sentirla nella voce,
nei rumori
delle notti,
nel respiro
delle ombre,
nell’odore
dei suoi anni
come la sento io
che l’ho qui
dentro la carne,
dentro il mio cuore.
Oh, i portoni
consunti,
le logge
buie
dove mi nascondevo
col terrore
giocando,
quelle corse nelle strade
di sera
quando l’Estate era calda
e il Maggio aveva
il profumo delle rose!
Ogni pietra ha visto
i miei passi,
udito la mia voce
ed ogni volta
che varco le sue porte
lo sento che mi accoglie
contenta
la città,
mi riconosce
ed apre quelle braccia
così tenere,
così dolci.
I suoi rioni ricolmi
di umanità
di amicizie sconfinate
di faide efferate
di rancori
mi hanno fatto uomo.
Il turista non sa
di Cittadella e Pelleria
di Piazza e del Bastardo,
di ciò che pullula
nella via
dei suoi terzieri.
Se potesse sentire
anche questo
come lo sente il mio cuore
oh, certo rimpiangerebbe
il mio amore
e di non esser cresciuto
qua.

10 giugno 1988

MI GIRI ATTORNO
(passeggiando alla pieve di Santo Stefano)

Insieme andiamo per questi colli
all’ombra degli ulivi
che, bassi, ci carezzano il capo;
tu allunghi la mano
e cogli il nero frutto asprigno.
Dalla fattoria vicina,
un po’ più in alto, cintata,
viene l’odore della stalla
e il muggito del bue,
re di quest’aria.
Dove vanno i miei pensieri
mentre mi punzecchi con la tua allegria
e mi giri attorno?
Saliamo ancora…
e tornano i segni del tempo andato
su quell’altra villa
ancora splendente di alberi secolari,
di giardini
e di mura alte intorno
ad incastonare la gemma degli archi
che da lassù dominano Lucca intera.
Il sole sorridente
d’un mezzogiorno che non ha eguali
su questa collina,
caldo, confidente,
guida il mio passo di camminatore
e sciolgo i miei pensieri,
il viso distendo contento
d’una serenità che m’allieta la vita,
e tutto sembra apparecchiato
per i miei occhi e il mio cuore.
Tu intanto ancora mi punzecchi
e mi giri attorno
ed io ti intravedo fra i miei pensieri,
ti tendo la mano
e tu me la offri
ignara di riempire la mia lontananza.
Oh, questo tepore della natura
che non ammette il trascorrere del tempo!
Tepore che viene da lontano
e sempre è stato eguale
in quest’ora.
…Tuffarci lì dentro
e rimanervi
mentre tu mi giri attorno
e con la tua allegria
dai splendore alla mia
esistenza.

20 marzo 1988

HO VOGLIA DI SORRIDERE

Ho voglia di sorridere
quando mi levo al mattino
e il sole è già alto;
il passero viene al davanzale
e mi saluta.
Dalla mia finestra
m’inchino alla ridente Primavera,
con lei gioca il mio bambino
là nella pineta,
e mi pare di vederla la Stagione
che lo accarezza,
lo guida tra le margherite,
sull’erba ancora bagnata di rugiada.
Ed io ricordo la mia età di allora
quand’ero soltanto felice!
Coi compagni correvo le strade
antiche della mia città,
le sere già calde.
Dove sono quegli anni?
In quale parte dell’universo
sono nascosti quei giorni?
Insegnami la strada
ed io vi andrò.
Ho voglia di sorridere
quando nutro la speranza
di riessere bambino
o di accogliere quel tempo
qui nel palmo della mano,
riempirlo di baci e di carezze.
Oh, come vorrei spiare il mio destino
in quei lontani occhi di ragazzo,
scoprire se sono diventato quello che dovevo
o ho tradito la speranza!
Ho voglia di sorridere
mentre crescono i miei figli
ed io non ho più tempo
ancora.
Affrettami l’incontro,
rivelami il luogo,
anche se oltre quel cielo,
dove custodisci le cose mirabili
che sento nel cuore.
Sulle rive del Serchio,
ricordo,
correvamo felici,
il sole cocente,
e noi nell’acqua si rideva,
toccavamo il fondo inebriati.
Ho voglia di sorridere
quando apro la finestra
e vedo il giorno luminoso.
Là nella pineta
mio figlio gioca con la Primavera
ed io lo penso qui al posto mio
fra molti anni
a ricercare l’immagine ch’io vedo
e che oggi mi fa contento.

