Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LIBRI IN USCITA: Novità Marsilio Gennaio 2009

16 Gennaio 2009

Stieg Larsson
La regina dei castelli di carta
farfalle, pp. 864, € 21,50

L’atto finale della Millennium Trilogy
Il più clamoroso caso editoriale internazionale degli ultimi anni

La giovane hacker Lisbeth Salander è di nuovo immobilizzata in un letto d’ospedale, anche se questa volta non sono le cinghie di cuoio a trattenerla, ma una pallottola in testa. È una minaccia: se qualcuno scava nella sua vita e ascolta quello che ha da dire, potenti organismi segreti crolleranno come castelli di carta. Deve sparire per sempre, meglio se rinchiusa in un manicomio. La cospirazione di cui si trova suo malgrado al centro, iniziata quando aveva solo dodici anni, continua.
Intanto, il giornalista Mikael Blomkvist è riuscito ad avvicinarsi alla verità sul terribile passato di Lisbeth ed è deciso a pubblicare su Millennium un articolo di denuncia che farà tremare i servizi di sicurezza, il governo e l’intero paese. Non ci saranno compromessi.
L’ultimo capitolo della trilogia di Stieg Larsson – uno dei più clamorosi casi editoriali internazionali degli ultimi anni – è ancora una volta una magnifica descrizione della società di oggi in forma di thriller. Un romanzo emozionante di trame occulte e servizi segreti deviati, che cattura il ritmo del nostro tempo e svela a cosa possono condurre le perversioni di un sistema malato. Una storia che, fedele all’anima del suo autore, narra di violenza contro le donne, e di uomini che la rendono possibile.  

«Il suo nome è Lisbeth Salander. Ha ventisette anni ed è alta un metro e cinquanta. Non c’è limite alle fantasie che sono state vendute al pubblico su di lei.

In questo numero, Millennium racconta come funzionari statali abbiano cospirato contro Lisbeth Salander per proteggere un assassino patologicamente malato »  

«Se avete già letto Larsson, troverete una conferma, questo ultimo romanzo non tradirà le vostre aspettative. Se non lo avete ancora letto, dovete semplicemente cominciare dal primo della serie, e la vostra dipendenza sarà totale »
Paris Match  

«Un affresco poliziesco pieno di colpi di scena e popolato di personaggi di cui ci si innamora »
Le Monde  

Giornalista, fondatore di expo, lo svedese stieg larsson (1954) è morto improvvisamente nel 2004, quando aveva appena concluso la sua trilogia, di cui questo è il terzo episodio, dopo Uomini che odiano le donne, vincitore del Glass Key, e La ragazza che giocava con il fuoco, premio dell’Accademia svedese del Poliziesco. Millennium, protagonisti Mikael Blomkvist e Lisbeth Salander, ormai serie di culto in molti paesi, ha già conquistato nel mondo nove milioni di lettori.
 

Carla Menaldo
Canna da zucchero
romanzo, pp. 208, € 15,00

Una donna alle prese con la ricerca caotica, faticosa e a volte ingombrante di una identità sessuale

< Canna da zucchero è il sapore fermentato e dolciastro del sesso. Quel sapore che Rosa si porta addosso tutta la vita.
A vent’anni, quando s’innamora di Sandra e vive la rottura tra la propria educazione fatta dei ritmi ancestrali e rassicuranti della terra, e quello che sta diventando, così lontano dalle origini.
A trent’anni, quando fugge in cerca di un’altra patria e di un altro clima e, a Cuba, sulla pelle caffellatte di Awari rimette tutto in gioco, come se lontano dal caos sterile delle città assordanti ci fosse il mito, intatto, della libertà.
A quaranta, quando Rosa è matura nella bellezza e nei sensi e si imbatte in Leo, l’unico uomo improbabile e crepuscolare che dà una risposta, provvisoria e lacerata, alla sua ricerca. L’uomo che è sensualità, instabilità e, soprattutto, femminilità.
Sullo sfondo di un’Italia di provincia che non sembra concedere vie di fuga, Canna da zucchero è il desiderio ossessivo dell’assenza da ogni vincolo. Ma anche la ricerca caotica, faticosa e a volte ingombrante di una identità.  

