Michelotti, Alfredo20 Gennaio 2019 Alla ricerca della mia gioventù Alla ricerca della mia gioventùL’autore emigrò da giovane in Olanda e fu costretto a prendere parte con l’esercito italiano alla Campagna di Russia della Seconda guerra mondiale. La raccolta, composta da racconti che, per la loro continuità di contenuto, potrebbero essere considerati capitoli di un romanzo, rievoca quegli anni, ma non solo. Iniziato a leggerla, sono rimasto affascinato dalla scrittura, che ha messo a nudo, in uno stile asciutto, senza lasciarsi andare a inutili e sterili sentimentalismi, gli anni della sua gioventù, trascorsi in guerra e impegnati poi, prima di poter ricongiungersi ai suoi rimasti in Olanda, nella dura lotta della sopravvivenza. È il ritratto di un uomo che non si è mai arreso e ha saputo far fronte ai rovesci del destino. La ritirata di Russia, coi saltuari rifugi nelle isbe, le nevicate abbondanti, le temperature costantemente di 30, 40 gradi sotto zero, la ricerca di trasporti di fortuna in mezzo a colonne di uomini appiedati e sofferenti, i ricoveri negli ospedali militari, gli scontri con i terribili soldati siberiani, che poco alla volta liberavano le città russe conquistate dai tedeschi e dagli italiani, fanno ripercorrere come in un diario ancora fresco degli avvenimenti, una esperienza reale. Questa è la descrizione di un’isba: “solo piano terra, poche finestre e copertura in paglia. I muri sono bianchi in calce e sterco di bestiame, dopo la porta il ripostiglio con tutto quanto è necessario ai lavori dei campicelli e dove anche si tiene la mucca o la pecora con l’immancabile cane. Poi la seconda porta da cui si accede alla grande cucina-soggiorno. Qui, a poca altezza da terra, c’è una specie di forno dove d’inverno è sempre acceso un fuoco a legna di gambi secchi di girasoli di cui in Ucraina si fa una vastissima coltivazione. L’intera parete della stanza ove si trova il forno è doppia e quindi tutta ben riscaldata.”. Questa è la descrizione delle condizioni in cui si trovava la Divisione Cosseria: “Migliaia di uomini fantasma che in silenzio guardavano solo avanti perché dietro il vento gelido si portava via in pochi attimi i lamenti e l’anima di troppi compagni ormai privi di speranza e di forze. In una frazione del comune di Bagni di Lucca, Palleggio, che è il suo paese natale, egli ha trascorso il periodo precedente la guerra, arrangiandosi, la sua famiglia, per “sbarcare il lunarioâ€, a commerciare di tutto, dal sale che si procura a Livorno, all’olio che va a prendere in Puglia, alle famose statuine di gesso prodotte dalle fabbriche della Val di Lima. Con la mamma gira l’Italia per venderle: “Restammo nel sud sedici mesi passando da Bari a Foggia e a Barletta. Se non fosse stato per la salute della mamma, a cui non confaceva quel clima, probabilmente ci saremmo stabiliti lì. Infatti non avevamo concorrenza, la gente, che era brava e affabile, comprava le nostre statuine e i guadagni erano buoni.”. “A Barletta, nella chiesa della Sacra Famiglia, feci la prima comunione.”. Come del resto farà in Olanda, giuntovi quattordicenne, quando si caricava sulle spalle il pacco largo due metri fatto di teli scuri, dentro il quale i venditori “ponevano le figurine e vecchi giornali appallottolati tra una e l’altra a mo’ di cuscino perché non si rompessero.”. Del suo periodo trascorso in Olanda nell’imminenza della guerra ricorda “un padre carmelitano molto semplice e gioviale, appartenente alla nostra parrocchia. Parlava l’italiano meglio di noi, si fece in quattro per rendersi utile e per noi, che stavamo attraversando un momento difficile, la sua venuta fu quanto di meglio poteva capitarci.”. Scoprirà poi “che era un emerito professore, teneva cattedra all’università di Nijmegen, aveva avuto molte onorificenze ed era anche molto conosciuto all’estero. Il suo nome rimarrà immortale, lo si trova già sulle enciclopedie: TITUS BRANDSMA, nato nel 1881 da una numerosa famiglia del nord Olanda. Morì in un campo di concentramento nazista il 26 luglio 1942 a Dachau. Fu portato via dal pulpito e deportato perché incitava la popolazione a non credere alla propaganda fascista degli NSB olandesi.”. Assiste alla guerra partigiana sulla Linea Gotica che “Parte dall’Adriatico, nelle vicinanze di Pesaro, e attraversando punti strategici dell’Appenino Pistoiese da una valle all’altra scende fin sotto Borgo a Mozzano per risalire poi nella Valle del Serchio sino all’alta Garfagnana. Traversa quindi le Alpi Apuane e scende verso Carrara. Lunghezza oltre 300 chilometri.â€, e riferisce di atrocità compiute sia dai tedeschi che dai partigiani, alle quali ha assistito in quel periodo turbolento e difficile. Rifugiatosi tra gli sfollati, che cercano scampo dai rastrellamenti, così ricorda quei giorni: “Gli anziani signori Pini di Palleggio li ho veduti in località Palmi coricati in un letto di ferro, all’ombra dei grandi alberi, con la serva attorno. Con il tempo asciutto si cucina all’aperto: un paletto fisso contro il ciglio per sostenere la pentola, alcune pietre sotto per sostenere la brace, ed il fuoco è fatto come all’età della pietra.â€. In quella zona operava il famoso comandante “Pippo”, morto a Lucca, apparentemente suicida, il 24 agosto 1948. Così lo ricorda, in questa lunga citazione che è doveroso riportare: “Lassù in alto, sotto il crinale dell’Alpe delle Tre Potenze, all’estremo limite della Lucchesia e del Pistoiese, ci sono alcune capanne di pastori di San Cassiano di Controne. Ci sono sempre state da molte generazioni. Questa è la Rafanella. Ci si arriva attraverso una zona molto impervia per cui chi si trova là è al sicuro da sorprese. Troveremo nel libro molti resoconti della guerra partigiana, anche di alcuni misfatti compiuti dagli stessi partigiani. Di “Pippo” saranno narrate gesta che ne mettono in risalto il coraggio e il valore di comandante. Ancora oggi resta inspiegabile come il governo italiano non gli abbia mai concesso la medaglia d’oro. Una grave mancanza. Un affronto alla giustizia. Una colpa. C’è spazio anche per una storia d’amore tra l’autore e Isabella, che diverrà sua sposa. Il padre di lei, che aveva in Belgio una fabbrica di statuine, aveva mandato la famiglia al suo paese in Italia per metterla al riparo dalla guerra. Isabella abitava in una casa dei Giannini, la famiglia, proprietaria di una famosa cereria di quegli anni, rimasta nella memoria dei Lucchesi poiché presso di loro faceva servizio Gemma Galgani, la Santa: “Mia madre ricordava di quando già sulla strada dell’Astracaccio i Giannini arrivavano in carrozza da Lucca per le vacanze estive. Aggiungiamo che Gemma era conosciuta non solo in montagna ma nella città di Lucca, dove, con indosso la sua veste nera, la si vedeva pregare seduta al suo posto, a destra non appena si entri nella chiesina della Rosa. Con questo libro, l’autore ci consegna un’esperienza di guerra e di amore da non dimenticare. Troviamo scritto nella conclusione della quarta pagina di copertina: “Anni da nascondere? Da dimenticare? No, mi hanno sempre detto in famiglia, lo stesso alcuni cari amici e conoscenti, non devi portarteli via con te, devi scriverli. Letto 787 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||