Letteratura: Scrittori Lucchesi: Franco Amato: “Il crivello di Eratostene”
8 Giugno 2021
di Bartolomeo Di Monaco
Il titolo è impegnativo. Eratostene era un matematico vissuto in Grecia tra il 276 a.C. e il 194 a.C. Fu il primo a calcolare la circonferenza della terra con una sorprendente precisione, utilizzando soltanto un bastone e la sua ombra. Il crivello di Eratostene è il “metodo con il quale si possono trovare i numeri primi inferiori a un numero, scrivendo tutti i numeri dispari inferiori al limite desiderato ed eliminando poi come non primi i multipli di tre, di cinque e così via.”.
Già da subito, nel titolo, siamo nel difficile; dunque il giallo che ci accingiamo a leggere può essere considerato anche una sfida che Amato rivolge al suo lettore. Come a dire: preparati che qui troverai pane per i tuoi denti.
Amato ha già pubblicato alcuni libri coi quali ha vinto anche dei premi letterari. Si legge nel risvolto di copertina: “È nato e risiede in una bella città della Toscana, Lucca. Svolge la professione di Dottore Commercialista e ha scritto diversi articoli per riviste tecniche del settore.
Oltre alla scrittura professionale, si dedica alla narrativa, in particolare storie brevi e racconti. Negli ultimi anni questa valvola di scarico si è trasformata in un’impellenza, una necessità per evadere.
È stato finalista al Premio letterario Streghe, Vampiri & Co. nel 2018 e al Premio letterario Inedito Colline di Torino 2019; ha vinto il primo premio al Concorso Letterario Sport Storytelling 2019, con il racconto “Nonno Gino”, liberamente ispirato al grande Gino Bartali.
Ha pubblicato Storie di Carta, Akea Edizioni, 2016; La giostra zingara, Giovane Holden Edizioni, 2018; Panamericana, s.e., e Notte prima degli esami, s.e., 2019.”.
Ancora con la editrice Giovane Holden ha pubblicato l’ultima sua opera, di cui ci occuperemo, la quale ha vinto l’edizione 2021 del Premio letterario “Il Delfino”.
Il romanzo è un giallo.
Don Mario è in chiesa, la chiesa di San Paolino a Lucca. Passeggia nervosamente per lenire un dolore addominale, che lo tormenta da varie ore. Volge l’occhio all’Altare, all’Altissimo (il grande Boss), supplicandone l’intervento; ma il Dio tace: “Guardò di sottecchi verso l’altare, convinto di incrociare lo sguardo sornione dell’Altissimo, sorprendendolo con un rapporto così fresco e diretto, così leale e paritario. Ma a cotanta autoreferenziale capacità di dialogare, lui rispose con un eloquente nulla, tanto che il dolore addominale di don Mario non aumentò né diminuì.”.
Viene in mente il crocifisso di don Peppone, che, al contrario, dialoga con lui, ma quasi sempre per rimproverarlo.
Deve provvedere alle confessioni e davanti al confessionale sostano in attesa molti fedeli.
Si decide a cominciare. Entra, si siede, apre la grata e ascolta i peccati. Ogni volta gli procurano dolore, che va a coprire quello della sua gastrite.
Si avverte già una scrittura che si immerge nel dramma con brio e ironia.
Lo si nota subito quando tra i fedeli, l’ultimo gli confessa che ucciderà il vescovo, “perché ha peccato e il suo sangue dilaverà tutte le sue colpe.”.
Il suo spavento è tale che nemmeno quello di don Abbondio quando ricevette la minaccia dei bravi gli sta a paragone. Se la farà nei calzoni.
Nella storia si avvertono reminiscenze letterarie come queste di Giovannino Guareschi e Alessandro Manzoni. Ad esempio: Agatha Christie, coi suoi “Dieci piccoli indiani”, del 1939, le quali accompagnano piacevolmente la tessitura del giallo, rendendolo accattivante e piacevole.
Lucca è la cornice della storia. Siamo vicini a Natale. I personaggi che via via compaiono hanno tutti qualcosa che li rende inquieti, preoccupati. Così il commissario Iannone, così il sindaco della città, Tommaso Santamaria, ma non solo. Il lavoro che svolgono è una fonte di guai, da cui sono contagiati.
Don Mario non sa come denunciare l’imminente omicidio preannunciatogli nel segreto del confessionale. Ma ha la trovata geniale. Andrà a confessarsi dal vescovo, così potrà rivelargli che è in pericolo di vita. Anche qui l’incontro tra i due uomini della chiesa fa venire in mente quello di don Abbondio con il cardinale Borromeo. Come nel Manzoni don Abbondio, anche don Mario è una personalità debole rispetto a quella austera e dominante del suo vescovo. Il quale telefona al questore e gli dà l’informazione.
