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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

TEATRO: I MAESTRI: Peter Handke. Il principe scambiato

20 Aprile 2014

di Giorgio Zampa
[da “La fiera letteraria”, numero 34, giovedì, 22 agosto 1968]

Mi ero proposto di farlo da tempo, non ne avevo avuto mai il coraggio: quelle quattrocentocinquanta pagine, fitte, di formato superiore al normale, mi spaventavano. Mi decisi nei giorni scorsi e fu più dura del previsto: a parte la minuzia del racconto, l’accani ­mento nella discussione di particolari quasi invisibili, la scrittura piena di inutili solecismi, di battute berlinesi, falsamente veloce (non è vero che il parlato «scorre » meglio), falsamente cordiale, disinvolta, da avvocatone che vuol fare vedere come si lavora, mi fe ­ce cadere più volte il malloppo di ma ­no. Ma l’interesse per il fatto era ta ­le, che arrivai in fondo. Affidato a un traduttore che lo trattasse a dove ­re, intervenendo con potature e spun ­tatine, questo « protocollo di una leg ­genda moderna », intitolato Il principe Kaspar Hauser, redatto da Hans Scholz (editori Hoffmann und Campe), potrebbe interessare anche da noi, anzi, avere successo: che materia, quante stranezze, che variazioni mera ­vigliose.

Debbo dire chi fu Kaspar Hauser? A Norimberga, nel 1962, gli dedicarono una mostra; in Ansbach, una cittadina a pochi chilometri dalla patria di Dürer, da decenni un museo intitolato a lui attira gente da ogni parte del mondo; la sua tomba, sempre in An ­sbach, a distanza di un secolo e mezzo dal misterioso omicidio, è meta di pel ­legrinaggi. Ancora vivo, a vent’anni, era uno dei mirabilia della Germania, storici, scienziati, poeti, filosofi, psico ­logi. alienisti, occultisti, criminalisti, politici, lo facevano oggetto di studio, il popolo parteggiava con passione per questa o quella versione relativa alle sue origini; chi lo voleva un imposto ­re, chi vittima nobilissima di intrighi drastici. Lo paragonavano a Masche ­ra di Ferro, rievocavano le vicende dei Demetri, lo volevano figlio di Na ­poleone; la voce più diffusa lo diceva con sicurezza prole di Stefania di Béauharnais, figlia di Giuseppina, data in sposa, nel 1806, per ragion di Stato, dal suo imperiale padrino all’erede al trono del Baden, Karl von Zahringer. Venuto alla luce nel 1812, l’infante sa ­rebbe stato rapito e sostituito con un lattante nato lo stesso giorno e morto subito dopo lo scambio. Motivo del ratto? Evitare al pargolo legittimo una fine violenta, per veleno o altro.

Queste le dicerie, prive, sembra, di ogni fondamento. I fatti che si cono ­scono con certezza si riferiscono alla comparsa improvvisa, per le vie di Norimberga, il 26 maggio 1828, di un ragazzo sui sedici-diciassette anni, ve ­stito di panni non suoi, con una specie di cilindro in capo e in mano una let ­tera indirizzata al comandante di un reggimento di cavalleria. Il giova ­netto, cui un documento accluso alla lettera attribuiva il nome di Ka ­spar Hauser, non era in grado di par ­lare né di intendere; camminava male, come se non avesse mai usato le gam ­be, e, sebbene di costituzione normale, addirittura robusta, non poteva com ­piere il più piccolo sforzo. Tutte le ri ­cerche rivolte a fare luce sulle sue ori ­gini non dettero risultati: a ogni do ­manda che gli si rivolgesse, Kaspar re ­plicava con una sola frase, in dialetto, apparentemente l’unica che conosce ­va: « Vorrei essere un cavaliere, come fu mio padre ».

