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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: Specchi

8 Agosto 2008

di Fabio Fracas
[Fabio Fracas è autore, editor e sceneggiatore. Oltre a racconti, libri e poesie scrive per il cinema, per il teatro e per i fumetti. Suoi brani e suoi lavori sono stati rappresentati in vari festival e da diverse compagnie. Ha ricevuto una serie di riconoscimenti letterari e nel 2004, assieme alla poetessa Federica Castellini, ha fondato MacAdam – MacAdemia di Scritture e Letture.]

Si sedette, la lunga tunica bianca strascinò sul pavimento e si adagiò lentamente a terra. Si sporse in avanti allungando il collo delicatamente, all’indietro e ondeggiando con grazia i lunghi capelli neri. Davanti a lei un tozzo ovale metallico rifletté la sua immagine distorcendola. Occhi neri e grandi come abissi, carnagione bianca come il latte e un sorriso dolce da bambina. Nell’ovale una massa indistinta di nero, di bianco e di rosa. Chinò il capo e prese un pettine grosso da un basso stipo che aveva di lato. Poi lo passò sui capelli, a lungo. Sorrise, il rosa si mosse, e cantò. Un canto sommesso, non triste, che parlava di boschi, di viaggi e di uomini. Cantò e continuò a pettinarsi. Oggi era il giorno. Appoggiò il pettine e si alzò in piedi, la tunica si tese e ricadde, poi si girò. Non era sola. Nella stanza una donna più vecchia di lei, ma non molto. Anche lei sorrideva e sembrava tranquilla. Le disse: – puoi andare. –
– Grazie, madre. – rispose. I suoi piedi si mossero, scalzi, ed uscì.
Oggi era il giorno. C’era sole; la casa isolata dal mondo scomparve alle sue spalle mentre il bosco la accolse. Il verde dell’erba, il giallo del sole, il rosso, il blu, il viola dei fiori, guardava e pensava che oggi era sola e girava nel bosco. Saltò e poi ancora, con gioia ed eleganza come ogni bambina sa fare. Rise da sola o con l’aria e camminò fino al fiume. Non c’era mai stata neanche coi grandi: – aspetta – le avevano detto – vedrai, verrà il giorno. –
Oggi era il giorno. Il fiume era immenso, almeno per lei, ma non aveva paura. Lo vide ingrandirsi davanti ai suoi occhi e farsi vicino. Lo vide gonfiarsi con onde e con spruzzi e correre svelto incuneato fra i sassi. Poi si avvicinò, non aveva paura. Si accucciò al suolo come un animale strisciando pian piano sull’erba per giungere al ciglio. Lo fece. Sotto di lei, prona, il fiume, sopra di lei il cielo, davanti a lei la vita. Si sporse.
Oggi era il giorno. Spinse lentamente la testa oltre il bordo, con gli occhi socchiusi. Piccole gocce danzavano in aria colpendola al viso e giocando con lei. Aprì gli occhi: sotto di lei un rivolo argenteo. Cercò di guardarlo mentre scorreva veloce, cercò di guardarsi in quell’ansa tranquilla. Una donna le sorrise nel fiume ma non era sua madre. Chiuse gli occhi impaurita. Non era il riflesso dell’ovale, indistinto ma noto. Guardò nuovamente nel fiume ma la donna era tesa, sembrava impietrita.
Oggi era il giorno. Non chiuse più gli occhi ma mosse una mano. Anche la donna lo fece. Pianse. Anche l’altra. Capì. Quella donna era lei, o forse lo sarebbe stata. Scappò. Il bosco la accolse come già aveva fatto, il verde dell’erba, il giallo del sole, il rosso, il blu, il viola dei fiori, le corsero accanto. Rientrò il casa piangente e si buttò sulla madre urlando e gemendo.
– Cosa hai visto? – le chiese la madre.
– Ho guardato nel fiume, come hai detto di fare, ma ho visto una donna non una bimba come quella ch’io sono. – Rispose.
– Quella donna eri tu. O forse quella donna sarai. –
– Ma mamma, allora chi sono? – E guardandola. – Allora chi siamo? –
– Vedi, mio dolce tesoro – rispose – a volte gli uomini ci chiamano streghe. –

 


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3 Comments

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 8 Agosto 2008 @ 21:40

    Con un’efficacia narrativa che si esterna in un periodare breve, asciutto, senza spreco di parole (al contrario di quanto quasi sempre faccio io) e di forte impatto emotivo, il racconto gioca su sottili meccanismi psicologici. La trama si snoda intensa e significativa, avendo per sfondo essenziale la vita, soprattutto al femminile. Nel tormentoso sentiero delle domande, la protagonista si trova di fronte alla parabola discendente del tempo, che provoca stupore e tensione ad un tempo e risucchia nel gorgo di certe paure.
    L’amara conclusione, che sta nella risposta ultima della madre, ci dà la sensazione, non tanto sottesa e giustamente provocatoria, della distorta concezione della donna che ancor oggi molti di noi uomini, purtroppo, coviamo nel nostro io presuntuoso.
    Ottimo racconto. Spero di averne intepretato bene il senso
    Gian Gabriele Benedetti

  2. Pingback by Fontan Blog » LETTERATURA: Specchi - Il blog degli studenti. — 9 Agosto 2008 @ 06:07

    […] Amministratore: […]

  3. Commento by Fabio Fracas — 11 Agosto 2008 @ 08:13

    Caro Gian Gabriele Benedetti,
    la sua analisi del mio piccolo lavoro è notevole e la ringrazio moltissimo per quello che ha scritto. Si tratta di un brano che – nelle mie intenzioni – si ripropone di affrontare sia l’universo femminile, con le sue proprie paure, sia l’immagine che dello stesso ne abbiamo, spesso, noi uomini. Il tutto, immerso in un periodare misto fra poesia e prosa che cerca di enfatizzare il ritmo narrativo e al contempo, di dare la sensazione dell’ “assenza” di un tempo definito. Per indicare questo tipo di operazione retorica, ho coniato – all’incirca vero il 1995 – il “brutto” neologismo di “prosopoesia”. Grazie ancora e a presto,

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