LETTERATURA: Una vita spiegazzata
2 Giugno 2008
di Francesco Improta
Gli abbaglianti fendono le ultime, sbiadite tenebre della notte. L’auto, una decappottabile non più nuova ma ancora grintosa, si allontana dalla città in dire Âzione del litorale di Licola. Giunta in prossimità di una modesta villetta in riva al mare, s’inchioda sull’asfalto con una brusca frenata. La portiera si apre provo Âcando un fastidioso rumore metallico e ne scende Gianni, un uomo dall’età inde Âfinibile ma di gran fascino, segnato dagli anni e dalla vita. Indossa, come suo solito, un ele Âgante vestito di lino bianco, maltrattato come il suo viso ricoperto da una barba incolta e pungente; la camicia è sbottonata e la cravatta allentata. Raccoglie la chiave sotto lo zerbino ed entra in casa. Il disordine e il tanfo lasciano intendere non solo che la casa da molto tempo è disabitata, ma anche che manca una donna nella vita di Gianni. Dopo aver acceso una luce fioca, va a rovistare in un ar Âmadietto e trova una bottiglia con due dita di wisky che trangugia di un fiato. Si getta sul letto senza spogliarsi e comincia a fissare il soffitto scrostato che presenta evidenti macchie d’umidità . Quando dalle tapparelle semiabbassate si diffonde nella stanza il primo chiarore dell’alba, si alza lentamente, si accende l’ennesima Marlboro, con gesti pausati, e, raccolto in un angolo della stanza un sassofono, si avvia verso la spiaggia. Il mare rantola, rotolandosi sulla battigia, l’estate sta fi Ânendo e l’aria, a quell’ora, risulta frizzante; Gianni, però, sembra non accorgersene e sedutosi su una vecchia e sgangherata sedia, che ormai sembra far parte del panorama, comincia a soffiare nel sassofono e ad abbaiare alla vita. La musica straziante si perde nell’aria insieme ai suoi pensieri.
Era il primo ottobre del 1970 e Gianni si accingeva ad entrare nella Classe V F del Liceo Caccioppoli; era il terzo anno che insegnava. Impeccabile come suo solito, nel suo vestito di grisaglia grigio, e ricco d’entusiasmo si rivolse agli studenti, che vedeva per la prima volta, e con tono pacato ma deciso s’impegnò a stabilire un dialogo con loro, senza assumere atteggiamenti cattedratici o autoritari, nel ten Âtativo, o meglio, nella speranza  di costruire una so Âcietà più giusta. Erano queste le aspettative degli studenti in quegli anni e Gianni non poteva e non voleva de Âluderli. Si era laureato in Lettere perché credeva nell’insegnamento e soprattutto era convinto che la cultura fosse un valore irrinunciabile; col tempo avrebbe capito che erano soltanto illusioni. Ai suoi sogni diurni, col calare delle tenebre, si so Âstituivano i suoi incubi notturni: una smania irrefrenabile lo divorava e non gli consentiva di ragionare. Come in preda a un demone, frequentava tutti i circoli, le sale da gioco, le bische della città dove giocando a poker, a baccarà o ai dadi sperperava non solo i suoi modesti guadagni ma anche i risparmi dei suoi genitori, per finire, poi, imbottito d’alcool e d’amarezza nel letto di qualche compiacente ragazza. Tutte le mattine, in ogni caso, con la barba incolta sul viso e con due caffè amari nello stomaco era, puntualissimo, dietro la cattedra a parlare della tensione intellettuale e morale che sorreggeva Dante nel suo viaggio nell’ol Âtre Âtomba o a spiegare la lezione di civiltà e d’umanità che traspare, oggi come allora, dai saggi di Pasolini. Gli anni passavano e i sogni di Gianni s’infrangevano l’uno dopo l’altro, gli studenti dopo aver protestato talvolta anche in maniera violenta si erano adagiati o integrati mentre i più irriducibili avevano scelto la via della droga  oppure quella senza ritorno del terrorismo. Gianni continuava a giocare e ad in Âsegnare e se le sue frequentazioni notturne si concludevano, come sempre, in ma Âniera negativa le sue lezioni a scuola erano diverse: Gianni, infatti, non s’illudeva più di cambiare il mondo, né sperava di raggiungere il vero, era legittimamente soddisfatto che il mondo non lo avesse cambiato, almeno in modo radicale, e si accontentava di trasmettere la bellezza che trasuda da un’opera d’arte, convinto com’era che solo la bellezza ci consente di superare il gap che esiste tra la finitezza della nostra esistenza e l’aspirazione all’infinito del nostro spirito. “In un mondo che fa acqua da tutte le parti la bellezza è una scialuppa di salvataggio, un criterio d’orientamento in un tempo malato, privo di coordinate.” Disse Gianni durante una lezione, e uno studente chiese con tono perplesso e sgomento: “E dove alberga oggi la bellezza?” “Certo non più nella natura quotidianamente violentata, saccheggiata, vilipesa nella sua sacralità , ma nell’arte, nelle ottave aeree, luminose e solari di “L’Orlando Furioso”, nelle sciabolate di luce di Caravaggio, nelle inquadrature di Godard, frutto sempre di una scelta morale, e anche nelle gambe lunghe e affusolate di una donna che, a sentire Truffaut, sono il compasso con cui