Il caso interessò in una maniera che oggi diremmo morbosa. Mentre distin ­ti cittadini si offrivano di allevare ed educare quello che dal popolo era chiamato l’uomo della foresta, polizia e magistratura di Stati anche non in ­teressati direttamente alla vicenda conducevano indagini frenetiche. Quando, nel 1828, Kaspar subì un at ­tentato (il suo sviluppo intellettuale era stato rapidissimo, parlava da per ­sona normale, scriveva come qualsiasi ragazzo della sua età, rivelando voca ­zione per il disegno e la pittura), la città provvide a farlo custodire giorno e notte da due guardie armate. Pre ­cauzione insufficiente: il 15 dicembre 1833 il trovatello, che nel frattempo era stato assunto come scritturale dal tri ­bunale di Ansbach, attirato in un par ­co deserto, fu pugnalato da uno scono ­sciuto e morì due giorni dopo, senza avere dato agli inquirenti nessun indi ­zio sull’assassino.

La leggenda del principe scambiato, che già allora si era formata, fornendo ai cantastorie un soggetto che il pub ­blico non si stancava di ascoltare, pre ­se a correre per tutta l’Europa: inutile citare le opere che ispirò, da Verlaine a Trakl, da Hofmannsthal a J. Wasserman. Ancora quest’anno ha offerto nome e protagonista al lavoro più ori ­ginale, forse, apparso sulla scena tede ­sca: Kaspar di Peter Handke.

Del giovanissimo autore austriaco si dette qui notizia lo scorso inverno, quando a Milano fu rappresentato quel pezzo di bravura che è la Publikumsbeschimpfung, (Ingiurie al pub ­blico). Si elogiò l’ingegno verbale, le risorse naturali che permettevano di variare all’infinito, con effetti a volte sorprendenti, un materiale limitato. Feci riserve sulla serietà di quella di ­chiarata aggressione agli spettatori,

giudicandola un gioco di società più che una vera provocazione.

Con il Kaspar, andato in scena a Francoforte, Oberhausen e Brema, se mi è lecito giudicare dalla lettura, di ­rei che le riserve precedenti possano essere in gran parte sciolte: fossi un regista, mi butterei subito su un testo così limpido, solido, intelligente, pieno di interesse sul piano verbale e su quello pantomimico, freschissimo e tragico, irritante, divertente, concreto nella sua astrazione. (Ma piuttosto che affrontare un impegno come questo, si preferirà ammannire tartes au pommes del vecchio e del nuovo conti ­nente, non importa se ricamate di muffa).

Credo che Handke abbia letto il vo ­lume di Scholz: più di un indizio sta ­rebbe a confermarlo. Ma il suo Kaspar ha poco a che fare con quello storico. Il nome adottato si richiama tanto al trovatello di Norimberga quanto all’arlecchino austriaco, il Kasperl. Tra mobili di scena disposti a caso, come abbandonati durante un cambiamento, appare un personaggio che stenta a camminare, a coordinare gesti, a tro ­vare un rapporto con lo spazio intor ­no; incapace di articolare una parola. Tre suggeritori invisibili cominciano a fargli pervenire, attraverso microfoni, i loro messaggi, a spiegargli la natura e la funzione del linguaggio, in termi ­ni che ricordano il Wittgenstein del Tractatus.

Al Kaspar-che-parla si affianca un alter ego che mostra di avere preso al ­la lettera le regole dei suggeritori, un fanatico dell’ordine e della precisione. E poco dopo ne compaiono altri cin ­que, sei identici, per stringere intorno al parlante una gabbia sempre più fit ­ta di luoghi comuni, di banalità, di pseudoverità, di princìpi così detti mo ­rali. Moltiplicato, deformato e impri ­gionato dalla parola, dal mezzo espres ­sivo cui aveva affidato la sua ragione d’essere, la sua verità, Kaspar comin ­cia a dubitare di quelle che poco pri ­ma aveva creduto certezze, ricade nei dubbi dai quali si era liberato, balbet ­ta: « Io… sono… soltanto… per caso: io… ». Il sipario si chiude sugli schia ­mazzi, i berci, le risate, i gorgogli dei Kaspar che gli stanno addosso. Un te ­sto di una sicurezza, di una qualità che da un pezzo non capitava di trova ­re; non per nulla, oltre a quello di Wittgenstein, la critica ha fatto i nomi di Karl Kraus e di Nestroy.


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Bart