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Non tocchiamo ancora il fondo, ma poco ci manca

30 Novembre 2009

Stamani la Repubblica ha pubblicato la lettera di un padre al figlio. Il padre, Pier Luigi Celli, ha ricoperto e ricopre importanti incarichi, e il figlio frequenta l’università Luiss.

Probabilmente con questa lettera la Repubblica intendeva dare un altro colpo a Silvio Berlusconi; in realtà essa fotografa un profondo malessere che investe società e politica nel suo complesso. Ma ciò che mi ha colpito è stata l’esortazione del padre al figlio di abbandonare l’Italia.

Da sempre sostengo che di fronte alle difficoltà non si deve fuggire, bensì combattere là dove si annidano, e in special modo là dove viviamo. Ho sempre apprezzato gli scrittori del Sud che restano nella loro terra e con i libri e con la presenza fisica tentano il cambiamento.

Dire ad un figlio di lasciare l’Italia è qualunquismo, rinuncia, sconfitta. Se questo Paese va male, bisogna correggerlo non tirandosi indietro, ma rimboccandosi le maniche.

Il momento è difficile. Avrei potuto anch’io starmene in silenzio e avvolgermi nel mantello caldo della letteratura. Ma non si può far finta di niente.

La mia età (il 14 gennaio prossimo avrò 68 anni) mi avrebbe anche potuto giustificare, assolvere. Ormai nella vita quello che dovevo fare l’ho fatto (comprese le mie battaglie civili). Ora tocca ai meno anziani, ai più giovani. Del resto, si sa che a parlare di politica ci si fa il sangue amaro e un esercito di nemici.

Ma il momento, secondo me, richiede di affrontare questo rischio. D’obbligo sono la schiettezza e la sincerità. Se si può anche essere obiettivi tanto di guadagnato.

Io ho preso le difese di:

1) Silvio Berlusconi e del suo governo;
2) Piero Marrazzo;
3) e della sovranità popolare, da esercitarsi con l’elezione diretta del capo del Governo.

Tutto ciò che ho scritto ha il difetto di essere il frutto dei miei ragionamenti, e non escludo che le mie battaglie possano in futuro risultare sbagliate.
Me lo auguro, giacchè sono così numerosi coloro che la pensano diversamente da me che, se avessi ragione io, vorrebbe dire che l’Italia è stata in questi anni, e specie in questi mesi, sommersa dalla faziosità, dall’ipocrisia, dalla calunnia.

Se anche Giulio Mozzi (qui), uno scrittore che stimo, arriva ad essere cinico e feroce con Piero Marrazzo, incolpandolo di divismo per aver indirizzato una richiesta di perdono al Papa, significa che l’uso indiscriminato di falsità, ipocrisia e calunnia di cui i media ci hanno nutrito e sommerso in questi tempi, ha reso difficile leggere le azioni degli uomini. Diventiamo loro giudici. Ci mettiamo in cattedra e diciamo ciò che devono e non devono fare.

Attribuire il significato di ricerca di notorietà o di divismo alla domanda di perdono rivolta al Papa significa, a mio avviso, mettere il dramma dell’uomo Piero Marrazzo alla pari dello stato d’animo di un Richard Gere che sfila agile e sorridente sulla passerella della Mostra del cinema di Venezia.

Piero Marrazzo è sprofondato in un abisso, il suo smarrimento ha rischiato di condurlo al suicidio. Il rimorso di aver tradito la coerenza e la moralità di un padre giornalista che ha fatto grandi battaglie civili, ha sconquassato la sua coscienza.

La coscienza è la voce che si fa sentire sopra ogni altra in circostanze come questa. E’ al centro di ogni uomo turbato, smarrito. Anche se la si volesse scacciare, l’impresa sarebbe impossibile. Marrazzo sta facendo i conti con la sua famiglia, con suo padre, con chi ha avuto fiducia in lui e con se stesso. E’ un conto salato che non può avere che un solo interlocutore in grado di reggere ad una tale altezza: la coscienza. Sarà essa, soltanto essa, a dare la direzione alle sue azioni.

Dunque, nessuno ha il diritto di essere cinico e feroce con quest’uomo. Il perdono che chiede al Papa è un perdono che non fa parte di alcun divismo ma è la ricerca di una umiliazione pubblica che, attraverso la figura del Papa, giunga anche a noi. Marrazzo chiede perdono e s’umilia davanti al Papa, perché chiede perdono e s’umilia davanti a Dio e agli uomini. E’ un gran gesto. Altro che divismo!

Su Marrazzo si è detto di tutto, lo si è denigrato, messo alla berlina, lo si è accusato di aver subito ricatti, quando lui non sapeva neppure che il video esistesse (glielo ha comunicato per la prima volta Silvio Berlusconi). Lo si accusa di aver ceduto a ricatti nell’esercizio della sua funzione pubblica, e invece nessun ricatto è emerso, come pure di nessun reato (almeno finora) è stato accusato dagli inquirenti. Se avrà commesso reato, come ho scritto più volte, anch’io sarò contro l’uomo pubblico che non ha fatto il suo dovere, ma fino a quel momento Marrazzo ha diritto al rispetto di tutti. Ciò che ha compiuto riguarda la sua coscienza. Ne ha riconosciuto la colpa e si è perfino dimesso dall’incarico pubblico (non era necessario, secondo me, come scrissi), ed oggi è alle prese forse con una delle battaglie più terribili della sua vita.

Lasciamolo, perciò, solo con la sua coscienza, poiché ogni azione che in questi tempi andrà compiendo sarà, com’è giusto che sia, il frutto del colloquio con essa. Quelle azioni saranno mosse da un solo intento: quello di riuscire a ritrovare il suo equilibrio e la sua strada.

Prendo un altro esempio da Giulio Mozzi.

Nella serie dei commenti che si sono susseguiti a quel post, ad un certo punto (il commento 29 novembre, ore 10,50), Mozzi scrive (riguardo al fatto che Berlusconi non denunciò alla magistratura l’esistenza del video, di cui informò invece Marrazzo): “posizione assai dubbia del capo del governo nonché maggiore imprenditore mediatico del Paese, e forse un paio di morti ammazzati “.

Ho stentato a credere che vi fossero scritte le parole: “e forse un paio di morti ammazzati”.
Come, mi sono chiesto, Mozzi insinua allo stesso modo dei giornali scandalistici, come la Repubblica, ad esempio? D’Avanzo ha fatto scuola perfino a lui?

Insinuare significa, secondo il Battaglia: “Infondere, ispirare, suscitare, destare, istillare, inculcare nell’animo o nella mente di qualcuno un pensiero, un’idea, una convinzione, un sentimento, oppure un sospetto, un dubbio, la diffidenza, con modi e parole abili e sapienti, persuasivi, lusinghevoli oppure maligni, subdoli, indiretti.

Quel “forse” altro non è che la chiave d’ingresso nell’ampia selva della insinuazione.

Ho preso Mozzi ad esempio, poiché con il suo rigore, talvolta anche con la sua pignoleria, mi ha insegnato molto.

Vedere che l’antiberlusconismo e il clima torbido che stiamo vivendo hanno in qualche modo indebolito pure lui, la dice lunga sul travaglio e lo sbandamento che percorrono i nostri tempi.

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Un intervento di Daniela Santanchè. Qui.

“L’Italia, una democrazia?” di Roberto Gervaso. Qui.


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11 Comments

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 30 Novembre 2009 @ 20:54

    Bartolomeo, la tua onestà intellettuale e morale ti fa veramente onore. Emerge tutta da questa pagina sentita, obiettiva e piena di buonsenso. Non ho, né avevo bisogno di queste tue righe, per avere conferma di quanto sopra. Ti conosco quasi da una vita.

    Oggi in Italia c’è una voglia matta di condannare a prescindere, c’è la psicotica ricerca del male ad ogni costo, non si conosce più la pietà, né si crede ad un eventuale pentimento. Ma che concetto si ha dell’uomo? Siamo diventati così aridi e freddi? Dove è finita la carità cristiana e quel senso di umanità che caratterizzava il nostro paese?

    Ebbene sono le persone come te, Bartolomeo, che, nonostante abbastanza avanti negli anni (io sono assai più vecchio di te, compiendo fra pochi giorni settantatré anni!), hanno ancora il coraggio di offrire un contributo di moderazione, di saggezza, di salutare equilibrio. Ed hanno ancora fiducia nell’umanità e nelle mille possibilità del nostro bel Paese.

    Non si crede più che una persona, che pur ha sbagliato, possa chiedere perdono dinanzi a Dio ed agli uomini. Ma che razza di gente siamo diventati?

    Poi ci sono i più beceri disfattisti, che, addirittura, consigliano i figli ad abbandonare il nostro paese, convinti che vi sia il male assoluto. Non dimentico, visto che tu hai fatto riferimento a gente del Sud, quanto ebbe a dire  Camilleri: voleva abbandonare l’Italia, perché governata da Berlusconi, e parlava male del nostro paese, all’estero. Queste persone sono indegne e vanno stigmatizzate come se fossero nemici del nostro popolo e talmente ottusi, da non porsi in modo costruttivo ad offrire la loro intelligente azione, per rendere il paese migliore, anziché denigrarlo ignobilmente.

    Per forza, poi, all’estero, hanno modo di criticare (erroneamente) il nostro Paese! In Inghilterra sono scoppiati scandali da far impallidire. Eppure non ho sentito un Inglese parlare male della sua terra e del suo mondo politico.

    Stiamo vivendo un momento difficilissimo che solo il buonsenso delle persone serie può rendere meno drammatico. E queste, massimamente, andrebbero trovate soprattutto nel mondo della cultura, dello spettacolo, della stampa e della buona politica, quella non faziosa, alla Di Pietro, per intenderci.

    Scusa, Bartolomeo, il mio sfogo, anche un po’ confuso

    Gian Gabriele

     

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 30 Novembre 2009 @ 21:33

    A Camilleri vivere in Italia o in qualsiasi parte del mondo è indifferente. Fossi ricco come lui, invece che andarmene, penserei a fare proposte concrete per migliore il Paese che gli ha dato i natali. Parlarne male e tagliare la corda è troppo facile.

  3. Commento by Ambra Biagioni — 30 Novembre 2009 @ 22:41

    E’ una misera cosa, ma te ne regalo le intenzioni Bart

    http://litaliaelamiapatria-ambra.blogspot.com/

  4. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 30 Novembre 2009 @ 23:07

    Grazie, Ambra, vedo che sei impegnata anche tu a smascherare le ipocrisie.

  5. Commento by Felice Muolo — 1 Dicembre 2009 @ 17:21

    Uno sberleffo  in faccia a chi mangia il pane col sudore della fronte. Per di più consapevole.  

  6. Commento by Ambra Biagioni — 5 Dicembre 2009 @ 17:23

    Ecco l’ultima novità in proposito

    Luiss/ Montezemolo a Celli:Lettera è incoerente con il suo ruolo

  7. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 5 Dicembre 2009 @ 20:48

    Mi pare, Ambra, che sia una non tanto larvata richiesta di dimissioni che il presidente della Luiss, Montezemolo, fa al rettore di quella stessa università, Celli.

  8. Commento by Ambra Biagioni — 5 Dicembre 2009 @ 21:22

    I due personaggi sono più o meno dello stesso peso specifico : usano le parole, ma i fatti ?

  9. Commento by Ambra Biagioni — 6 Dicembre 2009 @ 16:37

    Una lettera raccolta su Libero di oggi

  10. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 6 Dicembre 2009 @ 19:24

    Ambra, la lettera non si legge tutta. Probabilmente una parte si trova in un’altra pagina. Quindi devi fare due link. In questi casi puoi risolvere scrivendo:
    …. una lettera (qui e qui) eccetera. I due link li metti sui due qui.

  11. Commento by Ambra Biagioni — 6 Dicembre 2009 @ 21:31

    Guarda che la lettera è intera, mancava il commento di Mattias Mainiero.

    Ora c’è

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