«Sandra, io davvero non lo so cosa sono.
Ho bisogno di essere tutto.
Un massacrante bisogno di essere tutto. »  

Carla Menaldo, giornalista e scrittrice, vive e lavora a Padova. Ha pubblicato la raccolta di racconti L’unica cosa davvero (Cleup 2004). Un suo testo teatrale compare nella raccolta Lei. Cinque storie per Casanova (Marsilio 2008).

Patrick Desbois
«Fucilateli tutti! »
La prima fase della Shoah raccontata dai testimoni
traduzione di Carlo Saletti
prefazione di Frediano Sessi
Gli specchi, pp. 296 con 38 ill. a col. f.t., € 19,50

Una nuova pagina di storia e un monito a tutti gli assassini che sperano di scivolare nell’oblio e di rimanere impuniti

Tra il 1941 e il 1944, circa un milione e mezzo di ebrei che vivevano in Ucraina, in seguito all’invasione tedesca dell’Unione sovietica, sono stati assassinati mediante fucilazione. Soltanto una minoranza di questi ebrei sono stati deportati nei campi di sterminio nazisti. La quasi totalità è morta sotto il tiro delle pallottole degli Einsatzgruppen (unità mobili ss di massacro), delle Waffen SS, della polizia nazista o dei suoi collaboratori dell’Est europeo.
Padre Patrick Desbois nel giugno del 2002 comincia a ripercorrere le tracce e i luoghi di questo Olocausto per fucilazione, fino a quel momento ignorato. Villaggio dopo villaggio ritrova e intervista i testimoni di terrificanti massacri, riscopre le fosse comuni, nelle quali porta alla luce bossoli, ossa di uomini, donne e bambini, così come molti oggetti personali non corrosi dal tempo. In questo modo raccoglie le prove dell’assassinio di centinaia di migliaia di ebrei.  

Molto prima della “soluzione finale”, i nazisti avevano già fucilato sommariamente due milioni di ebrei nell’Europa dell’Est.
Un massacro a lungo passato sotto silenzio e spesso dimenticato
Un prete francese ha ritrovato le fosse comuni dove i nazisti avevano sotterrato gli ebrei che avevano assassinato in massa in Ucraina
Un libro importante ricco di testimonianze mai udite, confrontate con nuovi documenti e reperti d’archivio, scritto con la pietas di un sacerdote che riesce a parlare al cuore degli uomini e dei potenti  

Patrick Desbois è un sacerdote cattolico nato nel 1955 nella Borgogna francese (Saí´ne-et-Loire), oggi direttore dell’Ufficio nazionale dei vescovi di Francia per le relazioni con l’ebraismo, consigliere del Vaticano per la religione ebraica. Nipote di un deportato nel campo di concentramento di Rawa-Ruska, tenta di riportare alla luce la storia del nonno e così comincia il suo lungo cammino di ricerca sulle tracce degli ebrei dell’Est, assassinati dai nazisti nel corso della Seconda guerra mondiale. Oggi è la maggiore autorità storica nella materia. I suoi filmati, le sue fotografie e le testimonianze raccolte costituiscono già un archivio estremamente importante che ci mostra l’altra faccia della Shoah. Presiede l’associazione Yahad-In Unum, fondata per iniziativa cattolica ed ebraica, il cui nome significa «l’uno e l’altro insieme », in ebraico e in latino.
 

Antonio Franchini, Giuseppe Pietrobelli
Gli anni delle toghe
Appunti di un avvocato 1972-2007
prefazione di Massimo Cacciari
Gli specchi, pp. 208, € 15,00