Durante la Messa di Natale il vescovo muore. Il vino della celebrazione era stato avvelenato. Stupore e costernazione generale: “Fu chiamata l’ambulanza, ma tutti sapevano che ormai era tardi: il vescovo Cerbioni era morto così, la notte della vigilia di Natale, poco prima della mezzanotte, davanti alle facce incredule dei suoi fedeli. Le campane della chiesa non intonavano le attese festose note per la nascita di Gesù, battevano colpi melensi e ritmati a morto e tutta la città si coprì come di un velo mesto e opprimente.”.
Questo è anche uno dei migliori esempi della scrittura di Amato, in taluni casi al massimo della asciuttezza ed efficacia.
È il momento dell’entrata in scena del commissario Enrico Iannone e del sovrintendente Mauro Marinuzzi. Cercano di trovarsi uno spazio in quella confusione; finalmente ci riescono. Il dottor Mengozzi, che si trovava tra i fedeli, pur accorso immediatamente, non aveva potuto fare nulla e solo constatare la morte del prelato.
La città viene a sapere ed è sconvolta. Chi può essere stato? Perché proprio il vescovo?
Eppure durante la Messa si erano infiltrati, indossando gli abiti civili, alcuni poliziotti incaricati di tenere gli occhi aperti. L’assassino era stato più abile di loro e li aveva messi nel sacco.
La scrittura di Amato si è fatta secca e veloce, e avvia l’introduzione di nuovi personaggi che aggiungeranno nel lettore dubbi e convincimenti. Uno dei primi sospettati sarà il sindaco di Lucca, un tipo bizzarro e pieno di manie. Durante la messa di Natale, una volta che il vescovo era stramazzato al suolo, di lui all’improvviso si erano perse le tracce. Poi il sospetto cade su Aldino, un balbuziente dal carattere strano, che ama parlare in latino, essendo stato professore di latino e greco al liceo classico: “E poi c’era quest’altra cosa pazzesca: che la balbuzie passava se parlava in latino. Per capirlo non era facile comunque, perché il latino lui lo parlava correntemente come se si fosse stati ai tempi di Cesare”. E proprio in latino sono scritti i messaggi di morte inviati dall’assassino.
Il sindaco, infatti, riceve una lettera contenente minacce di morte scritta in latino e firmata con una misteriosa sigla: C.d.E. Potrebbe voler dire Crivello di Eratostene, come sospetta un altro dei minacciati, il dottor De Paoli, che crede di rientrare nell’algoritmo formulato dall’antico matematico greco?
Ma si viene a sapere che Aldino è ricoverato presso una casa di cura che si chiama “Casa di Euridice”, proprio le tre iniziali con cui sono firmate le lettere misteriose: C.d.E.
Amato vuole tenderci una trappola? Si ha, come succede nei gialli, netta la sensazione di una sfida tra l’autore e il lettore.
Il dottor De Paoli, di “oltre settant’anni”, “era sempre rimasto un tipo esile, magro di ossa e scavato nel volto. Indossava occhiali squadrati con una montatura metallica e aveva un’espressione sempre diffidente. Ampie basette contornavano il volto. De Paoli si tingeva i capelli di un improbabile nero scuro, unica concessione al tentativo di contrastare l’inesorabilità del tempo che passa. Da quando era presidente degli industriali di Lucca, aveva dovuto rinunciare, almeno parzialmente, al suo modo invisibile di fare affari.”. Nella lettera minatoria che ha ricevuto solo queste parole: “Nunc rursus tuum est”, ossia: Ora tocca a te. Firmato: C.d.E.
Altri personaggi verranno messi sotto la luce dei riflettori, sicché il lettore indugerà in congetture dalle quali trarrà piacere, tanto saranno rese in modo suggestivo e suadente.
Si legge: “La Verità? Se c’è una strada che porta alla Verità, e se c’è un’unica incontrastata Verità, quella strada sarà infestata da divinità minori. Figlie fedifraghe che compongono un florilegio rigoglioso di un sottobosco infestante ed eutrofico. Figlie ingrate che asfissiano e nullificano quell’unica Verità. Figlie maligne. Figlie parricide.”.
È contro queste “figlie maligne” le quali si accaniscono a nascondere la verità che il commissario Iannone dovrà fare i conti.
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