LIBRI IN USCITA: MERIDIANOZERO 14/2011
16 Luglio 2011
Cari lettori e lettrici,
questa volta approfitto della newsletter per fare due chiacchiere e parlare… della traduzione dei titoli dei libri. L’idea mi e’ venuta perche’ qualcuno di voi mi ha tirato le orecchie. Per un titolo italiano che e’ molto diverso dall’originale.
Il libro e’ “Missione in Alaska” di Mykle Hansen. Il titolo originale era “Help! A bear is eating me” (“Aiuto! Un orso mi sta mangiando!”).
Adesso vi spiego perche’ l’abbiamo cambiato, ma prima due notizie sul libro e sull’autore. L’autore fa parte di un gruppo che in USA scrive romanzi o racconti noti come ‘bizarro fiction’. Anche chi non sa l’inglese capisce immediatamente che se la chiamano ‘narrativa bizzarra’, non deve essere poi molto normale. E infatti la maggior parte di loro scrive storie particolari che sembrano un’incrocio tra il punk e l’underground, con una spruzzata abbondante di peperoncino rosso: cercano di andare contro le normali aspettative della lettura, di ‘sorprendere’ i lettori. Insomma qualcosa che se e’ una nicchia negli Stati Uniti, qui in Italia puo’ solo essere una nicchia ancora piu’ piccola. Ma il punto e’ che la maggior parte di questi scrittori ha una notevole qualita’, sono quasi tutti al di sopra della letteratura di genere, solo che sono piu’ interessati a fare qualcosa che va contro le aspettative, le convenzioni, le abitudini, che a raccontare storie ‘normali’. Tutto questo ve lo dico per farvi capire che le premesse sono un po’ pericolose: a pubblicare un romanzo ‘bizarro’, le prospettive di vendita sono basse, e la speranza che parecchi lettori prendano in mano un libro del genere e lo comprino e’ piuttosto debole.
Ma allora perche’ l’abbiamo fatto?
Semplicemente ogni tanto, nel campo della ‘bizarro fiction’ spunta un fiore anomalo, nasce un romanzo in cui l’elemento surreale o fantastico e’ perfettamente bilanciato con la narrazione e inserito in una storia in cui sono presenti tutti gli elementi di stile, trama e soprattutto fantasia, fondamentali per qualunque romanzo ‘normale’. E questo “Help!…” e’ proprio cosi’, e’ un romanzo che negli USA avrebbe sicuramente avuto successo se fosse stato pubblicato da una casa editrice conosciuta…
A questo punto ci e’ sembrato che un titolo come “Aiuto! Un orso mi sta mangiando” sembrasse troppo di rottura, desse l’idea di un’aggressivita’ verso la narrazione che non ti fa aspettare una storia divertente e da leggere con passione. Anche perche’ – ricordiamolo – nella ‘bizarro fiction’ anche i titoli spiazzanti fanno parte dell’operazione di dissacrazione ‘bizarro’. Se volevamo che “Help” fosse letto da un pubblico piu’ ampio ci voleva un titolo che potesse essere preso in mano anche da chi apprezza ad esempio Christopher Moore (che e’ un fan di Mykle Hansen, tra l’altro), oppure Stefano Benni o Daniel Pennac, insomma un titolo che non scoraggiasse. Ci abbiamo pensato per molto tempo, e… non l’abbiamo propriamente trovato.
Pero’… pero’… “Missione in Alaska” (il senso lo capisce chi ha letto il libro) non ci dispiaceva per niente: poteva funzionare. E’ ammiccante e ha comunque quell’indefinizione che fa prendere in mano il libro per leggere la quarta e capirne di piu’. Insomma, senza arrivare a un voto 10, pero’ “Missione in Alaska” rispondeva abbastanza bene a quello che cercavamo. Se avessimo voluto restare piu’ vicini al titolo originali, non avremmo vinto nessun premio fedelta’, ma avremmo incuriosito meno lettori.
Ora il libro e’ uscito con il titolo “Missione in Alaska” e ci sembra che chi lo legge ne sia entusiasta. Il che non e’ poco: tenete presente che negli USA e’ stato pubblicato da una casa editrice molto molto piccola. Siamo convinti che con il titolo originale avremmo vendute molte meno copie…
Voi che ne dite? Siete in genere favorevoli a tenere l’originale? Costi quello che costi? O siete d’accordo di cercare il titolo piu’ invogliante per un pubblico piu’ ampio di lettori? E magari sarete in grado di proporre seduta stante un titolo molto piu’ coinvolgente e perfetto, che ci fara’ mangiare le mani per non averci pensato…
Chi vuole scrivere il suo commento puo’ farlo anche su facebook o sul blog…
E ricordatevi che la nostra offerta “5 al 50%”, di 5 libri venduti al 50% di sconto finisce il 30 giugno (o comunque il giorno di arrivo di questa newsletter). Quindi affrettatevi…
Buone letture
Marco Vicentini
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Ah, dimenticavo. C’e’ una novita’ sul sito. Abbiamo collegato un brano musicale a libro nella pagina delle novita’. Non c’e’ rapporto con il libro, sono semplicemente artisti agli inizi o comunque poco noti in Italia che meritano di essere ascoltati e spero vi piacciano. Fatemi sapere, anche su questo… (In realta’ avrei voluto abbinare una canzone di Battisti al libro su Lucio, ma purtroppo Youtube non lo permette, questione di diritti…)
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Per completare il discorso su “Missione in Alaska” vi presentiamo un estratto dalle recensioni e blog:
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Missione in Alaska di Mykle Hansen – Euro 13
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Per descrivere in due parole “Missione in Alaska” di Mykle Hansen prendo a prestito l’efficace descrizione di Giulietta Iannone:
«Marv Pushkin, uno yuppie come si diceva qualche anno fa, maschio, bianco, americano, manager di successo, giovane, bello, sexy, ricco, griffatissimo dalla calza alla mutanda, piace alle donne, cazzo, chiedete a Marcia del Controllo Prodotti, una sventola da paura, un sollazzo per il suo attrezzo (che lui chiama Walter), pensa bene che per accrescere il suo potere, per contare di più all’interno dell’azienda, per fare parte della ristretta enclave dei dirigenti che contano, cosa c’è di meglio che esibire una testa d’orso impagliata nel suo super accessoriato ufficio e così… carico di adrenalina e testosterone a mille, organizza con la sua squadra una battuta in Alaska a caccia del prezioso Orso bruno americano. »
A me il protagonista del romanzo di Hansen fa venire in mente Jack Black in “High School of Rock and Roll”. Ve lo ricordate? Il Jack Black in un’interpretazione esilarante e scatenata, che l’ha fatto considerare in quell’occasione piu’ di altre l’erede naturale di John Belushi. Bene, se Jack Black, con quella stessa carica, quella sfrenata rincorsa a un mondo della cui perfezione lui e’ convinto e di cui non dubita neanche un istante, avesse interpretato e raccontato la storia di uno yuppie che pensa solo alle griffes, al potere, alle donne… sarebbe venuto fuori questo “MIssione in Alaska”
Lankelot
Irriverente tragicommedia di Mykle Hansen, Missione in Alaska è un romanzo breve cattivo, strampalato e caustico… è un libro ideale per scegliere da che parte stare, nell’impari lotta tra natura e tecnologia, e per ghignare delle miserie umane. Un piacevole e corrosivo diversivo, alternativo e diretto quanto basta.
Corpi freddi
Inizio la lettura di queste 160 pagine pensando a che tipo di abbaglio avesse preso Marco Vicentini nel pubblicare Missione in Alaska.
Prime 20 pagine divorate in ufficio e più leggo più mi convinco di avere di fronte un libro scritto da uno scrittore sotto peyote spinto. La frase iniziale recita: “Voi pensate di avere problemi? Be’, qui c’è un orso che mi sta mangiando!
È stato un incipit folgorante, potrei stare a copiarvi pezzi di questo romanzo all’infinito perchè infiniti sono i punti di riflessione, di amaro cinismo, di deliranti finti colloqui che il personaggio, Marv Pushkin, fa direttamente col lettore.
Un libro fantastico, forse ai margini del target corpi freddi ma che vi assicuro vi farà divertire, riflettere ed indignare allo stesso tempo. Durante l’anno, sono pochissimi i libri che invito FORTEMENTE a mettere in libreria e queste 160 pagine faranno parte del mio tormentone del 2011.
Complimenti quindi ad Hansen (di cui spero di riuscire a leggere altri romanzi) e alle intuizioni di Meridiano che spesso ci delizia con perle di questo tipo.
Libro STRACONSIGLIATO.
Liberidiscrivere
Hansen è cattivo, sporco, scorretto e geniale e lascia al lettore la consapevolezza che se ci sono davvero persone come Marv Pushkin, si può ancora ridere, che un’autentica risata è l’unico antidoto che ci rimane, prima della catastrofe.
Colonia lunare
Puntando tutto sugli aspetti più grotteschi della situazione Mykle Hansen dà vita ad un romanzo satirico tanto sottile quanto tagliente, un’opera che, sotto le spoglie di un umorismo che non raramente rasenta il surrealismo, affonda i suoi artigli nel cuore dell’American Dream
Cinema da denuncia
Mykle Hansen si accanisce con ferina crudeltà sul cliché del dirigente prevaricatore e arrogante, sottoponendolo a una lenta e gustosissima tortura che lo intacca fisicamente e psichicamente, fino a menomarlo in modo irreparabile nel corpo e nello spirito. Un irsuto pamphlet sotto forma di grottesco, manicomiale divertissement.
Annessi & connessi
consigliamo vivamente la lettura di questo libro a chiunque sia un appassionato della letteratura non convenzionale, ma anche a coloro i quali sanno ancora sorridere delle umane disgrazie.
Stradanove
Velocissimo, ricco di tanti momenti di pura ilarità , questa nuova proposta targata Meridiano zero è una sorpresa – per ritmo, umorismo e tecnica di scrittura – da consigliare assolutamente.
Un’impagabile satira dell’arrivismo borghese.
Nunziofestanelsito
Tra immagini di sesso immaginato e orsi per niente imbarazzati, il pazzesco romanzo di Mykle Hansen, per nulla condizionato dalla frivolezza della realtà comunque descritta, è reso interessantissimo fin dall’approccio al tema. E il piacere della lettura è immenso: non si riesce, neppure volendo con forza, a scrostarsi dalla Missione in Alaska. La prima volta in Italia, dunque, d’uno scrittore che lettrici e lettori di lingua italiana dovrebbero mettersi a cercare.
Lideablog
Beh, il romanzo acchiappa fin dalle prime righe, perché è impossibile resistere al libro politicamente più scorretto che abbia avuto la ventura di leggere negli ultimi anni.
Mykle Hansen dà vita, per fortuna solo cartacea, al protagonista letterario più spregevole degli anni Duemila, una schifezza umana che ci fa godere come dei ricci ad ogni morso dell’orso o a ogni sventura che gli capita. Ben gli sta. Tiè. E però il messaggio di Hansen è di una lucidità disarmante, denunciando in maniera tanto semplice quanto efficace uno stile di vita, mica così raro, fatto di individualismo e di arrivismo.
… permettetemi di sbellicarmi quando uno come Mykle Hansen, con il suo Missione in Alaska, prende per il culo questi morti che credono di vivere.