Anche se l’incipit potrebbe farlo pensare, il libro non appartiene al genere memorialistico. Spesso, Avvocati di grande successo hanno ceduto e cedono ad una simile tentazione, pericolosamente contigua ad una autocelebrazione di tipo narcisistico.
Non è questo il caso. Perché non sono i successi professionali a costituire l’oggetto della narrazione, bensì l’esperienza o meglio, le esperienze, che progressivamente, quasi impercettibilmente, si condensano su un valore che ogni penalista   riconosce immediatamente: la dignità della toga che indossa.
Ed è valore che non è in vendita, anche se, come Franchini ha cura di precisare, la remunerazione economica da parte del cliente sembra qualche volta offuscare la prevalente componente di servizio reso nell’interesse del cittadino. Chi dell’Avvocatura ha autentica consapevolezza, sa bene che non potrà mai separare impegno tecnico e lealtà professionale da genuina passione civile.
E Antonio Franchini, in questi appunti, offre appunto esemplare testimonianza di una vita professionale che si è svolta all’insegna di questa necessaria congiunzione. Se la si trascura, si può fare l’avvocato (magari di grande successo), ma non si è mai Avvocati. Franchini lo ha ben presente, e lo sottolinea in uno dei capitoli più intensi del suo lavoro. «È come si porta la toga che segna la differenza ». Si potrebbe aggiungere: è anche a che la si lascia. Ma Antonio Franchini, oltre all’amatissima Sarah, ha tanti altri degni eredi. È questa, mi pare la rigenerazione che andava cercando.
MARCO ZANOTTI

Antonio Franchini è nato a Venezia nel 1944. Laureato a Padova in Giurisprudenza nel 1970, ha intrapreso la professione di avvocato nel 1972. Da giovane ha coltivato la passione per il teatro, ma di fronte al dilemma tra la veste dell’attore e la toga del penalista ha scelto quest’ultima. È stato presidente dell’Ordine degli Avvocati di Venezia, presidente dell’Unione Triveneta degli Ordini, coordinatore nazionale dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana, Consigliere Nazionale Forense e Presidente   della Fondazione “Feliciano Benvenuti”. Attualmente è presidente della Camera Penale Veneziana.  

Giuseppe Pietrobelli è nato a Schio nel 1953. Dal 1991 è inviato speciale de «Il Gazzettino », quotidiano per il quale ha raccontato il vecchio e il nuovo terrorismo di matrice brigatista o neofascista, le inchieste di Mani Pulite e il disfacimento di un sistema politico, gli scandali del Palazzo e le stragi di mafia, i misfatti della Mala del Brenta e i fenomeni politico-sociali del Nord-Est. Ma anche tante storie di uomini, donne e bambini – spesso tragiche o misteriose – che hanno attraversato le cronache degli ultimi vent’anni.  

Arnaldo Forlani
Potere discreto
Cinquant’anni con la democrazia cristiana
a cura di Sandro Fontana e Nicola Guiso
Gli specchi, pp. 256, € 15,00

Arnaldo Forlani è stato per cinquant’anni protagonista della vita politica e istituzionale italiana. Le sue idee e la sua azione l’hanno segnata in particolare in due periodi. Il primo – tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 – in cui si esauriva la politica di centro-sinistra avviata da Moro nel 1962. Il secondo negli anni ’80, quando nella Dc Forlani è stato il più convinto sostenitore dell’alleanza strategica tra la Dc e il Psi di Craxi, al fine di creare anche in Italia le condizioni di un bipolarismo sicuramente democratico e in grado di fare fronte ai nuovi, giganteschi problemi posti dalla fine della guerra fredda e dall’inizio della globalizzazione.
Il racconto di fatti vissuti come protagonista da Arnaldo Forlani, e le sue valutazioni e giudizi su vicende e uomini che hanno inciso profondamente nella storia contemporanea dell’Italia, meritano dunque l’attenzione degli storici, dei politici e di quanti siano interessati a conoscere meglio le radici di vicende che spesso influenzano anche l’attualità politica e istituzionale.  

Arnaldo Forlani, venendo da una lunga milizia di partito che prende l’avvio dalla guerra di liberazione, è stato partecipe attivo del confronto politico e delle controverse vicende che hanno accompagnato la vita democratica del paese nell’arco di mezzo secolo. Ha guidato la Dc in periodi cruciali della vita nazionale, il primo culminato con le elezioni del 1972 e il secondo concluso con quelle del 1992 che aprono di fatto la crisi della prima repubblica. Ha alternato ai compiti di direzione nel partito di maggioranza le responsabilità di governo, alle Nazioni Unite, alle Partecipazioni Statali, alla Difesa, agli Esteri, alla Presidenza e alla vice Presidenza del Consiglio.

