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MUSICA: I MAESTRI: Il dramma di Berlioz

29 Settembre 2010

di Luigi Ronga
[dal “Corriere della Sera”, lunedì 29 settembre 1969]

L’immagine corrente di un Berlioz perseguitato dalla sfor ­tuna e vinto dal destino av ­verso può essere vera, se si aggiunge ch’egli stesso è stato l’artefice assiduo della propria infelicità. A chiarire certi aspetti di una figura così com ­plessa sarebbe occorso un grande ritratto contemporaneo alla Sainte-Beuve, ossia crudel ­mente perspicace nel metter a fuoco i modi sottili o grossolani attraverso i quali i motivi umani si trasferiscono, per fiorire od appassire, in una loro difficile risoluzione artistica. Ci resta la rapida sintesi di un diverso grande ritratto, quello di Gustave Courbet al Louvre in cui la semplificazione ope ­rata dalla luce sul volto fa per contrasto sprigionare dagli occhi affondati nell’ombra del ­l’orbita uno sguardo che sem ­bra assorto, ed è invece vigile, teso in un’aggressività conte ­nuta e dissimulata. Certamente rischioso è l’indulgere a que ­sta sorta di emblematismo fìsiognomico e psicologico, ma forse meno a sproposito nei riguardi di un artista che gran parte della propria opera non ha potuto concepire se non co ­me una perentoria trasposizio ­ne autobiografica.

La fortuna berlioziana s’è svolta sino ad oggi fortemente segnata da negazioni o riser ­ve, ma anche da consensi e giudizi talora entusiastici de ­stinati tuttavia a suscitare quei sospetti che Debussv, pur am ­mirando, ha come al solito cru ­damente riassunto: « Si può persino dire senza ironia che Berlioz fu sempre il musicista preferito da quelli che non co ­noscono molto bene la musi ­ca… » Eppure il saggio sulla Sinfonia fantastica, lo scritto più famoso della letteratura critica berlioziana, si deve pro ­prio ad un musicista della tem ­pra di un Roberto Schumann. Il quale, di fronte ad un’arte sin dall’inizio tanto proble ­matica, aveva subito colto il punto giusto: di accettarla co ­sì com’era, senza vagheggiare tagli o ritocchi, persuaso del ­l’impossibilità di aggiunger o sopprimere nulla, e nemmeno correggerla senza toglierle la sua energia tagliente, senza nuocere alla sua forza.

Era non solo il riconosci ­mento aperto, ma prestigioso dell’originalità berlioziana; nel centenario della morte, ci rendiamo conto quanto sia stato raro e difficile, come ha ap ­punto dimostrato le calvaire de cette gloire.

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In un passo, acceso e a grand’effetto, delle Memorie, il Berlioz narra come dopo lo studio appassionato delle par ­titure di Gluck, gli avvenne di ascoltare, ansiosamente at ­tesa, l’Ifigenia in Tauride: fu l’evento risolutivo per decider ­lo a diventare musicista. Con lo studio profondo di Beetho ­ven la vocazione di Berlioz si convertì in una missione che parve a lui riservata dal de ­stino: J‘ai pris la musique oû Beethoven l’a laissée, ebbe a dire con semplicità altera. Ma non meno determinante fu lo amore immenso per il teatro di Shakespeare che gli rivelò « in mezzo a nubi, tuoni e tem ­peste una nuova poesia ».

Gluck, Beethoven e Shakespeare, esemplari maestri di ispirazione: sintesi di un’ideale drammaturgia che il Berlioz realizza sopra tutto al di fuori della prospettiva scenica, in una sorta di teatro immagina ­rio, libero da quelle conven ­zioni e da quei limiti ch’egli avvertì con persistente disagio nello spettacolo operistico e che invece, ribelle alle costri ­zioni dei generi tradizionali, travolse in forme di modella ­zione di volta in volta sempre nuove.

Al fondo di questa liberazione dalla scena non c’era un proposito rivoluzionario; Ber ­lioz stesso ha dichiarato che a parte una certa arditezza nello stile, non aveva mai in ­teso di sovvertire gli elementi costitutivi dell’arte, ma soltan ­to di accrescerli. E può sem ­brare paradossale che l’idea di questo accrescimento specifica ­mente musicale appaia lega ­ta a un’ispirazione di natura poetica e pittorica che, a torto od a ragione gradita agli ascoltatori, non raramente con sprezzo venne individuata dai « musicisti » come una radice d’arte impura. Così avvenne che l’incomprensione maggio ­re non fu quella degli ascol ­tatori sprovveduti, ma di quel ­li catafratti in armature ora dottrinarie, ora tecnicistiche od estetizzanti, i quali non si avvidero quanto il linguaggio berlioziano fosse modellato da una primaria autentica musi ­calità.

La potenza figuratrice del Berlioz è già all’origine avvia ­ta da un moto creativo che le grandi visioni poetiche attira, sconvolgendole e deformando ­le, nel campo magnetico della propria fantasia musicale. Il temperamento spingeva il com ­positore a rivivere con imma ­ginazione ardente le grandi figure della letteratura univer ­sale, trasferendone il colore leggendario o storico in una nuova atmosfera di sogno o di realtà: le vague des passions di uno Chateaubriand lo por ­tava alle surrealistiche visioni della Sinfonia fantastica, lo spirito avventuroso di un Byron ai quadri pittoreschi dell‘Aroldo in Italia, in scoperta trasfigurazione autobiografica.

Di quelle grandi azioni poe ­tiche il Berlioz aveva anche bisogno come alleate per una opera di rigenerazione morale e di fronte a coloro che, fra tutte le arti, maggiormente la musica consideravano come divertimento od oggetto di lus ­so, era lo scoppio di un’ira aspra e flagellatrice che intor ­no alla voce dell’arte dispone ­va la risonanza di un’attività critica, a grandi fiammate ca ­pace di sollevarsi ad alta effi ­cacia oratoria.

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Il vagheggiato incremento interno dei mezzi espressivi s’accompagnava all’ampliarsi delle dimensioni, necessarie a contenere le eruzioni di una immaginazione avventurosa e perciò aperte ad ogni possibile novità e mobilità della forma. L’aspirazione al grandioso, al monumentale parve l’assillo demonico di un artista orgo ­gliosamente sicuro di foggiare quei mezzi con tenacia e vo ­lontà magnanima. Ed Arrigo Heine, nel percepire un pos ­sente battito d’ali, paragonava il compositore ad « un usi ­gnuolo colossale, un’allodola con grandezza d’aquila ».

Nel sinfonismo variamente atteggiato di Romeo e Giuliet ­ta, della Dannazione di Faust e sopra tutto del Requiem, in cui il Berlioz riconosceva la espressione più compiuta del suo genio, lo stile sembrò esal ­tato da un’energia che spinge ­va la musica alla tensione estrema del colore e del dina ­mismo, per conferire alla com ­posizione il massimo dell’in ­tensità: uno stile che non si lascia indovinare per una sua linea unitaria, ma rivela di sor ­presa con la suggestione di un appropriato lessico sonoro la registrazione dei flussi senti ­mentali, in una successione continua di inquietudini dolo ­rose, di melanconie morbose, di passioni sconvolgenti. Ed in genere l’arte berlioziana venne giudicata nel confronto con i suoi grandiosi contenuti ideali, con ostentazione dispiegati sovente nella ricerca degli ef ­fetti: come un discorso che cresce su se stesso nello sforzo di dire sempre qualcosa di più, dilatato in una forma di super ­fìcie che inganna sul fondo, con ambizioni superiori alla effettiva risoluzione musicale, condizionata da impulsi contrastanti lasciati in crudi acco ­stamenti od alternative d’inci ­sivo e di generico, di raffinato e di grossolano, di sobrio e di enfatico.

Così, l’arte del Berlioz non sembra offrire i segni incon ­fondibili di uno stile d’imme ­diata individuazione: e variamente ritornano i giudizi su di un’insufficienza costruttiva della melodia, sull’innaturale ge ­nesi di armonie distorte, e per ­sino sull’ambiguo riscatto af ­fidato all’originalissima stru ­mentazione, quand’è identifi ­cata con un virtuosismo arti ­gianale esercitato sulle qualità dei singoli strumenti innal ­zati alla funzione di mitici per ­sonaggi protagonisti.

Dalla presenza costante di elementi riluttanti ad una con ­ciliazione facile e pronta, na ­sce la difficile originalità del ­l’arte berlioziana, nella quale, per la frequente deformazione prospettica dovuta ad inter ­pretazioni imprecise e gestico ­lanti, l’oratoria sonora preva ­le sulla mirabile finitezza fles ­sibile delle linee entro cui non di rado la musica si muove e respira. Ma all’artista stesso non sfuggì un certo scompen ­so nelle tensioni interne al pro ­prio processo creativo, ancora una volta rinnovato nei di ­versi esiti dei Troiani e dell’Infanzia di Cristo, per i quali pur di recente l’ultimo Berlioz è stato giudicato in modo op ­posto come un vulcano spento e come un musicista più vigo ­roso che mai.

Nell’ombra della fine era il dramma segreto dell’artista che all’improvviso non si sen ­te compiutamente espresso nel ­la propria opera per una ria ­cutizzata nostalgia dell’esatta e contenuta forza dell’arte classica. Nell’ora dello scon ­forto, per la solitudine e la indifferenza ch’era seguita al ­l’ostilità, il Berlioz, ripercor ­rendo nel ricordo la propria vita, diceva di averla trascorsa con gli eroi semidivini di Vir ­gilio, del poeta prediletto per il sereno e temperato vigore della sua arte. Era un modo di dire quanto gli era costato il tendere all’ivresse ordonnée di una sensibilità ardente che si integra e si compie nella chia ­rezza dello spirito.


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