La Stamberga dei lettori.com
…la vicenda è divertente e particolare, raccontata con molta verve e con la giusta dose di suspense, tanto che si può divorare (è il termine più adatto!) con gusto in una sola giornata.
Sartoris
Ci risiamo. Quelli di Meridiano Zero ne hanno scovato un altro. Instancabili nel loro nasometrico sondare nomi e tendenze di eccellenza nel variegato panorama noir di matrice anglo-americana (con succulente capatine anche in quello italiano e francese), stavolta sono andati a pescare una chicca per intenditori: tal Mykle Hansen, scrittore di Portland, Oregon, tra gli inventori della cosiddetta “bizzarro fictionâ€, una sorta di straordinaria mescolanza di commedia tragica e surrealtà condita da sotterranee venature di grottesco. Missione in Alaska è un romanzo breve e feroce, a tratti strampalato, di sicuro assai caustico…
Bello, rapido e spassoso. Con uno spunto riflessivo importante. Che altro chiedere, da un romanzo così?
Giuseppe Iannozzi
La bizzarro fiction è una delle ultime frontiere espressive, forse la più intransigente e caustica che, utilizzando sempre un linguaggio politicamente scorretto, strappa lo scheletro canceroso della società per esporlo al pubblico ludibrio…
Mykle Hansen porta al lettore moderno più o meno lo stesso messaggio di T. Coraghessan Boyle, ma per farlo utilizza i mezzi della bizzarro fiction. Per questo moderno capolavoro letterario la colonna sonora obbligata è:
Trentino
In questo libro fuori di testa dovete scegliere da che parte stare. O con l’orso o con il manager. Già . La chiamano bizzarro fiction. Storie caustiche, irriverenti, scorrette. Questa – indimenticabile, dedicata a tutti gli orsi del mondo – racconta di un manager di successo, imbottito di presunzione e psicofarmaci, nemico giurato della natura, sessista. Divertimento puro, satira feroce, distruzione di tutti i luoghi comuni. Sul sito www.meridianozero.it vi potete leggere un po’ di recensioni sparse, tanto per farvi venire l’acquolina in bocca.
Milano nera
Il bravo Hansen non si accontenta del contenuto satirico-politico, ma si lancia in una serie di irresistibili giochi stilistici, narrativi e metanarrativi, alcuni dei quali si spiegano in tutto e per tutto solo nel riuscitissimo finale.
Marte magazine
Pubblicato in America nel 2008, arriva in Italia solo in questo 2011 e prepotentemente si guadagna a pieno titolo la nomea di romanzo non convenzionale, adatto a tutti coloro che hanno ancora uno spiccato sense of black humour.
La satira che lo pervade dall’inizio alla fine si trasforma velocemente in uno sguardo feroce sul mondo contemporaneo, celata com’è nei monologhi interiori del protagonista, diventando così accusa diretta, che in qualche modo costringe il lettore a vedere bene da che parte pende l’ago della bilancia.
Il grottesco prende per i fondelli la realtà , e Hansen è scorretto quanto basta, cattivello anzicheno, ma nonostante tutto decisamente genialoide. Da leggere sicuramente, ma non sdraiati sulla pelle d’orso davanti al caminetto…
Bookshighway
Missione in Alaska allinea una bella serie di scene allucinanti (compreso il lungo ed eloquente finale) in cui la dimensione della realtà si sovrappone alle elucubrazioni di Marv Pushkin,
Fuori le Mura
Vorrei fugare ogni dubbio: “Missione in Alaska” di Mykle Hansen (Meridiano Zero) è un romanzo fulmineo e fulminante. Il primo aggettivo è dovuto alla velocità con cui la scrittura scorre sotto gli occhi e l’immediatezza di un linguaggio senza fronzoli, il secondo è tutto per gli effetti sul lettore: la semplicità narrativa e la ricchezza semantica convivono nel piccolo grande intreccio dello scrittore americano come una coppia d’altri tempi, altro che questa gente che divorzia subito.
Il segreto del matrimonio è tutto nella bravura di chi ha sancito l’unione.
Missione in Alaska è uno di quei libri imbarazzanti da recensire: tutti i modi in cui potrei raccontare l’oggettivamente triste vicenda di Marv Puskin non renderebbero giustizia al testo…
Si trattava di costruire un personaggio che incarnasse gli aspetti peggiori di un’umanita alla deriva nel proprio egocentrismo. Tuttavia Hansen sa come rimanere in bilico, e con l’equilibrio raggiunge la perfezione. Non c’è pedagogia, né favola ambientalista, né tantomeno condanna esplicita ad un modus vivendi che probabilmente l’autore, come Compare Orso, non condivide. Da qui a farne legge ce ne passa. Tirarne fuori un’ottima lettura, invece, non solo è possibile, ma è accaduto. Ringraziamo sentitamente.
Cool Club
È così che il clima surreale lascia pian piano il passo a una realtà esasperata, a un catalogo della cattiveria, al ritratto di una vita apparentemente di successo che cela frustrazione e depressione. Un libro geniale nell’impianto, impietoso ed esilarante… una lettura irresistibile.
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LE RECENSIONI:
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Yellow Medicine di Anthony Neil Smith – euro 15,00
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Sartoris, 11.6.11
Da queste parti abbiamo ormai da tempo esaurito i superlativi nel parlare della padovana Meridiano Zero e, piuttosto che stare a scervellarci per inventare nuovi reboanti osanna nei confronti del loro indefesso lavoro di ricerca nel calderone del noir d’oltreoceano, proviamo stavolta a centrare il bersaglio dichiarando senza mezzi termini che “Yellow Medicine”, splendido romanzo appena dato alle stampe, e’ – nel suo genere – un piccolo capolavoro. Con un occhio incollato alla prospettiva cruda e senza speranza di Jim Thompson e l’altro alla prosa divertita e inarrestabile del suo amico Victor Gischler, Anthony Neil Smith mette a segno una storia che colpisce e appassiona sin dalle prime righe, e lo fa per numerosi motivi: ritmo e ambientazione, anzitutto, ma anche per una esatta definizione dei personaggi nonche’ per le spacconate in puro stile southern. Gia’, perche’ pur ambientata fra i campi di granturco gelidi e innevati del Minnesota la vicenda sulla quale il romanzo progredisce ha per protagonista un satanasso figlio del Mississippi: si chiama Billy Lafitte, ed e’ un giovane vicesceriffo la cui morale e’ – per l’appunto – degna di quella dei poliziotti corrotti e malvagi che hanno reso veri e propri capisaldi molti dei libri del grande Jim Thompson.
Uomo del sud tutto temperamento e testosterone, Billy fatica a decodificare le leggi che regolano i rapporti fra gli abitanti delle terre del nord e i sioux dei casino’. In un universo popolato da loosers e ubriaconi, medici alcolizzati e guardie del corpo corrotte, Lafitte e’ una mina vagante. E quando Drew, la ragazzina che gli ha acceso il sangue, gli chiede di rintracciare il suo fidanzato, non se lo fa ripetere due volte. Trovera’ Ian quasi subito in un dormitorio studentesco ma il ragazzo, che e’ a letto con un’altra, e’ gia’ finito in un mare di guai: marchiato con un ferro da mandriani, e’ ora sul libro nero di una gang che sta progettando di fare del Minnesota la nuova raffineria di metanfetamine degli States. Ma se e’ vero che ogni indagine ha un prezzo, ficcare il naso in questa costera’ a Billy molto caro, perche’ Ian e la sua nuova fiamma scompaiono e quando lui torna al college trova ad aspettarlo una testa mozzata e un manipolo di scalcagnati terroristi che ha l’obiettivo di ucciderlo. “Yellow Medicine” regala momenti di grande sollazzo al cultore del filone, immergendo il lettore in stranianti atmosfere dark che ricordano ora uno dei piu’ bei film dei fratelli Coen – “Fargo”, del 1996, non a caso ambientato nei medesimi luoghi – ora la follia lucidamente contenuta dei paesini rurali di tanta cinematografia a stelle e strisce. Chicca aggiuntiva: il lavoro sulla lingua di Luca Conti, un traduttore che – il titolare del blog saprebbe riconoscerlo tra mille – possiede ormai una sua voce, un suo passo, e che sono indubitabilmente garanzia di qualita’. Applausi.
Omar Di Monopoli
(recensioni Yellow Medicine)
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Lucio-Ah – Le stagioni italiane nella musica di Lucio Battisti di Massimo Del Papa – euro 10
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iannozziguseppe.wordpress.com, 13.6.11
Massimo Del Papa, dopo aver giustamente elogiato Keith Richards e la sua chitarra anarcoide, torna in libreria con “Lucio-Ah – Le stagioni italiane nella musica di Lucio Battisti”. Massimo Del Papa sa scrivere, con brio si’, ma utilizzando sempre uno stile scarno, ridotto all’osso: e il risultato delle sue biografie e’ essenziale, mai verboso.
In “Lucio-Ah – Le stagioni italiane nella musica di Lucio Battisti”, l’autore si sofferma soprattutto su Lucio Battisti, il compositore e il cantante, ma anche sul suo paroliere storico, Mogol, insieme al quale, fino a divorzio artistico avvenuto nel 1981, ha firmato tante e tante canzoni entrate di diritto a far parte della cultura popolare e non.
Chi e’ che oggi non conosce Lucio Battisti? Pochi, davvero pochi, e il lavoro di Del Papa e’ ottima introduzione al genio di Lucio Battisti, una quasi perfetta guida ai dischi e alle canzoni del duo Battisti-Mogol che hanno raccontato l’Italia sul finire degli anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta.
Massimo De Papa mette subito in chiaro che Lucio Battisti non ha mai fatto politica attraverso la sua musica, anche se i soloni del suo tempo pensarono bene di affibbiargli l’etichetta di fascista, vizio purtroppo ancor oggi in voga in una certa intellighenzia sinistroide che non riesce a vedere al di la’ del proprio naso da Pinocchio. In un’intervista rilasciata a Giulia Caterina Trucano (www.tgcom.mediaset.it, 9 giugno 2011) la giornalista gli chiede il motivo per cui ha scritto proprio un libro su Lucio Battisti, quasi a lasciare sottintendere che di biografie su Lucio ce ne sono gia’ parecchie in circolazione. Massimo Del Papa non si scompone e risponde con perfetto aplomb anglosassone:
“Scrivo solo di cio’ che mi piace. Battisti fa parte della mia storia personale da sempre. Mi e’ sempre piaciuta la musica emozionale, che suscita sensazioni immediate, senza i filtri dell’impegno politico diretto. Questo libro e’ una piccola storia d’Italia per immagini, un patchwork riletto alla luce delle sue canzoni. Resto convinto che questo italiano cosi’ ‘anti-italiano’, schivo, ostico, alieno da ogni esibizionismo, perfino antipatico, sia stato il piu’ bravo ad interpretare le emozioni, personali e collettive, degli italiani. Un uomo duro, definito spesso arido, che ha saputo parlare alla gente della gente; ha saputo, in particolare, tracciare un futuro possibile un attimo prima che arrivasse. E’ per il tramite delle sue musiche, illustrate da Mogol, che gli italiani imparavano come avrebbero amato, litigato, parcheggiato la macchina, insomma vissuto dall’indomani. Battisti penso sia un mito per i cinquantenni, come me, ma le fasce piu’ giovani lo stanno perdendo: cosi’ questo e’ un libro rigoroso, ma anche emotivo: da emozione a emozione. La mia editor, Valentina Petracchi, di Meridiano Zero, e’ una ragazza assai piu’ giovane rispetto a me, molto preparata, ma, ovviamente, su figure e riferimenti piu’ omogenei alla sua generazione. Seguendo le bozze mi ha detto: ‘Mi hai fatto venire voglia di conoscerlo, Battisti’. E ha finito per amare particolarmente ‘Il nostro caro angelo’ e ‘Anima latina’. Spero che lo stesso succeda ai lettori”.
Massimo Del Papa conosce molto bene il Lucio Battisti dei suoi cosiddetti anni d’oro: “(…) con una profusione che ricorda i primi Rolling Stones, che dopo esser stati rinchiusi in una cantina a comporre As Tears Go By non si fermano piu’. Con un sodalizio un po’ diverso: non ci sono Richards e Jagger, un compositore-chitarrista e un compositore-cantante… ma Battisti e Mogol, un compositore-cantante e un paroliere-poeta”. Nella seconda meta’ degli anni Ottanta Lucio Battisti inizia a collaborare con il poeta Pasquale Panella. Il sodalizio fraBattisti e Panella portera’ alla luce alcuni tra i piu’ belli e avanguardistici album della musica italiana; Michele Serra scrivera’ che “Don Giovanni ridimensiona gran parte della musica leggera degli ultimi dieci anni”. Nel 1986 esce Don Giovanni; nel 1988 L’apparenza; nel 1990 La sposa occidentale; nel 1992 Cosa succedera’ alla ragazza e nel 1994 Hegel. Lucio dimentica la chitarra: e’ venuto il momento di provarsi con la musica elettronica e la techno-music, ma anche con la disco-music e il rap. I lavori realizzati insieme a Pasquale Panella vengono ribattezzati gli ‘album bianchi’, che purtroppo non riscuotono un grande successo commerciale ne’ di critica. Eppure per pochi illuminati gli ‘album bianchi’ di Lucio sono i migliori della sua carriera. Lucio Battisti, dimenticati i soliti quattro accordi, esplora le potenzialita’ espressive della musica elettronica, partorendo veri e propri capolavori. Ma Lucio ha precorso i tempi, questo il suo peccato: ne’ il pubblico ne’ la critica sono ancora preparati a ricevere il grande dono che il compositore Battisti dona loro. L’album Hegel (1994) e’ l’ultimo della carriera di Lucio. Qualcuno parla addirittura di uno scandalo non piu’ accettabile per la musica italiana. Ma Sandro Veronesi e’ invece di diverso avviso: “…di Hegel si puo’ anche guardare solo le figure (…) e poi dire in coro che ‘Mogol-Battisti pero’ era un’altra cosa’, ma esaminato poco piu’ attentamente (…) finisce di farci vedere quanto e’ piccina, in confronto, l’attuale musica italiana”. Per Mario Luzzatto Fegiz oramai Lucio Battisti e’ “senza amore” e “un incubo”. Dopo aver scritto le liriche per l’album Hegel, Panella decide di non scrivere piu’ altri testi per Lucio. Ma non ha quasi piu’ importanza, Lucio Battisti muore il 9 settembre 1998 a soli 55 anni. Schivo e riservato sino all’ultimo giorno della sua vita, Lucio non ha mai parlato del suo male incurabile. I funerali vengono celebrati in forma strettamente privata a Molteno. Alle sue esequie sono ammesse una ventina di persone, tra cui anche Mogol.
Il sodalizio artistico fra Lucio Battisti e Pasquale Panella non piace neanche aMassimo Del Papa che in Lucio-Ah scrive: “C’e’ solo uno srotolarsi di musica sinuosa e sontuosa, evocativa, duttile come non mai. Musica complessa, difficile da immaginare, da concepire. Musica che fa suonare parole che non la fanno suonare. Musica senz’altro che se stessa, che si rispecchia in se stessa, non cerca valori aggiunti; si basta, si compiace di quella che e’. (…) Ne’ il Demiurgo fa il benche’ minimo sforzo per farlo accettare: lui oramai non c’e’ piu’, e’ la pura eco della musica, che e’ una raggiera d’echi d’infinite musiche”.
“Lucio-Ah. Le stagioni italiane nella musica di Lucio Battisti” di Massimo Del Papa e’ dunque un’ottima introduzione per conoscere il compositore-cantante che insieme aMogol ha firmato alcune delle melodie piu’ belle della musica italiana. Del Paparipercorre le tappe musicali della coppia Battisti-Mogol dall’esordio sulla scena italiana sino allo scioglimento avvenuto nel 1981. Ogni album e’ contestualizzato e analizzato nel suo pertinente periodo storico; con estremo amore, Del Papa racconta la musica e il “suo” Lucio, quello che lui ha maggiormente amato: “Non e’ cosi’ azzardato sostenere che, scomparendo, Lucio Battisti ha lasciato milioni di italiani un po’ orfani. (…) Ma se c’e’ qualcosa che Mogol-Battisti hanno sempre, sdegnosamente, rifiutato, e’ stato certo nostalgismo imbelle, sterile, patetico. (…) Mogol-Battisti hanno tirato fuori vicendevolmente il meglio l’uno dall’altro…”. Per Del Papa la musica e le parole sono solamente quelle di Mogol-Battisti, mentre il sodalizio artistico Panella-Battisti lo considera poco e con una ingiusta severita’, un peccato perche’ non e’ vero che “gli ultimi album, quelli ‘bianchi'” sono “inservibili a un approccio immaginifico”.