Georges Bensoussan
Genocidio. Una passione europea
i nodi, pp. 464 ca., € 22,00 ca.

Come è stato possibile che il Novecento sia stato il secolo dei genocidi di massa, dello sterminio degli ebrei, dei gulag, delle carneficine delle guerre mondiali?

Chi ha reso possibile la formazioni intellettuale degli architetti dell’annichilimento? Chi furono i maestri dei medici nazisti? In quale brodo culturale sono stati immersi coloro che hanno concepito l’assassinio di massa?
Dal momento che gli uomini sono nutriti dalle credenze delle generazioni precedenti, si deve procedere a un’archeologia intellettuale del disastro del secolo appena trascorso, non mettendosi nei panni di un giudice o di un procuratore (e contro chi istruire il processo?) ma adottando l’andatura di un passante qualunque.
Convinti che la cultura era sinonimo di “progresso” e di “ragione”, abbiamo occultato l’immensa storia   dell’ anti-illuminismo, quella parte della cultura europea che si dedicò a fare degli ebrei una questione. L’immaginario antiebraico   non si limita a qualche figura rinomata, ma impregna la storia dell’intera Europa. Chi potrebbe negare   che l’antiebraismo, mutato in “antisemitismo”, costituisca il sottofondo di questa catastrofe?   Ma lo sfondo non esclude una cerchia più ampia: come poter capire le leggi di Norimberga prescindendo dagli statuti di limpieza de sangre del XV secolo spagnolo? Come poter capire   il comportamento genocida dell’autunno 1941 senza correlarlo al programma “T4” nazista di soppressione dei malati mentali? Gli anni 1880-1914 sono stati la matrice di una brutalizzazione della società che la Grande Guerra avrebbe esacerbato con una morte di massa, riducendo i corpi ad avanzi umani e degradando il nemico al rango di parassita.
Privata del suo terreno di coltura, la storia senza precedenti ma non senza radici della Shoah rischia alla lunga di apparire come un incidente nella “marcia continua del progresso”. La messa in luce delle sue origini culturali e politiche contribuirà, al contrario, ad ancorare questa tragedia nella storia di lungo periodo.

In occasione del Giorno della memoria, un’analisi delle origini culturali e politiche della Shoah  

Georges Bensoussan, professore di storia, è responsabile editoriale al Mémorial de la Shoah (Parigi). In particolare, è l’autore di una Histoire de la Shoah (PUF 1996; 2006), di Une histoire intellectuelle et politique du sionisme (Fayard   2002) e di Auschwitz en héritage? D’un bon usage de la mémoire (Mille et une nuits 1998; 2003). In Italia ha pubblicato L’eredità di Auschwitz (Einaudi 2002), Il sionismo. Una storia politica e intellettuale (Einaudi 2007) ed è prevista la traduzione italiana di   Un Nom impérissable. Israel, le sionisme et la destruction des Juifs d’Europe (1933-2007) presso UTET.  

Franco Amatori
La storia d’impresa come professione
Saggi, pp. 632, € 45,00

L’impresa costituisce il motore del nostro processo di sviluppo. Da trent’anni ormai, essa ha conquistato una riconosciuta posizione di centralità nella vita economica, sociale e istituzionale, man mano che il suo spazio è venuto a estendersi dall’Occidente all’Oriente.
Gli studi di Franco Amatori, una personalità di riferimento a livello internazionale nel campo della business history, ora raccolti per la prima volta in volume,
documentano esemplarmente un cammino di ricerca che permette di comprendere l’evoluzione dell’impresa nella dimensione nazionale come in quella globale.
Tutti i principali aspetti dello sviluppo del sistema imprenditoriale vengono analizzati nei capitoli di questo libro, sia per quanto riguarda le tipologie d’impresa (la grande impresa manageriale come i sistemi d’imprenditorialità diffusa) sia per quel che concerne la relazione con il sistema istituzionale.
Un forte accento viene posto sull’azione e la responsabilità di imprenditori e manager, determinanti nel configurare assetti direzionali da cui è dipeso il successo economico delle loro organizzazioni.
Nel suo complesso, per l’unità tematica e la coerenza interna, il libro di Franco Amatori si raccomanda come una fondamentale lezione di metodo per tutti coloro che vogliono accostarsi al mondo dell’impresa, allo scopo di cogliere le variabili storiche che ne hanno strutturato la dinamica e condizionato la performance economica di lungo periodo.  

Franco Amatori è professore di Storia economica nell’Università Bocconi di Milano. Si è laureato in Scienze Politiche con indirizzo storico a Firenze e si è specializzato in business history all’Harvard Business School. È stato presidente dell’assi (Associazione di storia e studi sull’impresa) e dell’ebha (European Business History Association). Ha scritto e curato numerosi volumi di storia d’impresa, tra i quali Proprietà e direzione. La Rinascente 1917-1969, Milano, Franco Angeli, 1989, Impresa e mercato. Lancia 1906-1969, Bologna, Il Mulino, 1997, Impresa e industria in Italia dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio, 1999 (con A. Colli) e Business History around the World, Cambridge, Cambridge University Press, 2003 (con G. Jones).  

Amintore Fanfani
Capitalismo, socialità, partecipazione
a cura di Piero Roggi
Saggi, pp. 312, € 23,00

In Capitalismo, socialità, partecipazione, scritto nel 1976, Fanfani proseguì la sua indagine sulle manchevolezze e sui limiti del sistema capitalistico avviata
nel 1934 con Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo.
A trent’anni da questa opera destinata a diventare un classico del pensiero economico, confermò il suo giudizio critico: il capitalismo era insostituibile nella produzione della ricchezza ma incapace di distribuirla equamente. Di qui la necessità di riformarlo sottoponendolo al “controllo” di una vasta partecipazione democratica, a suo avviso strumento indispensabile per correggere un sistema economico poco attento alle esigenze di una maggiore giustizia sociale.
«Il volume – scrisse Fanfani nella prefazione alla prima edizione italiana – si inserisce nel discorso tuttora aperto attorno ai modi migliori per adottare sistemi che eliminino i danni prodotti dal capitalismo. Ma facciamo ciò, come i più avveduti sperano, senza provocare i danni che potrebbero derivare dal ripudio indiscriminato di validi ideali etici e politici e di istituzioni sociali e strumenti tecnici scoperti o aggiornati dall’umanità anche nell’età del capitalismo ».
Rilette nei giorni in cui è in atto una delle più gravi crisi della finanza e dell’economia mondiali, provocata dall’instabilità dei mercati e dalla mancanza di efficaci regole condivise, queste riflessioni di Fanfani appaiono di scottante attualità.  

Amintore Fanfani (1908-1999), studioso dei processi storico-economici e protagonista della politica italiana e internazionale del secondo Novecento, ha insegnato per cinquant’anni Storia economica prima all’Università Cattolica di Milano poi all’Università La Sapienza di Roma. Attivissimo membro dell’Assemblea Costituente (sua è la definizione dell’Italia «Repubblica democratica fondata sul lavoro »), è stato deputato e senatore in tutte le legislature repubblicane, senatore a vita dal 1972, segretario della Democrazia Cristiana negli anni cinquanta e settanta, sei volte presidente del Consiglio, ministro del Lavoro, dell’Agricoltura, degli Interni, degli Esteri e del Bilancio, per quattordici anni presidente del Senato, presidente nel 1965-66 – unico italiano – dell’Assemblea generale dell’Onu. È autore di numerosissime pubblicazioni, tra cui Le origini dello spirito capitalistico in Italia (1933), Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo (1934), Storia delle dottrine economiche (due volumi, 1938-1945), Storia economica (1940), Indagini sulla “rivoluzione dei prezzi” (1940), Colloqui sui poveri (1942), Storia del lavoro in Italia dalla fine del secolo XV agli inizi del XVIII (1943), Una Pieve in Italia (1964), Giorgio La Pira (1978).  

Anna Masecchia
Al cinema con Proust
Saggi, pp. 192, € 18,00

Dalla metà degli anni Sessanta in poi, la sfida posta al cinema dal capolavoro di Marcel Proust Alla ricerca del tempo perduto è stata raccolta da personalità artistiche quali Ennio Flaiano, Harold Pinter, Luchino Visconti e Joseph Losey: l’avventuroso progetto produttivo che li ha visti protagonisti ha avuto termine solo nel 1984 con Un amour de Swann (1984) di Volker Schlöndorff.
Bisogna però attendere la fine del secolo scorso perché i film di Raoul Ruiz (Le temps retrouvé, 1999) e Chantal Akerman (La Captive, 2000) trasferiscano al cinema gli elementi più profondi dell’opera proustiana, senza perderne né sottigliezza né impatto poetico.
Un più diffuso effetto Proust è stato del resto tanto incisivo e duraturo da spingere un regista raffinato come Fabio Carpi oppure artisti dell’avanguardia contemporanea come Jon Jost e Percy Adlon a misurarsi, secondo modi di lettura differenti, con un classico della letteratura del Novecento la cui vitalità appare inesausta. Al cinema con Proust, incrociando gli strumenti della comparatistica con i metodi dell’analisi del film, propone uno studio storico e teorico sulla capacità del cinema di confrontarsi con la Recherche e di assorbirne la lezione narrativa ed estetica.  

Anna Masecchia (1974) svolge attività di ricerca presso la Facoltà di lettere e filosofia di Arezzo – Università degli studi di Siena, dove insegna Storia del cinema italiano; dal 2004 collabora con “Synapsis”. Ha lavorato su Carl Th. Dreyer, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica attore, Joseph Losey e Agnès Varda.  

Carlo Goldoni
Rosmonda
a cura di Paolo Quazzolo
Letteratura universale, pp. 288, € 19,00

Una tragedia giovanile  

Scritturato per la prima volta da una compagnia di professionisti, Goldoni vive tra il 1734 e il 1743 la sua prima stagione artistica. Per il pubblico del Teatro San Samuele compone svariate opere, tentando la fortuna e, soprattutto, sperimentando i generi più diversi, alla ricerca del linguaggio a lui più congeniale. Tra le tante opere, anche alcune tragedie, la seconda delle quali, in ordine cronologico, è Rosmonda, testimonianza non solo di una precoce abilità drammaturgica, ma anche di una cosciente partecipazione dell’autore veneziano al complesso dibattito sul tragico di inizio Settecento. A fianco di tanti lavori eminentemente teorici, la Rosmonda appare tragedia dal carattere fortemente teatrale, precoce esempio di una riforma che doveva ancora prendere avvio.
Il titolo richiama la celebre vicenda narrata da Paolo Diacono, ripresa dal Rucellai e da moltissimi autori successivi. In verità la Rosmonda di Goldoni nulla ha in comune con questo modello: essa è la storia patetica di una fanciulla divisa tra devozione filiale e l’amore impossibile per un sovrano nemico del suo popolo. Un padre intransigente, una rivale perfida, una situazione senza vie d’uscita, conducono l’eroina a una fine inevitabile.  

“L’età venture
stupiranno in udir che a tal virtude
donna sia giunta e a superar se stessa…”  

Paolo Quazzolo insegna drammaturgia presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Trieste. Si occupa prevalentemente di tematiche inerenti la nascita della regia, la dinamica del teatro nella società delle masse e le strategie culturali dei Teatri Stabili. Si è anche occupato del Settecento, curando un’edizione del Teatro alla moda di Benedetto Marcello.