2 aprile 1988

STAMANI

Stamani,
nell’ora che prediligo,
intorno a mezzogiorno,
mi son seduto
sulle mura della mia città,
di fronte al laghetto
della leggenda.
Alcuni merli neri
grossi
han traversato l’aria
davanti a me,
si sono posati
sulle molte piante.
Ed io ho sognato
dentro i loro volteggi!
Gli occhi adagiavo
sulla città superba:
dietro i rami le torri antiche,
le altane,
i tetti che nascondono le vie
della mia fanciullezza.
Qui l’anima si addensa!
La percuotono brividi supremi
e l’occhio non crede
che tanta bellezza insieme
raccolta in così piccolo spazio
sia vera.
Quale incantamento
da qui godi
e ti inebria,
anima mia!
Non devi volare,
andare lontano
per esaltarti.

27 maggio 1989

L’ETí€ FELICE

Riappropriarmi
vorrei
della mia fanciullezza,
immergermi nei boschi agli Antonini
o lungo la Corsonna
o sulle rive del Serchio amato
e respirare alle narici
la gioia di quegli anni;
o sotto le mura della mia città
cacciare la lucertola
o la rana nello stagno
o saltare sui covoni
coi compagni.
Tutta l’anima n’è presa!
Vissi davvero quel tempo felice
o è l’incanto della fiaba
che oggi mi strugge
o il sogno di allora
reco sempre con me
e mi tormenta?
Oh sì,
c’è stata l’età felice!
intensa
piena
traboccante,
davvero saltavo nel fossato,
tendevo la fionda,
gareggiavo coi compagni,
o dormivo nei boschi
e sentivo il temporale
abbattersi
e il tuono
e il fulmine
e lo scrosciare dell’acqua
intorno alla tenda.
La mattina si correva l’abetaia
con la piccola scure al fianco,
cantando.
Oggi quel tempo
appare così remoto,
le immagini si confondono
con le altre che ho incontrate
e che non sono mie.
È la giovinezza
un luccichio lontano,
mi agito
e non riesco a trattenere
niente.
Riappropriarmi
vorrei
della mia fanciullezza,
stringerla a me
per non lasciarla mai.

17 luglio 1989

TRASCORRE MOLLEMENTE IL TEMPO

Trascorre mollemente il tempo
della mia vita
ora che non ho più padroni.
Per le selve cammino
o in riva al fiume;
le more tra i rovi
o la rossa albatrella
o il chicco dell’uva
assaporo;
e il sole che mi vide
nascere e fanciullo
di nuovo saluto.
Ho visto il ramarro
sopra un sasso,
il ragno nero tra i rami
e con dolcezza li ho ammirati.
Mollemente trascorre il tempo
della mia vita
ora che non ho più padroni.
Chi sei tu, leggiadro signore,
che incontro al mattino sul colle?
Sei la morte, io lo so,
ancor giovane e bella,
e forse mi studi,
e ti sorprendi della mia allegria,
ma è tanto dolce quassù
un giorno di novembre
che anche il pensiero di te
mi rallegra,
e quando da lungi ti scorgo
il mio occhio si ravviva
e guarda giù la valle;
il sole la illumina
e illumina te
quando mi passi accanto.
E tu la senti
la vita che pulsa in me,
oh sì la senti!
e della mia gioia
con tua sorpresa
anche tu esulti,
sorridi
e mi lasci andare.

6 novembre 1990

GLI ANTICHI CAVALIERI IO VIDI

Gli antichi cavalieri io vidi
una mattina
sugli spalti medievali schierarsi
e dai balconi sporgersi
le castellane;
e gli animali starnazzare nei cortili,
scuotersi nel fango.
Camminavo per un sentiero
di montagna
alla fine del XX secolo,
eppure, più lontano,
una cattedrale gotica
mi apparve
e il verde giardino
cosparso di tombe
e il crocchio dei sacerdoti
esultanti;
e dietro, nell’ombra
della sera,
un duello mortale
di spade.
Ed anche scorsi la mia città
di mercanti
e la piena del Serchio
e le mie Mura nascere,
farsi stupore e incanto.
E il bel San Martino
prendere forma,
e l’immortale Ilaria…
Potevo stringerli nelle mie mani
gli accadimenti,
e forse anche mutarli,
io,
uomo del XX secolo,
apparentemente così lontano,
solo,
sopra questo piccolo monte
della mia città,
colmo di pini odorosi.