si misura l’armonia del mondo o più semplicemente un pianeta esotico tutto da esplorare.” Gianni aveva ripreso a coltivare un “vizio”, radicato in lui fin dall’infanzia, quello di andare a cinema tutti i giorni prima del solito calvario notturno nei luoghi della perdizione; aveva conosciuto una ragazza, Eliana, diversa da tutte le altre che condivideva la sua stessa passione. Era nato tra i due un amore profondo, trascinante e per alcuni mesi Gianni sperò di poter cambiare vita, cominciò a fare progetti, ad allontanarsi dalle bische; in un periodo, comunque, d’assenza di Eliana da Napoli, Gianni fu trascinato da alcuni vecchi compagni di bagordi in una nuova bisca. Quella notte perse una cifra enorme cui non seppe far fronte, fu costretto quindi a ricorrere agli strozzini che lo stesso proprietario della bisca gli presentò come persone fidate. Gli interessi che Gianni fu costretto a pagare mensilmente erano altissimi mentre il debito contratto rimaneva inalterato; riprese a frequentare assiduamente le case da gioco nella speranza di rifarsi, diradò gli incontri con Eliana per recarsi di pomeriggio al cinodromo o all’ippodromo, ma tutto fu inutile: le perdite si fecero sempre più consistenti e il bisogno di danaro divenne impellente e indifferibile. I cravattari non gli davano tregua, gli stavano col fiato sul collo e più di una volta dalle minacce passarono ai fatti, lasciandolo contuso e sanguinante per la strada. All’inizio Gianni cercò di nascondere le sue disavventure a Eliana, ma alla fine fu costretto a confessare ogni cosa, Eliana si dimostrò comprensiva perché lo amava veramente e cercò di aiutarlo dandogli tutti i suoi risparmi. Gianni dapprima, per quella dignità che non gli era mai venuta meno neppure nei momenti più difficili e che egli imperterrito cercava di inculcare nei suoi studenti (continuava, infatti, a insegnare regolarmente), rifiutò l’aiuto di Eliana, successivamente, però, vergo Âgnandosi come un ladro, accettò i soldi, promettendo al tempo stesso che non avrebbe più giocato. Le promesse di un giocatore non valgono più di quelle di un marinaio e Gianni non solo tornò a giocare ma fece anche altri debiti, del resto i risparmi di Eliana li aveva puntati tutti su un ronzino che era dato 10 a 1. Eliana aveva minacciato di lasciarlo più volte e Gianni che amava Eliana con tutto se stesso ritornava da lei umile e contrito, ma dopo qualche giorno riprendeva la sua solita vita, scendendo tutti i gradini dell’abiezione. Eliana dopo reiterati tentativi tutti puntualmente falliti, scomparve dalla sua vita senza lasciare tracce, pro Âbabilmente aveva lasciato Napoli. Dapprima Gianni si disperò e la cercò senza sosta, poi si rassegnò al suo destino continuando la sua discesa agli Inferi; dall’abiezione più totale lo salvava ancora la scuola che Gianni onorava con il suo amore per l’arte e con la sua non comune professionalità . Quando, però, si accorse di parlarsi addosso, di non riuscire più a comunicare, in punta di piedi, senza clamori diede le dimissioni; e cominciò senza più ritegno a degradarsi e ad auto Âdistruggersi: fumava come una vaporiera e non solo tabacco, beveva come una spugna e sniffava anche, pur di continuare a giocare si accontentava d’avversari risibili e di misere poste. Dello splendore di un tempo rimanevano quel vestito bianco di lino ormai sdrucito e una memoria sempre più fallace che gli consentiva, però, di recitare, senza l’aiuto del libro, qualche verso di Penna o di Montale.
La musica del sassofono graffia l’aria, un pallido sole si affaccia ad oriente, il mare tiepido respira regolarmente, Gianni con gesti lenti, ieratici, quasi sia in procinto di officiare un rito, si toglie la giacca e l’appoggia alla spalliera della sedia quindi sbottona la camicia che si sfila di dosso insieme alla cravatta, l’appoggia sulla giacca, fa scivolare, infine, i pantaloni, li ripiega accuratamente sulla sedia e sulla sabbia, vicino ai piedi della sedia, sistema le scarpe con dentro le calze. Solo allora si avvia verso il mare vi s’inoltra camminando finché l’acqua non lo ricopre come una pietra tombale. Non è riuscito a dare ordine alla sua vita e, forse, neppure lo voleva, se n’è andato però ordinatamente, in maniera quasi “religiosa”.
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Pingback by Fontan Blog » LETTERATURA: Una vita spiegazzata - Il blog degli studenti. — 3 Giugno 2008 @ 05:20
[…] Bartolomeo Di Monaco: […]
Pingback by LETTERATURA: Una vita spiegazzata | Midi Blog — 3 Giugno 2008 @ 05:30
[…] Una vita spiegazzata Archiviato in: Midi — Giugno 2, 2008 @ 8:25 am jazzit: Impeccabile come suo solito, nel suo vestito di grisaglia grigio, e ricco d’entusiasmo si […]
Commento by marino — 2 Settembre 2008 @ 00:07
Il vizio di cui ci parla qui l’autore, Gianni, il protagonista centrale di questo racconto, sembra averlo dentro
da prima ancora, é il vizio pavesiano… Un mondo intero in un
racconto. Davvero bello.