Workwear
Lavoro moda seduzione
a cura di Olivier Saillard e Oliviero Toscani
Mode, pp. 224 ca. con 150 ill. a col., € 34,00 ca

Tutto è moda. Tutto sottostà ai dettami della moda e l’abito da lavoro che indossiamo tutti, lungo la maggior parte della nostra giornata, non è da meno. Con la straordinaria rivoluzione economica e sociale, che ha investito il mondo occidentale e per la quale oggi tutti lavoriamo sempre e troppo, anche la funzione dell’abito muta e non può che gridare ciò che facciamo, comunicare al mondo chi siamo.
Negli ultimi anni il workwear ha conosciuto un’evoluzione continua sia nella ricerca formale e tecnica, sia nella progressiva codificazione, su scala mondiale, di mestieri e professioni in base ai relativi indumenti.
Il libro, attraverso una sorta di catalogazione di materiali prelevati direttamente dai vari ambiti lavorativi, riflette su forme, usi e materiali.
Autori come Comme des Gaconnes, John Galliano, Marithè & Francois Girbaud, Sonia Rykiel, Thierry Mugler, Undercover, Walter van Beirendonck, Antonio Marras, Prada, Chanel hanno declinato in infinite varianti la semplice eleganza degli indumenti da lavoro.  

Olivier Saillard,   storico della moda, è curatore del Musée de la Mode et du Textile di Parigi. È stato nominato consigliere artistico della Fondation HSBC pour la Photographie. Collabora alle riviste «Elle », «Crash », «Jalouse ».  
Ooliviero Toscani, fotografo di fama mondiale; ha concepito e diretto Fabrica, curato la comunicazione ed esposizioni per UNCRH, la Repubblica, MTV, Arte. Nel 2006 fonda La Sterpaia, una moderna bottega dell’arte della comunicazione nel Parco di San Rossore a Pisa, dove giovani creativi provenienti da tutto il mondo si occupano di editoria, design, esposizioni, architettura, web. Toscani ne dirige l’intera struttura.

Gli affreschi nelle ville venete
Il Cinquecento
a cura di Giuseppe Pavanello e Vincenzo Mancini
Libri illustrati, pp. 620 con 937 ill. a col. e b/n, € 150,00

Il fenomeno della “civiltà di villa” al tempo della Serenissima ha dato origine a una straordinaria fioritura di imprese decorative negli edifici sorti nello ‘Stato da terra’. Dal tempo dei pionieristici cataloghi di Giuseppe Mazzotti (1954) e Luciana Crosato (1962) non si intraprendeva un’opera sistematica di studio degli affreschi cinquecenteschi conservati nelle ville del Veneto e del Friuli.
La ricerca, promossa dall’Istituto Regionale per le Ville Venete e curata dall’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini, prende avvio da una nuova indagine ricognitiva: un’esplorazione capillare che ha fatto venire alla luce, accanto ad apparati decorativi inediti o negletti, anche aspetti nascosti o trascurati di opere conosciute. A integrazione e arricchimento del materiale fotografico d’archivio, sono state realizzate apposite campagne fotografi che, che rendono in buona parte inedito il corredo illustrativo del volume.
Il primo dei quattro tomi della collana Gli affreschi nelle ville venete, dedicato al Cinquecento, presenta in apertura una sezione sui secoli xiv e xv, investigati con due saggi monografici, a introdurre il lettore nella grande stagione della decorazione ad affresco in villa nel ‘secolo d’oro’ di Veronese e Zelotti.  

Giuseppe Pavanello direttore dell’Istituto di Storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini di Venezia e socio dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, presso il quale organizza le «Settimane di Storia dell’arte veneta », promosse in collaborazione con l’École du Louvre di Parigi cura, con Francesco Valcanover, la collana «Studi di Arte Veneta ». Fa parte del Comitato per l’Edizione Nazionale delle Opere di Antonio Canova dell’Istituto di ricerca su Canova.

Vincenzo Mancini ha insegnato nelle Università di Padova e di Udine. I suoi interessi si sono orientati inizialmente allo studio della pittura veneta del Cinquecento. È autore di testi monografici su Lambert Sustris (1993) e Polidoro da Lanciano (2001). Da tempo si interessa della “civiltà delle ville venete”, producendo studi sugli aspetti artistici in alcuni insediamenti residenziali sconosciuti o poco valorizzati. Dal 2005 collabora con la Fondazione Giorgio Cini.