Giuseppe Iannozzi
(recensioni Lucio-Ah)
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Uomini da mangiare di Christine Leunens – Euro 13
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Kultunderground, 26.6.11
Uscito per la prima volta nel 2003, “Uomini da mangiare” fa parte di quel genere di libri che, senza dubbio, grazie anche al fatto d’essere romanzi, non si dimenticano facilmente. Ma vediamo subito perche’. Avevate mai sentito, allora, della storia d’una persona che da essere destinata a provare odio per il cibo diventa devota del cibo? Pensiam di no. Allora ecco qui la storia pescata, grazie alla scrittrice Christine Leunens, dall’infallibile editore padovano. Kate, figlia d’una vedova lituana che non vive ovviamente piu’ nel suo paese, subisce le trovate della mammina: una su tutte: rinchiudere la pulzella sua nella dispensa per farle ammazzare la sua totale e assoluta avversione per le cibaglie, ficcandola fra i prosciutti al laccio. Dove, quindi, la pulzella sviluppa le sue fantasie, le ingrandisce e moltiplica, le rende caleidoscopiche. E la pulzella rispondera’ da sola alle domande che dall’esperienza della dispensa vengon fuori. Kate si spiega, sempre sola sola, che tanto per cominciare donne e uomini in amore si mangiano. Letteralmente. Si sfamano fra loro. Per Kate mangiarsi, nel senso di mangiare ed essere mangiali, significa prosecuzione della specie. Allora dopo i primi bruciori pubici Kate si dice affamata. E si prepara, tranquillamente, a fare pranzi e cene col metodo che conosce. Christine Leunens mette in bocca e in testa a una ragazzina una strampalata e divertentissima visione della vita. La correda di battute servite dal fumo delle domande e degli interrogativi esistenziali posti. Predispone un fiocco che tiene insieme le due attenzioni. La crescita di Kate, che da adolescente comincia a praticare dopo quei bruciori quanto l’immaginazione che s’era voluta spingeva a fare, e’ nell’accogliere l’uomo. In quanto l’uomo e’ l’altra parte del discorso che Kate si fa. Grazie al consumo di donna e uomo, ma dove la peggio capita certamente al maschio, il mondo deve continuare. Mangiando. Il racconto di Leunens mette, a tratti, paura. Di certo a noi uomini. Ma almeno, nel passaggio di battute quasi comiche, la scrittrice ha composto un romanzo di quelli che dicevamo difficilmente dimenticabili.
Nunzio Festa
(recensioni Uomini da mangiare)
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Real Life di Christopher Brookmyre – Euro 14
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Lankelot, 21.6.11
Immaginatevi per un attimo la situazione in cui un vostro ex compagno di studi con il quale avete condiviso lezioni, avventure sentimentali, concerti, magari anche un gruppo musicale si trasformi nel terrorista numero 1 al mondo ed immaginatevi anche di diventare voi stessi uno degli obiettivi del terrorista. Immaginatevi anche di trovarvi invischiato in una storia malatissima per cercare di fermarlo. Come vi sentireste se tutto cio’ accadesse? Immaginate anche di essere una persona normale, con una famiglia, un figlio e di trovarvi sequestrato e di rischiare la morte. Riuscite a farlo?
Forse no, ecco, Christopher Brookmyre, talentuoso scrittore scozzese, cerca di farvi provare questa spiacevole sensazione con “Real Life”, un romanzo che Meridiano Zero ristampa a distanza di 6 anni dalla prima edizione.
“Real Life” e’ un romanzo scatenato, dall’andamento cinematografico, adrenalinico, cinico che piu’ non si puo’, gigantesco nelle sue emanazioni, direi anche estenuante, non per tutti, pieno di sconvolgimenti, di colpi di scena, di inseguimenti e cumuli di morti, tante morti fin dalle prime pagine del prologo, che a mio avviso e’ la parte migliore del romanzo, piu’ o meno 25 pagine dove impariamo a conoscere questo Spirito Nero, un mercenario votato alla missione piu’ becera che esista: uccidere in maniera indiscriminata gli esseri umani, bombe sugli aerei, nei cinema, sui treni. Quello che desidera e ricerca e’ uccidere il maggior numero di persone, spinto da un odio e da un disprezzo per il genere umano che non ha paragoni, disprezzo per la gente comune, per i “Tristi Stronzi Suburbani” (TSS), quel tipo di disprezzo paranoico e di risentimento violento che cova anche dentro di noi. Odio totale per il genere umano considerato stupido, imbecille, incapace di slanci, senza qualita’, triste, legato alla banalita’ della vita quotidiana. Lo Spirito Nero e’ intenzionato a lasciare il segno nel mondo con un attentato in Scozia che superi per dimensioni e numero di vittime anche l’11 settembre. Qualcosa che lo faccia ricordare per sempre. Un essere invincibile oppure una mezza sega che non e’ mai cresciuto, che non e’ capace di affrontare gli altri a viso aperto, egocentrico, banale pure lui come gli esseri che tanto disprezza? Un uomo che non accetta di commettere errori pure lui.
Sulle tracce di quest’uomo si mettono Ray Ash che ha studiato proprio con lo Spirito Nero, sposato, con un figlio, un genio fallito dei videogame che non riesce a crescere e vorrebbe abbandonare la famiglia e la sua vita di professore in una scuola degradata, rifarsi un’esistenza altrove e che proprio per questo suo desiderio di cambiare vita si trova invischiato in questa caccia senza tregua; Angelique De Xavia, una poliziotta esperta di arti marziali e non molto stimata dai colleghi maschi; Murphy il Piccolo e Lexy, una coppia di ragazzini scatenati e impertinenti che credono di trovarsi in un videogames sparatutto e che finiranno per mettere in maniera decisiva i bastoni fra le ruote al gruppo di terroristi.
“Real Life” non si riduce semplicemente ad un romanzo thriller colmo di colpi di scena ma e’ anche una specie di ricapitolazione delle vite di ciascuno dei protagonisti. Brookmyre lentamente ci svela ogni aspetto e contraddizione nella vita di Ray, dello Spirito Nero, dei due bambini, della poliziotta e di molti altri personaggi secondari che costellano il libro e proprio a causa di questa smania di ricostruire ogni aspetto dei personaggi e del terrorismo la narrazione corre il rischio di appesantirsi, di risultare eccessivamente piena di sottotrame, di episodi del passato che spossano il lettore e che tolgono anche un po’ di mistero a tutta la storia.
A lettura ultimata e dopo un finale davvero a sorpresa, “Real Life” appare come la celebrazione delle vite normali, dei derelitti, degli sconfitti, degli uomini buoni e semplici, qualcosa di simile al film di Alfred Hitchcock, “L’uomo che sapeva troppo” con James Stewart e Doris Day che si trovano coinvolti in qualcosa piu’ grande di loro ma che comunque non si tirano indietro e combattono fino alla fine, costi quel che costi, anche se non hanno la preparazione necessaria, anche se nessuno gli crede, anche se la storia appare sempre piu’ assurda. Un grande bisogno di famiglia, con Ray che lotta per difendere oltre che la propria nazione, anche la propria famiglia, il proprio figlio che vede minacciato dallo Spirito Nero.
Certo e’ che quello che ne esce e’ che lo Spirito Nero e in generale i terroristi sono davvero delle mezze seghe, degli sfigati senza spina dorsale, almeno se confrontati ai due bambini che non hanno voglia di andare a scuola, che se ne infischiano del mondo degli adulti ma che quando c’e’ bisogno di fare qualcosa di grande, di mettere in gioco la propria vita non ci pensano due volte a muoversi, a sorridere, a divertirsi, a gustarsi il bello della vita che qualche imbecille vuole sottrargli.
Andrea Consonni
(recensioni Real Life)
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Dia de los muertos di Kent Harrington – Euro 14
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Liberidiscrivere, 6.6.11
“Dia de los muertos” di Kent Harrington e’ un nero di confine, anzi un nerissimo piccolo capolavoro simile ad un tizzone sputato dall’inferno, un classico che la Meridiano Zero rispolvera in grande stile in una nuova edizione che fara’ felici non solo i vecchi appassionati di noir come me ma anche coloro che si accostano per la prima volta al genere e vogliono iniziare con i capisaldi del noir americano sporco e cattivo per intenderci, quello senza redenzione e senza luce anche se ambientato nell’assolata e bollente Tijuana, citta’ feticcio del genere, da quando James Ellroy chi non si ricorda di Tijuana Mon Amour, l’ha eletta capitale mondiale dei disperati, dei maledetti da Dio e dagli uomini. A Tijuana si va per fare impunemente tutto cio’ che nelle rispettabili citta’ dell’America perbenista e bacchettona non si puo’ fare, e’ un asilo di reietti, un rifugio di anime dannate schiave del gioco d’azzardo, delle donne e della droga. A Tijuana tutto e’ concesso. Tutto. Lo sa bene Vincent Calhounun perdente con le ore contate che se non lo fa fuori il virus che gli scorre nelle vene ha una sfilza di nemici pronti a sparare il proiettile fatale. Come c’e’ finito in quell’angolo di niente con le spalle al muro, senza via d’uscita? E’ una lunga storia che ci riporta ad un tempo in cui era un onesto professore precario in un piccolo paesino rurale della California. Tutto andava per il meglio finche’ non poso’ gli occhi su una donna, una studentessa Celeste Stone e come nelle peggiori favole nere che si rispettino fu l’inizio della fine. Scacciato dalla scuola con disonore, interdetto dall’insegnamento per tutti i secoli a venire per essere stato scoperto con le braghe calate in compagnia della ragazza, arrestato, in alternativa alla galera non pote’ far altro che arruolarsi nel corpo dei Marines e ora si trova a Tijuana agente della Dea suo malgrado, pieno di debiti fin sopra i capelli a causa della sua irresistibile passione per le corse dei cani, e non puo’ far altro per pagare i suoi debiti che trasportare clandestini al di la del confine tra un accesso di febbre e l’altro. “Dia de los muertos” e’ il resoconto tragico e disperato del suo ultimo giorno di vita e Vincent Calhoun sputera’ sangue credetemi ma lo fara’ conservando qualcosa di raro e di prezioso, conservando se stesso. Come ha detto lo stesso Harrington il debito verso Jim Thompson e’ evidente ma nello stesso tempo e’ bene dire che non risulta una sbiadita copia dell’originale. Harrington ha un suo stile, una sua singolarita’ che in un certo senso lo rende unico e dannatamente politicamente scorretto. Vincent Calhoun puo’ esser visto come una sorta di Philippe Marlowe maledetto, capace di toccare il fondo del barile pur continuando ad andare avanti. Non trovera’ una morte eroica, il suo sogno di lasciare tutto e scappare con la sua donna in un altrove lontano verra’ inesorabilmente tradito, pur tuttavia conserva un che di grandioso. Tifiamo per lui fino alla fine, non ostante tutto sia contro, consci che non ci sara’ un finale lieto ad attenderci, ma nello stesso tempo pronti a tendergli una fune, a fermare quella dannata macchina che corre verso l’orizzonte con a bordo la sua donna, lasciandolo solo nella resa dei conti finale.
Giulietta Iannone
(recensioni Dia de los muertos)
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Notte di sangue a Coyote Crossing di Victor Gischler – Euro 14,00
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Bresciaoggi, 21.4.11
Il grande nulla dell’Oklahoma. L’illimite della provincia americana dove i personaggi dei dipinti di Hopper guardano l’infinito a perdere e la vastita’ ripetitiva da’ la vertigine del vuoto cosmico. Avete presente quanti film avete visto con questo paesaggio? In “Notte di sangue a Coyote Crossing” Victor Gischler ci porta in uno di quei paesini non-luoghi formati da una manciata di poche case addossate alla Main Street. La periferia derelitta del mondo in cui il tempo si e’ fermato e anche lo spazio e’ immobile. Il grande e desertico nulla appunto, attraversato solo da una strada, che contempla solo il transito e solo casualmente la sosta.
L’aiuto sceriffo Toby Sawyer e’ un giovane senza arte ne’ parte. Chitarrista mancato, dopo qualche trip e’ tornato all’ovile. Ha un figlio neonato che lo ha costretto a nozze riparatorie con una donna che non lo ama. Lui non si angustia pero’ piu’ di tanto, perche’ appena puo’ va consolarsi da Molly, una minorenne accogliente. E una capatina da Molly la fa anche quella sera che sara’ il punto di non ritorno della sua vita. Il Capo gli aveva detto di montare la guardia al cadavere crivellato di Luke Jordan, un balordo suo coetaneo. E invece no, Toby va a farsi una sveltina. Solo che in quel breve lasso di tempo Il cadavere scompare.
E’ l’inizio di un crescendo furibondo. A memoria d’uomo non era mai successo nulla a Coyote Crossing, succedera’ tutto in una notte. Incendi, agguati, sparatorie, inseguimenti, sete di vendette, tradimenti. Nel grande nulla dell’Oklahoma accade di tutto e a scatenare il parapiglia e’ un traffico di clandestini messicani, di forzati della speranza. L’America e’ la Terra Promessa per antonomasia, anche se il marcio non manca ed e’ nascosto dove meno te lo aspetti. Toby, che pensava di attardarsi sotto l’ala della giovinezza, capisce che deve crescere in fretta, altrimenti rischia la vita.
Victor Gischler, un fuoriclasse compagnaccio di Lansdale, ha una scrittura incisiva come un’arma da taglio. Disegna caratteri e situazioni con facilita’ mostruosa e ironia bruciante. Il suo noir ruspante come un western diverte da morire ed e’ un romanzo di formazione.
Nino Dolfo
(recensioni Notte di sangue a Coyote Crossing)
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Piccoli delitti del cazzo di Jason Starr – Euro 14,00
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frammenti-e-pensieri-sparsi, 17.5.11
In “Piccoli delitti del cazzo”, le avventure grottesche e tinte in noir di un giocatore d’azzardo in picchiata verso la rovina
“Piccoli delitti del cazzo” di Jason Starr e’ un noir che per alcuni versi vira nel grottesco e nella commedia nera, una strepitosa tragicommedia nera in cui si ride a denti stretti, con un meccanismo a orologeria che rotola a velocita’ supersonica verso l’inesorabile conclusione.
Tommy Russo e’ il protagonista di una storia fatta di scelte progressivamente sempre piu’ perdenti: scelte idiote e demenziale, perche’ non guidate da un fermo giudizio e orientate semplicemente dal bisogno di reperire soldi facili da bruciare immediatamente nelle scommesse con i cavalli.
Tommy Russo e’ un perdente di prima qualita’, sopraffino. Aspirante attore che non riesce a trovare un ingaggio nemmeno per uno spot pubblicitario, sbarca il lunario lavorando in un pub newyorkese come buttafuori e intanto sperpera i pochi soldi che riesce a racimolare giocando alle scommesse e non disdegnando altre forme di gioco d’azzardo. E’ preso dal demone del gioco: i soldi gli bruciano nelle sue tasche e chiedono di essere giocati. Non possono mai risiedervi nemmeno per mezza giornata.
Come tutti i giocatori d’azzardo, in cui le perdite sopravanzano sempre le vincite, Tommy Russo e’ alla perenne ricerca di denaro, ma e’ altrettanto pronto a lasciarsi abbindolare in proposte che gli consentano di fare il “salto di qualita’” come scommettitore (come per esempio quella di acquistare in societa’ con altri un cavallo da corsa).
Il bisogno di denaro lo porta a fare scelte avventate, guidato da un’analisi critica superficiale dei fatti e dall’idea onnipotente (tipica del giocatore d’azzardo patologico) di potere sempre riuscire a sbarcare il lunario e a trovare nuovo denaro “fresco”.
Cosi’ procedendo, si mette in guai sempre piu’ grossi, man mano che cerca di eliminare – con atti, a senso suo, correttivi – gli effetti deleteri di altre azioni deprecabili da lui compiute. Ma si tratta sempre di scelte fatte con la iper-lucidita’ fallace del cocainomane o comunque dell’individuo sotto l’azione della scarica dopaminergica tipica del meccanismo della dipendenza (sia essa su base farmacologica o no).
Nel percorso di Tommy, in cui la costruzione d’una montagna di bugie dalle piu’ credibili alle piu’ fantasiose e’ all’ordine del giorno, viene bene illustrato lo sfaldarsi progressivo del suo senso morale (non e’ che ce ne fosse molto all’inizio della vicenda!), sino alla sua completa estinzione.
Inutile dire che Tommy Russo non la fara’ franca e finira’ con il naufragare, sepolto dal suo stesso cinismo e dalla sua immoralita’.
Le sue “avventure” grottesche che si vanno tingendo sempre piu’ di nero, man mano che si dipanano verso la sua rovina, si leggono tutte d’un fiato.
Il romanzo e’ anche interessante, perche’ – meglio di approfonditi trattati – aiuta a comprendere cio’ che passa nella testa di un giocatore d’azzardo patologico e quali meccanismi mentali lo dominano.
Maurizio Crispi
(recensioni Piccoli delitti del cazzo)
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