Vincenzo Pardini e Mario Tobino visti da Paolo Vanelli

di Bartolomeo Di Monaco

Dai 2 importanti libri del prof. Paolo Vanelli (dallo stesso donatimi, e torno a ringraziarlo per la preziosità del gesto): “Le Icone del testo. Saggi sulla narrativa italiana contemporanea” (editore Marietti, 2006) e “Bellezza e Verità. L’opera narrativa di Mario Tobino” (editore Maria Pacini Fazzi, 2024) traggo alcuni brani significativi per la comprensione dell’opera dei 2 grandi narratori contemporanei.

PARDINI (da “Le icone del testo”)

“La costellazione tematica dei racconti di Pardini trasgredisce i canoni obsoleti della produzione del secondo Novecento, portando in luce un materiale narrativo che punta alla rappresentazione delle forme primordiali dell’essere e della vita: il mondo animale, il senso del fato, il sogno di una libertà anarchica, i turbamenti della fisicità, il turgore della natura, il fascino femminile. L’autore crea scenari selvaggi carichi di colori, mescolando realtà e immaginazione, talvolta con atmosfere di sortilegio, in un clima da Genesi o da Apocalisse, dove fa muovere i fantasmi di una voce narrante solitaria e spesso conflittuale con la realtà, che fatica a entrare in contatto con il mondo omologato e sceglie quindi come proprio palcoscenico un mondo ancora legato alle origini, un arcaico fremente di istinti e di impulsi, naturalmente innocente. In questo arcaico essa può veramente teatralizzare l’ingorgo della sua passionalità, del suo Eros e della sua tensione libertaria.”.

1 – TOBINO (da “Le icone del testo”)

“Tobino È uno scrittore libero, autentico, che butta all’aria tutti i generi letterari, i codici linguistici e narrativi, e nello scrivere vuole rispondere unicamente al dettato della sua coscienza e agli impulsi dell’anima, che non devono inquinarsi né alterarsi assoggettandosi a strutture e a sofisticazioni imposte dall’esterno. Forma e contenuto nascono simultaneamente: non c’è contenuto che possa adattarsi ad una forma precostituita, come non c’è storia o invenzione che possa calarsi in un genere omologato.”.

2 – TOBINO (da “Bellezza e Verità”: una amorosa e dettagliata radiografia dell’opera tobiniana. Tobino vi è definito “Il poeta dell’ ‘amor vitae’ e della ‘bellezza’)

“Accostarsi alla follia forse significava per Tobino ritrovare l’arcaica dignità del primitivo, la libertà di un mondo senza regole cogenti, la vita ripulita dai reticolati che la racchiudevano in “horti conclusi”, i quali a poco a poco si trasformavano in sinistri giardini incantati, come quello di Circe. Era forse una fuga verso esperienze primordiali che possedevano una loro verità assoluta, una sacralità: erano scene che non si prestavano ad essere inserite nei cicli e nelle forme ordinate che regolano la realtà, e per questa loro assolutezza si presentavano come microcosmi in cui tutto sembrava manifestarsi, azioni pure senza pensiero, miscugli di contenuti latenti che non si esprimevano in una forma, ma rimanevano nascosti, misteriosi, proprio come il senso latente di una poesia. L’unico mezzo per conoscerli era la commozione o meglio ancora l’autodistruzione estatica dinanzi al volto di una realtà dove riaffiorava la forza prodigiosa dei fenomeni originali.”.

“Magliano (nella realtà: Maggiano) è una frazione di Lucca, a circa 8 km dalle mura cittadine. Il territorio è lievemente ondulato: qualche poggio, qualche lieve collinetta increspano la pianura, pronta a collegarsi con le vicine pendici che preludono ai monti della Garfagnana o alle Alpi Apuane. Su una di queste collinette, si leva, scuro e arcigno, il Manicomio (antica sede di un monastero), dove Tobino per circa 40 anni ha esercitato la sua professione di psichiatra, dirigendo anche la sezione femminile. Attorno una natura stupenda e rigogliosa sembra fare come da controcanto amoroso e armonioso alla disarmonia dei suoni laceranti della pazzia, col verde dei prati e con i boschetti, che sono vere macchie impenetrabili e misteriose.”.

(Lucca)

“Negli ultimi libri l’autore sente invece Lucca come veramente è, ovvero come una città androgina, in cui l’elemento femminile e quello maschile si fondono perfettamente. Quello che prima conquista, e che Tobino in realtà ha sempre positivamente avvertito, è l’elemento femminile: Lucca è infatti formata come un grembo materno, con le Mura che chiudono e proteggono, col tepore interno che richiama la pace calda di un mondo uterino; sono femminili la sua bellezza e la sua grazia, le sue stradette strette, contorte, labirintiche, col loro cicaleggio sorridente, e poi il suo purissimo parlare che ha la finezza e il tono di una voce di contralto, una musicalità da cui non poteva non zampillare la femminile musica di Puccini.”.

“Tobino è uno scrittore dotato di una forte componente sensuale, che aderisce emotivamente alla realtà e intende la scrittura come strumento per esprimere il suo viscerale rapporto con il mondo e il suo desiderio di appropriarsene. Ma questa voracità di vita e di Eros ha bisogno di una giustificazione estetica, che viene espressa nella formula già citata, cioè che la vita ‘quando completamente si dichiara è bellezza’.”.

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L’ho già scritto in altre occasioni. Il lungo racconto “L’angelo del Liponard” è quello che mi ha di più aperto alla scrittura. Di esso, il professor Vanelli scrive, ed io concordo con lui: “che si può giustamente annoverare tra i più bei racconti lunghi della narrativa italiana novecentesca”; “L’autore sbozza, incide, scalpella, forza i cardini grammaticali e sintattici, ricreando col linguaggio l’eccitazione, l’ansia e la smania erotica.”.

Ai Lucchesi in particolare segnalo il bel capitolo Sesto intitolato “Tobino e Lucca”.

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