Musica e Arti figurative
Rinascimento e Novecento
a cura di Mario Ruffini, Gerhard Wolf
Libri illustrati, pp. 504 con 351 ill. a col. e b/n, € 80,00

«Esiste una ragione che induca al raffronto tra i linguaggi delle diverse arti? », «È di aiuto affrontare il tema dei rapporti tra pittura e musica? »: le due domande si specchiano l’una nell’altra.
Intorno a “Prigionia, liberazione, solitudine” si gioca una irrisolta disputa, che disegna una geografia dei “champs du possibile”, abbracciando sincreticamente filosofia, estetica e letteratura, e ripercorrendo lo snodarsi cronologico della funzione dell’arte nel tempo: lo spazio-tempo delle arti, di musica, poesia e teatro, circoscritto per secoli nell’architettura delle cattedrali, e disseminato poi fuori da esse. Unioni e dispersioni dei differenti linguaggi, a cui la scienza apporta, dalla fine del Seicento, nuove sollecitazioni.  

Mario Ruffini, musicologo, compositore, direttore d’orchestra, è responsabile dei «Progettidi Musica e Arti figurative » del Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut, e responsabile scientifico del Fondo Carlo Prosperi dell’Archivio Contemporaneo «A. Bonsanti » del Gabinetto Vieusseux di Firenze. Docente al Conservatorio di Musica, è stato per vari anni direttore ospite stabile del Teatro Nazionale di Opera e Balletto M.P. Musorgkij di San Pietroburgo. Si è dedicato all’opera di Luigi Dallapiccola dagli inizi degli anni ottanta sia come interprete che come studioso, compiendo e riassumendo le sue ricerche con un esaustivo volume sul compositore istriano: L’opera di Luigi Dallapiccola. Catalogo Ragionato del 2002.  

Gerhard Wolf è nato nel 1952 a Karlsruhe, ha studiato Storia dell’arte, Archeologia cristiana e Filosofia all’Universtità di Heidelberg. Ha insegnato alla EHESS di Parigi, alla Bibliotheca Hertziana di Roma, all’Università di Trier. Dal 2003 è direttore e membro del comitato scientifico del Kunsthistorisches Institut in Florenz, Max-Planck-Institut.

Il lavoro in un’impresa di valore
Le cooperative di produzione e lavoro in Italia
a cura di Daniele Marini
Ricerche, pp. 152, € 16,00

Un problema nuovo per le organizzazioni e le imprese, diversamente dal passato, è quello della socializzazione delle nuove generazioni che fanno il loro ingresso al lavoro e al valore del lavoro, ai valori di fondo dell’azienda, ai suoi obiettivi e alle sue finalità. Di come dare continuità nel tempo ai suoi valori ispiratori, considerando che il contesto sociale ed economico è mutato, e pure mutate sono le condizioni di vita, i livelli di istruzione, le aspettative e gli orientamenti della popolazione e dei lavoratori. Più in generale, e non solo nei confronti dei giovani, di come riuscire a coniugare i valori ispiratori originari con imprese cresciute e trasformate, che oggi competono anche sul piano internazionale e in un contesto in rapida evoluzione. Ciò vale a maggiore ragione per un’impresa come la cooperativa, dove la dimensione valoriale, mutualistica e solidaristica rappresenta uno degli assi fondamentali della sua esistenza, costituzione e regola di funzionamento. Ancora di più, se consideriamo che la cooperazione sta vivendo, almeno in Italia, in questi anni una particolare attenzione sotto il profilo sociale, politico e fiscale. Per la cooperazione questa fase costituisce un momento di sfida.  

Daniele Marini (Padova, 1960) è professore di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università di Padova e direttore scientifico della Fondazione Nord Est. Collabora come editorialista e analista al quotidiano «Il Sole 24 Ore ». Con Marsilio ha curato l’annuale Nord Est. Rapporto sulla società e l’economia (Venezia 2008; con S. Oliva) e il volume Fuori dalla media. Percorsi di sviluppo delle imprese di successo (Venezia 2008). Con Edizioni Lavoro ha pubblicato Una domanda da educare (Roma 1995).


Letto 3355 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart