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LETTERATURA: Poesia: Il mondo di Daniela Marcheschi

28 Ottobre 2011

di Anna Ardissone

Come si è avvicinata al mondo della Poesia?

Sono vissuta in una famiglia che ama la poesia e la letteratura dal Settecento almeno, che la ricorda, la recita, la commenta; e fin da piccola ho sentito il bisogno di scrivere versi. C’era poi il mito di Giuseppe Ungaretti, cugino carnale della mia bisnonna per parte di madre. Ungaretti è stato anche ospite a casa della mia prozia; io stessa ricordo di averlo incontrato una volta a Viareggio. In famiglia si raccontavano e si raccontano alcuni aneddoti su di lui. La mia prima raccolta, che ho sentito “vera†(come può sentirla una bambina naturalmente), l’ho scritta a nove/dieci anni, su un quaderno di scuola finito chissà dove. I testi furono letti in giardino una domenica, davanti a genitori, fratelli, parenti, amici, e mi fruttarono in premio un gelato enorme, che mi fece impressione, perché la severità di mia nonna e di mia madre non me ne aveva mai concesso di simili in precedenza.

Quali sono i poeti che ha amato maggiormente, le voci che l’hanno portata ad approfondire l’argomento?

Dante, Dante, Dante: è ed è stato da sempre il mio poeta preferito, per la forza espressiva, la ricchezza etico-conoscitiva, la plasticità e la tensione metafisica, lo slancio lirico, l’attenzione alle cose e l’immaginazione del mondo. Poi Ungaretti, come è comprensibile. Quando ero ancora una scolara, mi sono innamorata di Satura, e ho amato molto Montale, che ho frequentato e di cui ricordo l’interessamento affettuoso e degli abbandoni di confidenze, che ancora oggi mi stupiscono e un giorno o l’altro forse racconterò. A casa sua ho conosciuto fra gli altri Vittorio Sereni, un altro poeta che è stato importante per la mia formazione. In Svezia, dove ho vissuto da giovane, ho scoperto la poesia di Karin Boye, la cui limpidezza e musicalità non cantabile mi hanno folgorato, quelle di Edith Södergran e di Birgitta Trotzig, morta purtroppo pochi mesi fa, e che è stata un incontro decisivo.

Come nasce la sua ispirazione e quali le tematiche a cui dà voce attraverso la sua arte poetica?

L’ispirazione nasce da tutto quello che l’accende: ad un certo punto mi ritrovo piena di parole e di un loro ritmo preciso che mi risuonano dentro e che premono per trovare uno sbocco. Ad un altro punto una frase detta, una parola letta, impongono uno sviluppo di versi; ad un altro ancora una reazione di fronte a qualcosa che mi colpisce mi fa venire l’urgenza di “cantareâ€, cioè di dire ad alta voce (questo significa il termine) in poesia. Mi occupano i ritmi, i significati; mi riempie la gioia vitale del corpo, delle sue necessità, dei suoi limiti, ma anche delle sue grandi aperture ideali, affettive, metafisiche. Sento insomma il bisogno di una poesia che ha voglia di dire ciò che gli esseri umani, i poeti, possono e vogliono, perché nessuna situazione esterna può impedire la libertà del progetto, del sogno, del desiderio. La servitù è sempre volontaria anche nella peggiore delle tirannidi – affermava Étienne de la Boétie; anche se il prezzo della libertà può essere alto.

In cosa consistono i seminari che tiene nelle librerie italiane?

Ad esempio si leggono i testi, tanti di autori diversi, partecipanti inclusi, si analizzano senza pregiudizi e si imparano gli strumenti tecnici dell’arte della poesia; si ascoltano poeti noti che raccontano del loro lavoro e lo commentano.

Tempo fa, Mario Barenghi si chiedeva come mai i lettori, quando facevano i bilanci dei libri letti durante l’anno, si sentivano più in difetto o più in colpa per non aver neppure preso in considerazione i trenta o quaranta volumetti di poesia usciti nel corso dell’anno. Oggi le cose sono cambiate?

Barenghi ha ragione, si considera a priori, e a torto, meno importante la poesia. Tutta una fascia della cultura italiana lo fa. Di libri di versi ora se ne pubblicano almeno due migliaia e più all’anno, spesso presso piccole case editrici, ma non sempre si riesce ad essere informati di tutto quello che esce; non sempre si ha la passione e la determinazione di studiare e conoscere: di faticare insomma.

Ai giorni nostri la produttività poetica dilaga. Nuove scuole, nuove tendenze. Un suo parere in merito.

È bene che le persone scrivano, i numeri non devono intimorire: bisogna che la critica si impegni di più nel lavoro scomodo d’interpretazione e giudizio. Il buono c’è, basta saperlo trovare; avere il coraggio di proporlo e difenderlo con convinzione. Nei numeri ampi c’è anche più scelta; ma sta alla responsabilità del critico individuare le esperienze fruttuose e i poeti validi.

La scuola italiana come ‘tratta’ la Poesia?

Nei programmi c’è; nei corsi universitari lo stesso, ma dovrebbe essercene molta di più e diversamente; soprattutto si dovrebbero mettere in discussione categorie storiografiche e critiche confuse purtroppo con la Storia della Poesia tout court. Si leggono saggi, antologie, che assomigliano a un breviario, e questo alla fine risulta poco interessante.

Editori e librai offrono la giusta visibilità ai testi di poesia?

Non sempre purtroppo, perché la poesia vende poco. Ci sarebbe bisogno di un’editoria più attenta e di librerie specializzate; per questo colpisce una collana nuova quale “Argani†di Mursia, diretta da un poeta come Guido Oldani.

La Poesia ha bisogno di essere difesa?

Avrebbe bisogno di essere proposta in modo diverso, più autentico e attraente per quanti cercano qualcosa che coinvolga nel profondo. Ha bisogno di poeti e critici capaci della bellezza.

(da “Bookshop†ottobre 2011)


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Bart