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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

TEATRO: I MAESTRI: Miguel de Cervantes. Con l’elmo nazista

19 Aprile 2014

di Giorgio Zampa
[da “La fiera letteraria”, numero 18, giovedì 2 maggio 1968]

La Quarta rassegna internazionale dei Teatri Stabili di Firenze si è inau ­gurata con uno spettacolo del Teatro Espanol, cioè della città di Madrid, El cerclo de Numancia di Cervantes: una delle due opere sopravvissute del così detto primo periodo teatrale cervanti ­no, da porre intorno al 1585, dopo il ri ­lascio dalla prigionia di Algeri e il ri ­torno in Spagna. Dettata in ottave, so ­lenne, anzi cupa, con personaggi alle ­gorici (il fiume Duero, la Guerra, la Fama, la Spagna), storici (Scipione l’Emiliano, Quinto Fabio, Mario), fan ­tastici (i giovani innamorati; i due amici inseparabili), Numancia, come per brevità viene chiamata, ha per protagonista il popolo numantino stretto dall’assedio dei romani, deciso a perire intero, piuttosto che accetta ­re la resa senza condizioni.

Che nel siglo de oro il fulgore degli astri di prima grandezza facesse im ­pallidire questa e altre produzioni di Cervantes é nell’ordine delle cose; al ­trettanto comprensibile è l’entusiasmo dei romantici, di Friedrich Schlegel in particolare, che nel Dialogo sulla poe ­sia scrisse: « Allorché Cervantes diede di piglio alla penna anziché alla spada, che non era più in grado di portare, poetò la Galatea, una mirabilmente grande composizione dell’eterna musi ­ca della fantasia e dell’amore, il più delicato e amabile tra tutti i romanzi; e poi molte opere che dominarono la scena ed erano, come la divina Numancia, degne dell’antico coturno. Questa fu la prima grande stagione della sua poesia, il cui carattere fu un’alta bellezza, severa eppure ama ­bile ».

La tragedia piacque anche a Goethe, ma non sono in grado di riportare il suo giudizio di prima mano. Le crona ­che riferiscono che in Saragozza asse ­diata dalle truppe di Napoleone il ge ­nerale Palafox, nel 1809, la facesse rappresentare per tenere alto il mora ­le dei suoi; durante l’ultima guerra ci ­vile, i repubblicani la conobbero in una riduzione di Rafael Alberti; me ­morabile anche, per l’impegno politico che l’animava, la messa in scena di Barrault all’« Antoine », nel ’37.

Un lavoro con un messaggio, dun ­que, anzitutto: dai tempi di Appiano, la fine dei Numantini ha un significato preciso, che Cervantes volle rendere ancora più univoco, togliendo a Scipio ­ne, con il sacrificio dell’ultimo super ­stite, il ragazzo Bariato, che si getta da una torre, la possibilità del trionfo (e questo contro il dato storico; il trionfo fu celebrato nel 132 a. C.). Ma quale interpretazione dare alla propo ­sta di Miguel Narros, regista della Nu ­mancia in importazione temporanea dalla Madrid franchista a Firenze?

Ufficiali e soldati romani, col pastra ­no alle caviglie, i risvolti larghi, molti bottoni, in testa qualcosa tra il paiolo della Wehrmacht e un cimiero fantaisiste, percorrono a gran passi la scena della Pergola, interrotta a metà da una parete coperta da enormi figure che richiamano non tanto Picasso quanto Campigli; Scipione nasuto, cor ­pulento, con pappagorgia, mani dietro il dorso, testa chinata, somiglia troppo a un comandante di vigili del fuoco. I Numantini magri, vestiti misera ­mente, quando sono in gruppo si di ­spongono secondo gli schemi studiati da Brecht per il modello della Madre di Gorki; ma alcune scene, per esempio il sacrificio del capro o la mancata evocazione del negromante Marchino, fanno pensare a moderne rappresenta ­zioni operistiche (mentre queste ulti ­me rimandano a impostazioni di dram ­mi a carattere corale, con comparse che si muovono in modo anticonven ­zionale).

Si cerca di modulare quanto più possibile le ottave, di farne strumenti per il gesto e per il dialogo, si schiac ­cia il pedale sulle rime, si gioca di contrappunto tra azione principale (tentativi della comuniità numantina di trovare un accordo con i romani, quindi determinazione di distruggere ogni ricchezza e di uccidersi a vicen ­da) ed episodi laterali (incursione del giovane amante nel campo romano; morte sua e dell’amico). Si tende al Sublime in un’atmosfera secca, crepi ­tante, attraverso una esaltazione con ­tenuta che alla fine si incendia in vo ­lontà di morte; la successione di episo ­di durante la notte della strage, di una verosimiglianza atroce anche sotto la patina declamatoria, è la parte miglio ­re dell’opera.

Gli attori sono bravi, uno per uno e tutti insieme; la guida di Narros è fer ­ma, sensibile, dietro ci sono le risorse del migliore teatro europeo dei nostri giorni. Quanto alla domanda posta po ­co sopra: se i romani sono vestiti e at ­teggiati come nazisti, i Numantini co ­me obreros e campesinos, l’analogia, per me e, spero, per molti altri, è stata naturale, inevitabile.


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