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STORIA: Mario Camaiani: “La mia guerra – Da Livorno a Fornaci di Barga, 1940-1945” – Garfagnana editrice

25 Luglio 2014

di Bartolomeo Di Monaco

Qualche tempo fa glielo chiesi, ma nessuna parentela corre tra l’autore di questo diario di guerra e lo studioso Pier Giorgio Camaiani, autore di molti libri di analisi storica e sociale, tra cui “Dallo Stato cittadino alla città bianca – La «società cristiana » lucchese e la rivoluzione toscana”, uscito con La nuova Italia nel 1979. Però li unisce la stessa voglia di riflettere e di raccontare.

Permettetemi una digressione. Da ragazzo ero iscritto all’Azione Cattolica, e in conseguenza degli incarichi che avevo nella mia parrocchia (il rione popolare di Pelleria), ero chiamato a partecipare alle riunioni diocesane, dove, novello frequentatore e molto sprovveduto, avevo modo di incontrare persone più grandi di me, che poi nella vita hanno preso strade diverse. Ricordo qui alcuni nomi in forza di una nostalgia che ogni tanto mi prende: Pier Giorgio Licheri (ex parlamentare, generoso e altruista come lo è sempre restato nella vita), Alvaro Biondi (oggi professore universitario), Piero Angelini (ex parlamentare, che capitava ogni tanto e già si mostrava competente e preparato suscitando un certo timore reverenziale), Alberto Del Carlo (da tempo presidente della Banca del Monte), Fabio Pezzini (che fu sindaco di Camaiore), Mario Dinelli (credo scomparso molto giovane) e ogni tanto capitava Pier Giorgio Camaiani (oggi professore universitario), che ricordo sempre gioviale e festoso. Ai miei tempi il religioso responsabile della sezione lucchese dell’Azione Cattolica era lo scomparso don Pino Nardi, uomo mite, preparato e disponibile all’ascolto, succeduto, credo, a don Arturo Paoli, dedicatosi alla missione e ancora vivente.

Veniamo al libro di Mario Camaiani, che non è un romanzo ma un diario degli anni di guerra. Il 10 giugno 1940 (entrata in guerra dell’Italia), l’autore non ha ancora 12 anni, ma la sua memoria e la sua capacità di osservazione si rivelano già notevoli [dopo il bombardamento di Livorno da parte degli Alleati, avvenuto nel febbraio del 1941, nel tornare a casa la famiglia si ferma ad un bar e l’autore annota: “prendemmo il caffè (io un cappuccino)]”.

Ci si rende subito conto che la guerra non sarà una passeggiata. Se la Francia si è arresa appena quindici giorni dopo la nostra entrata di guerra (praticamente la colpimmo alle spalle), altrove la resistenza è tenace. La Gran Bretagna, in particolare, tiene testa alle forze dell’Asse e domina nel Mediterraneo.

Il 28 maggio 1943 Livorno è bombardata. Il quadro che ne uscirà è terrificante: “Le vittime civili totali delle incursioni aeree furono oltre ottocento ed i feriti parecchie migliaia.”.

Non bisogna dimenticare che qualche mese dopo la stessa sorte toccherà alla vicina Pisa, il 31 agosto, e il 6 gennaio 1944 a Lucca.

Nei rifugi i livornesi pregano l’effige della Madonna di Montenero e si domandano del perché della guerra, non riuscendo a trovare una spiegazione circa la cattiveria degli uomini.

All’inizio una spiegazione politica ce la offre lo stesso autore quando afferma che Mussolini aveva fretta di entrare in guerra poiché la Germania stava ottenendo rapide vittorie e presto avrebbe conquistato l’Europa e dunque l’Italia temeva di arrivare troppo tardi per poter vantare dei diritti sulla spartizione del supposto grosso bottino di guerra.

Per valutare quanto esaltata fosse l’azione di Mussolini, occorre anche aggiungere che, secondo indiscrezioni trapelate circa il carteggio Churchill-Mussolini, all’Italia, purché non entrasse in guerra, erano stati offerti la Corsica, Nizza ed altro ancora: “Secondo le interpretazioni più accreditate e sostenute da testimonianze di chi afferma di aver potuto sbirciare in quei documenti (Carissimi-Priori di Gonzaga), Churchill ad un certo punto avrebbe buttato a mare la Francia, quando ancora non si era arresa ed avrebbe addirittura offerto all’Italia l’intera Dalmazia e l’Istria, il possesso definitivo delle isole del Dodecaneso, la Tunisia, la Corsica, Nizza, e quant’altro pur di evitare questo tanto paventato intervento italiano.”.

E anche qui: “Questa tranche di missive indirizzate da Churchill a Mussolini e viceversa riporta tutte date anteriori al 1940. Essa sarebbe, pertanto, solo una parte del fantomatico carteggio epistolare che i due statisti si sarebbero vicendevolmente scambiati. La sua importanza deriva dal fatto di contenere diverse lettere molto imbarazzanti impostate dal premier inglese. Esse mettono a rischio i rapporti con la Francia, con la Grecia e con la Jugoslavia: prima del conflitto, mettendo nero su bianco, ‘Winnie’ aveva, infatti, promesso a Mussolini, per convincerlo a schierarsi con gli alleati contro Hitler, l’intera Dalmazia, il possesso definitivo delle isole greche del Dodecaneso, di tutte le colonie, della Tunisia, della Corsica e di Nizza e, forse, anche di Malta (cosa improbabile visto che quell’isola era sotto la sovranità britannica).”.

O qui e qui.

Chissà, forse Mussolini pensava che, grazie alla vittoria di Hitler, egli avrebbe ottenuto di dominare il mediterraneo con l’acquisizione di colonie e possedimenti britannici. Le cose andarono invece diversamente, e Mario Camaiani ci dà una testimonianza della tragedia che rappresentò per gli italiani la Seconda Guerra mondiale. Ancora oggi mi domando spesso come si possano perdonare le atrocità commesse dal nazifascismo ed in particolare dal popolo tedesco. Quanti morti causati dalla follia, e quale cinismo e quale spietatezza nel seminare l’odio e la morte! C’è un film recente, del 2008: “The Reader – A Voce Alta”, di Stephen Daldry (adattamento cinematografico del romanzo di  Bernhard Schlink  del  1995, Der Vorleser) in cui un tentativo di riscatto, processando alcune ex guardie delle SS nei campi di concentramento da parte di un tribunale tedesco, non riesce a convincermi di una consapevolezza dell’orrore provocato profonda e irreversibile.

Del resto lo stesso autore, in occasione della cerimonia in cui presso la Prefettura di Lucca il 27 gennaio 2011 viene consegnata una Medaglia d’Onore “prevista per i cittadini italiani militari e civili deportati nei lager nazisti o obbligati al lavoro coatto” osserva: “anche il sottoscritto era presente a questa commovente commemorazione; ma subito pensai come però non fosse completa: c’era una evidente lacuna, perché tutto si svolgeva dalla parte lesa, quella italiana, mentre mancava la parte colpevole, quella tedesca.”.

L’autore si serve di alcune occasioni, come i viaggi in treno, o gli incontri al bar, per registrare l’opinione dei cittadini di fronte a ciò che stava accadendo, soprattutto dopo il 25 luglio 1943, ossia dopo la caduta di Mussolini e poi – avvenuta la sua liberazione da parte dei tedeschi – la costituzione della Repubblica di Salò. Come l’esercito, lasciato senza guida (celebre il film di Luigi Comencini: “Tutti a casa” del 1960, con uno straripante Alberto Sordi), anche il popolo italiano è disorientato. Significative le parole di un cittadino che prende parte ad una di queste discussioni: “Ho ascoltato ciò che è stato detto a proposito del bene sociale che il fascismo abbia fatto al popolo italiano; ma il male che gli sta causando con questa maledetta guerra è immensamente più grande!”. Oppure il giovane Marco che decide di arruolarsi nella repubblica di Salò e all’autore dice: “in questo conflitto siamo partiti alleati con i tedeschi, i quali ci hanno aiutato più volte, in Africa, in Grecia, nei Balcani, ed ora che combattevano con noi in Italia, dopo il voltafaccia del Re, ci hanno occupato. (…) Ci sono dei miei ex camerati che sono entrati a far parte delle formazioni partigiane, mentre fino a non tanto tempo fa erano fascisti convinti.”.

È una fotografia impietosa della situazione in cui la guerra aveva gettato il nostro popolo, e l’autore – non si deve dimenticarlo – ne parla come testimone diretto, anche se a quel tempo era ancora un ragazzo.

Il libro, dunque, ha valore di verità, come altri libri che sono usciti raccontandoci quegli anni. Non mancano episodi di umanità, come quello della famiglia sconosciuta che ospita in casa propria la famiglia dell’autore per una notte, allorché, a causa dei bombardamenti, il treno che avrebbe dovuto portarla a Livorno era stato requisito. O del soldato tedesco che evita di denunciare una famiglia che tiene nascosti dei sacchi di grano. O i tedeschi che aiutano Davide a liberare la gamba rimasta imprigionata a causa del crollo del proprio cancello. O la caduta presso Ghivizzano di un aereo inglese e la sepoltura del pilota nel cimitero di Loppia.

Tuttavia il segno del libro sta nella denuncia della inevitabile violenza della guerra, da qualunque parte la si combatta. Le stesse forze di liberazione alleate si resero colpevoli di orrendi misfatti che l’autore puntualmente ricorda, quali stupri e soprusi perpetrati nei confronti della popolazione civile da parte di truppe nordafricane dopo lo sfondamento di Montecassino, e ciò ci riporta alla mente il capolavoro di Vittorio De Sica, “La Ciociara”, del 1960 (tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia).

Numerosi episodi vissuti direttamente dall’autore arricchiscono la parte finale del libro (in cui è sempre presente la fede in Dio), nel momento in cui gli alleati, superata Lucca, entrano, il 5 ottobre 1944, con truppe brasiliane (sostituite poi dalla divisione di colore “Buffalo”), nella valle del Serchio preceduti da violenti bombardamenti, e i tedeschi arretrano e resistono sulla Linea Gotica. Interessante la rievocazione della battaglia di Sommocolonia, di cui da ragazzo sentivo parlare quando mi indicavano il paesino arroccato sul monte che si vede bene da Barga, dove a metà degli anni ’50 mi sono recato in colonia per due anni. Come pure l’annotazione a riguardo della sommaria esecuzione, avvenuta a Milano, di Mussolini e di Claretta Petacci: “attaccati ad una intelaiatura di una edicola di giornali, impiccati per i piedi come animali macellati, offerti al pubblico ludibrio ad una moltitudine di gente che di fronte ad una tale gogna cadaverica, ebbe comunque una briciola di umanità, se è vero che la gonna di Claretta fu legata in modo che non le si scoprisse parte della sua nudità.”.

Ove si pensi che il tutto deriva da un diario quanto meno della memoria (“buona memoria dei fatti di allora, come io credo di avere”) tenuto da un ragazzo che allo scoppio della guerra non aveva ancora compiuto 12 anni e che vedeva svolgersi tali devastanti avvenimenti sotto i suoi occhi (ancora conserva taluni reperti: biglietti di viaggio; una scheggia di bomba che colpì la casa che l’ospitava; alcune carte annonarie), riuscendo a mantenere il controllo di sé e ad annotarli,   non v’è che da esprimere nei confronti di un tale autore che ha saputo recuperarli e ricostruirli la più sincera ammirazione e un grato ringraziamento.

 


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2 Comments

  1. Commento by Mario Camaiani — 25 Luglio 2014 @ 13:37

    Ciao Bart,
    il commento che hai fatto al mio libro è, a dir poco, meraviglioso! Hai interpretato alla perfezione il mio pensiero, ciò che volevo trasmettere…e andando oltre, fino ad interessanti notizie storiche, anche inedite.
    Sei una persona di animo grande, nobile.
    Ti ringrazio e ti saluto con tanta amicizia.
    Mario

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 26 Luglio 2014 @ 10:46

    Grazie a te, Mario, per la preziosa testimonianza.

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