28 aprile 1990

NEL BOSCO SOPRA LA CERTOSA

Nel bosco sopra la Certosa,
dopo il temporale,
il profumo si spande
dei pini
ed io con passo lento
salgo il colle
e godo gli attimi
di questa beatitudine
che qui è nascosta
dal principio del mondo.
È così dolce l’incontro
ch’io mi ritrovo avvolto
nei secoli
e tutte vedo in un lampo
le immagini del passato.
Fermarmi vorrei,
e naufragare in quest’immensità
dolcissima
che mi circonda;
e nell’abbraccio
sentirmi finalmente appagato.
Invece l’ansia
mi rimpicciolisce…
Ma è grande,
vasto il mondo
che penetra nell’anima!
Tra i rami filtra
davanti a me
nel baluginio del cielo
il sole
ed io godo di quest’armonia
primordiale
che ancora dopo millenni
si rivela all’anima
e mostra
pungente e ammaliatrice
la sua immutabilità.

12 maggio 1990

TALVOLTA

Una certa inquietudine
e non sai cosa fare,
questo mi accade
talvolta.
E se è una bella giornata
soprattutto d’Autunno o d’Inverno
corro a San Biagio,
salgo alla dolce Pieve (1),
cerco di quietare il tumulto,
lo sguardo rivolgo
alla natura soave,
struggente.
E se la mia anima
domanda il rendiconto
di ciò che avrei voluto essere
e non sono diventato,
il tepore del sole
e la dolcezza di quelle colline
placano il mio tormento.
Vorrei essere semplice
ma so che è impossibile;
scorrere nella vita
come l’acqua del fiume,
avere dentro di me
solo armonia.
Oh, limare la mente,
l’anima liberare
dalla superbia dei sogni!
E se il mio cuore anela
il tempo andato
ed io sedermi su di un sasso
in cima al monte
dove non c’è che il vento
e la vastità dell’orizzonte,
come posso, dimmi,
fermare il desiderio?
Vorrei essere semplice
e so che è impossibile,
scacciare da me il tumulto
che mi spinge ad andare;
fermarmi a toccare,
vedere,
ciò che mi passa accanto.
E se in un raro istante
riesco a sentirmi
aria, pianta, sorgente,
provo a trattenere la mente
ma tutto è già passato;
resta il delirio
di aver sentito
di aver provato
e di non poter più dire:
è un sogno.

1 novembre 1988

Nota 1: La pieve di Santo Stefano

UN VENTO FORTE

Un vento forte, improvviso
esce da un cielo nero,
s’abbatte sugli alberi.
Subito scroscia
una pioggia che il vento
trascina,
tarda a posarsi sui campi.
Vedo la mia città turrita,
le Mura antiche illuminarsi
dentro quel buio
ed io non so ritrovarmi,
capire se è un sogno
ciò che vedo,
e se qualcuno più grande
si burla di me
e mi allontana e mi avvicina
ai giorni del mio tempo.
I miei figli nell’altra stanza
sono intenti a studiare,
vorrei la loro angoscia fugare,
sentirli soltanto felici.
E mi domando perché
non esiste una vita così,
e se mi conviene
aver risposta ai miei pensieri,
comprendere il succedersi
dei giorni,
l’alternarsi delle gioie
e delle pene.
E se è difficile, come sento,
dare una ragione al mio spirito,
quietarlo come si quieta il vento.
Intanto vivo
una giornata di tristezza,
e non so perché.

26 febbraio 1989

LA MIA PANIA

Su Gallicano s’impone
a mo’ di propaggine,
maestosa e regina,
la mia Pania.
In silenzio la si osserva,
soggiogati.
Da casa mia, pur lontano,
la vedo dinanzi a me,
superba
ma amorevole
alla fine d’una strada
azzurra
del cielo.
Se avessi le ali,
dritta sarebbe
la direzione
per posarmi sulla sua Croce
e pregare.
Un giorno vi arrivai,
nel fiato la fatica
dell’ascesa
e una felicità
mi prese
di stringerla a me.
Non tornerò più,
le dissi,
ma ogni giorno
nel mio sguardo
c’incontreremo
e mi avvolgerai
ancora una volta
il cuore.
Tu esprimi l’eterno
ed io il debole e il caduco
dell’esistenza umana,
ma quel giorno a te
con quell’abbraccio
il sogno affidai
della mia immortalità.
Nessuno potrà sapere
del nostro giuramento,
se non da questa poesia
umile e affranta
dalla dolorosa finitezza.
Oggi, mirandoti dal viale,
con la mano ti porgo
l’usato saluto
affettuoso
e ti ricordo ch’io sono qua
vivo
e felice
affinché tu mi protegga ancora
e mi stringa al tuo cuore.

13 settembre 2020


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart