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PITTURA: I MAESTRI: Constable fra natura e sentimento

26 Maggio 2010

di Robert Hoozee
[Classici dell’arte, Rizzoli, 1979]

Constable non si avvicinò all’arte per tradizione fami ­liare o per ambiente; anzi, lo fece contro di essi. In un primo tempo mostrò solo di esservi inclinato e rivelò una certa abilità nel dipingere e disegnare, dedicandosi a queste attività soltanto nelle ore libere, quando non era impegnato a occuparsi dei mulini paterni; ci volle del re ­sto parecchio tempo prima che quello che era un hobby divenisse una professione. Si deve probabilmente a que ­sta assenza di background il fatto che i primi dieci anni del ­l’attività di Constable ci appaiono piuttosto oscuri, come del resto devono esserlo stati per lui stesso. Il pittore co ­nobbe una quantità di persone che avevano rapporti con il mondo artistico e che si dilettavano essi stessi d’arte: John Dunthorne, idraulico e artista dilettante; John Thomas Smith, pittore di paesaggi; John Cranch, pittore dilettante; Sir George Beaumont, intenditore e collezioni ­sta; George Frost, dilettante e seguace di Gainsborough; il dottor Fisher, più tardi vescovo di Salisbury, e inoltre un certo numero di signore dei dintorni, anch’esse ap ­passionate d’arte. Quando arrivò a Londra per studia ­re alla Royal Academy, gli fu prodigo di consigli Joseph Farington, influente personaggio dell’ambiente artistico cittadino ; sembra inoltre che sia stato abbastanza profon ­damente legato a Ramsey Richard Reinagle, un giovane artista imitatore della scuola olandese. Nel corso dei suoi studi accademici Constable non ebbe modo di apprende ­re granché sulla pittura di paesaggio, ma dedicò molto tempo a letture sull’argomento, nonché a ricopiare gli antichi maestri ogni volta che poteva, soprattutto Claude Lorrain e Jacob van Ruisdael. I pochi dipinti a olio ese ­guiti nell’ultimo scorcio del secolo sono poco più che tentativi, nei quali è possibile riscontrare diversi e spesso contrastanti echi della tradizione.

Constable non tardò ad accorgersi che venendo a Londra aveva fatto una scelta sbagliata e che gli ‘intendi ­tori’ e i colleghi che frequentava non erano quelli che po ­tevano aiutarlo a trovare una “forma” con cui esprimere quanto aveva visto e sentito quando era a casa, nel paese dove era nato. La soluzione era dunque quella di tornare indietro, di cercare di dimenticare tutto quello che erano regole e tradizioni, e assumere la natura quale unica gui ­da. Da una sua famosa lettera, indirizzata a John Dunt ­horne a East Bergholt, apprendiamo che già nel 1802 anni di intensa attività di studio dal vero in loco e di ripe ­tuti tentativi di farsi un nome, a Londra, come pittore di paesaggi. Quando le circostanze lo permettevano, l’ar ­tista trascorreva l’estate e l’autunno nel Suffolk presso i genitori e il resto dell’anno a Londra dove lavorava ai ritratti che gli venivano commissionati, nonché ai pae ­saggi per l’annuale esposizione della Royal Academy, della quale stava cercando di essere eletto membro. Quello di East Bergholt è senz’altro il periodo più inte ­ressante dell’attività di Constable; è infatti in questo mo ­mento che, non solo risulta formato lo stile personale dell’artista, ma vengono contemporaneamente gettate le basi del paesaggio moderno. Dal 1809 e. fino al 1813 Constable lavora per lo più a olio, con un intervallo, fra il 18 13 e il 1814, in cui si dedica in particolare al disegno, riempiendo due piccoli album di innumerevoli paesaggi in miniatura e di particolari. Nei due anni successivi la sua ricerca dal vero sembra invece diminuire d’intensità sia a causa di problemi personali, sia perché era allora impegnato a rifinire numerosi dipinti, ad alcuni dei quali lavorava all’aria aperta. Il periodo di East Bergholt ha il suo svolgimento e il suo termine nel 1817, quando l’ar ­tista trascorre nel Suffolk un’ultima lunga vacanza. In questo periodo acquista un interesse particolare la sua vicenda umana. Nel 1809, infatti, Constable si era inna ­morato di Maria Bicknell, che aveva frequentemente sog ­giornato a East Bergholt, ma la famiglia di lei si oppo ­neva tenacemente al loro legame, data la mancanza di un reddito fisso da parte del pittore e il suo scarsissimo suc ­cesso come paesaggista. L’artista veniva messo in guardia da più parti contro quelle che erano le sue inclinazioni: perché cambiasse professione, perché dipingesse ritratti anziché paesaggi, o facesse questi ultimi ben rifiniti e di tipo tradizionale, invece di quelli che preparava ogni an ­no per le mostre. Questo tipo di osservazioni, nonché l’e ­co di quelle espresse in precedenza dallo stesso artista, si ritrovano nelle parole dello zio, David Pike Watts: “II ti ­more di essere un manierista e il desiderio di essere origi ­nale non ti hanno recato â— a mio modesto avviso â— tutti quei vantaggi che ti eri ripromesso. Per quanto può vale ­re il mio gusto di persona incompetente, semplice e pri ­mitiva […] ho visto piuttosto che sono le opere nello stile più alto, quelle che riscuotono il plauso più ampio del pubblico, dal perfetto intenditore al semplice spettatore” Corr. IV, 28). La situazione era nel complesso tale da sconfortare un artista che, bisogna ricordarlo, comincia ­va proprio allora a sentire che la strada che seguiva era quella giusta; tuttavia, quanto più cresceva l’opposizione nei confronti della sua professione nonché del suo fidan ­zamento, tanto più aumentavano la sua tenacia e la per ­severanza in entrambi, e alla fine vinse.

Non si trattò però di una vittoria facile. Benché le sue convinzioni fossero radicate, mise spesso in dubbio le proprie capacità, divenne melanconico, prese in uggia l’ambiente londinese, desiderando al tempo stesso disperatamente di esservi accolto. Una commovente testimo ­nianza della situazione di Constable in quegli anni si ri ­trova nella corrispondenza con Maria Bicknell; leggen ­dola nasce spontanea la simpatia per l’uomo, mentre si apre uno squarcio prezioso sul complesso insieme di idee, emozioni e circostanze che ne influenzarono la for ­mazione stilistica. Negli otto-nove anni del periodo di East Bergholt, l’artista conquistò appieno il dominio del ­la tecnica e del soggetto; rappresentando gli scenari della sua terra natia da ogni possibile punto di vista e in una enorme quantità di studi, collezionò un’inesauribile do ­cumentazione visiva che utilizzò in seguito per molti di ­pinti. L’aspetto stilistico degli studi muta negli anni, per ­manendo in generale il caratteristico uso dei colori puri e dell’impasto pesante, spesso applicato con tocchi ben di ­stinti. Benché la maggior parte di questi lavori sia compositivamente ancora legata ai modelli tradizionali, ten ­de a narrare la natura legandola al particolare, anziché generalizzarla, ed è qui, assai meglio che nelle annotazio ­ni frammentarie, che il particolare viene esaltato; la na ­tura del Suffolk viene individualizzata in questi studi a un livello del tutto nuovo nella storia dell’arte. Constable non eseguiva semplici schizzi dal vero come gli antichi maestri quali ad esempio Lorrain, ma attuava una pre ­cisa sperimentazione del mezzo pittorico all’aria aperta compiendo un’analisi sistematica di quel particolare a-spetto della natura, in circostanze specifiche sia atmosfe-riche che emozionali (tav. IV-XII). Frattanto, dipingeva ogni anno almeno un quadro di discrete dimensioni per la mostra della Royal Academy, cercando di attuare in queste opere compiute, destinate a essere esposte, una sintesi dell’informazione visiva ottenuta negli schizzi; procedimento certo lungo e difficile. Alcune ‘opere-chia ­ve’, quali Il mulino di Flatford, sono illuminanti in tal senso; si tratta di tele che, nonostante alcuni aspetti tradizionali e sorprendenti carenze, stupiscono per le ca ­ratteristiche insolite, quali la quantità dei particolari os ­servati e la specificità del colore.

Nel 1816 Constable sposò Maria Bicknell e nel 1819 fu finalmente eletto ‘associato’ della Royal Academy, ti ­tolo che normalmente precedeva di poco l’elezione a so ­cio effettivo. Nello stesso anno espose Il cavallo bianco, una tela le cui dimensioni, come riporta il suo bio ­grafo, erano “troppo grandi per passare inosservate”. Era la scoperta di un metodo e di una formula; da allora in poi l’artista cercherà di presentare ogni anno all’acca ­demia una “tela di sei piedi”, il che avvenne regolarmen ­te: i soggetti, tratti dagli schizzi dei primi anni, erano sempre i paesaggi del Suffolk. Le opere venivano messe in mostra alla Royal Academy nella primavera, e se non avevano trovato un acquirente in quell’occasione, veni ­vano nuovamente esposte alla British Institution nel gen ­naio dell’anno successivo. Nello stesso tempo, Constable esegui una serie di dipinti di media grandezza. In questa fase la sua pittura è quella di un professionista tranquillo. che gode di un moderato successo. Nei primi anni a partire dal 1820 esegue i numerosi ritratti che gli ven ­gono commissionati e che egli chiama i suoi ‘lavori’, nonché alcuni dei suoi migliori paesaggi, come Il carro da fieno del 1821 e Veduta sullo Stour del 1822, in cui da prova di saper fondere la capa ­cità di osservazione della realtà, propria dei suoi schiz ­zi, con una accettabile abilità compositiva. Nessuna delle opere soddisfaceva tuttavia appieno l’artista che, anche molto tempo dopo, le ritoccava per perfezionarle.

Per quanto accettato, non incontrava il favore dei cir ­coli accademici; i tradizionalisti, che andavano per la maggiore nell’ambiente londinese, erano infatti restii ad apprezzare un tipo di pittura dal soggetto banale, priva di contenuti “più elevati”. Un dipinto come Il carro da fieno era in tutto e per tutto contrario ai canoni allora vigenti: illustrava un aspetto quotidiano della natura, un’attività di tutti i giorni. Non era una natura roman ­tica, decadente, non aveva nulla di melanconico, ma la descrizione serrata di una natura sana eseguita proprio sotto il dardeggiare del sole. Il tono dominante del co ­lore è il verde, mentre il ciclo è di un bianco freddo, oppure grigio o appena azzurro, senza nessuna delle pit ­toresche tinte autunnali reperibili nella maggior parte dei paesaggi contemporanei, persine in quelli di Turner. E infine tutto questo era ‘non finito’; la superficie dipinta appariva costruita per punti e tocchi di colore.

È fatto noto, ma nondimeno da segnalare, che furo ­no proprio queste caratteristiche a suscitare scalpore a Parigi, quando un certo numero di artisti ebbero modo di vedere d’un tratto con i loro occhi quanto essi stessi in ­consciamente cercavano di ottenere. Nel 1824, quando Il carro da fieno veniva esposto al Salon di Parigi, il realismo era nato. La cosa divise artisti e teorici in due gruppi, creando quel clima polemico che avrebbe permesso il sorgere di nuove teorie ed esperimenti dal fenomeno ben precisato del realismo. Ancora più notevole è il fatto che Constable non sembrò dare molta importanza al succes ­so ottenuto in Francia, e questo per l’ovvia ragione che nei suoi quadri aveva rappresentato l’Inghilterra per gli in ­glesi e perciò desiderava incontrare approvazione nella sua terra e non altrove. Un altro aspetto strano di questo epi ­sodio, è che esso terminò improvvisamente così com’era cominciato; il che è dovuto soprattutto al fatto che i due mercanti che importavano in Francia i dipinti dell’artista interruppero l’attività nel 1826. Benché i dipinti di Con ­stable arrivati in Francia debbano essere stati numerosi, non risulta alcuno stretto rapporto fra essi e gli artisti francesi e neppure che alcuno di questi ultimi abbia mai visto neppure uno schizzo dell’artista inglese, le cui opere rimanevano ben nascoste nel suo studio. E quello che si può definire una storica ‘occasione perduta’, soprattutto perché nel 1824 Constable aveva già concluso il secondo dei suoi rivoluzionari esperimenti, ossia gli studi di Hampstead.

Ad Hampstead, un villaggio a nord di Londra, l’artista soggiornò dal 1819 in poi e vi ebbe una residenza stabile dal 1827. Il territorio circostante, denominato Hampstead Heath, costituì un’alternativa alla regione del Suffolk intorno a East Bergholt, dove l’artista, a par ­tire dal 1816, dopo la morte di entrambi i genitori, sog ­giornava ormai solo per brevi periodi. Fu proprio ad Hampstead, soprattutto nel 1821-22, che Constable ela ­borò il suo metodo di esecuzione degli studi dal vero su una base quasi scientifica e comunque secondo una tec ­nica chiaramente preimpressionistica. Lavorò a un nu ­mero limitato di vedute, spesso nella direzione del lon ­tano villaggio di Harrow, per fermare i mutevoli effetti luminosi del ciclo sul paesaggio sottostante. Tale pun ­tuale osservazione culminò in una serie di studi di nu ­vole, nei quali appare predominante proprio l’aspetto scientifico. Sul verso degli studi l’artista era solito an ­notare le sue osservazioni sulle condizioni del tempo. Si tratta ancora di un’analisi particolareggiata della natura. in cui però, anziché soffermarsi sugli aspetti fisionomici del paesaggio, viene prestata attenzione alla luce, al colo ­re atmosferico, a caratteristiche come l’umidità, la piog ­gia, il movimento, gli scintillii. Solo di rado negli studi di Hampstead vi è un’intenzione strutturale, compositiva; per lo più si tratta di meri frammenti, istantanee di una natura viva. Più ancora di quelli del periodo di East Bergholt, gli studi di Hampstead costituiscono dei ‘piccoli dipinti’ del tutto autonomi, che non richiedono di essere finalizzati a composizioni più vaste (tav. XXX e segg.). La stessa cosa può dirsi per gli studi eseguiti a Brighton dal 1824 in poi. alcuni dei quali rimandano a Boudin, e per quelli di Salisbury del 1820 e del 1829, i più tardi dei quali sono di vena più espressionista. Ciò nonostante l’artista continuò ad elaborare nel suo studio dipinti di grandi dimensioni con più determi ­nazione di prima, senza però fare più riferimento agli studi del primo periodo, almeno a partire dal 1824. Sono dipinti che tendono infatti a riallacciarsi solo indiretta ­mente agli studi dal vero, insistendo enfaticamente sul ­l’azione umana, quasi del tutto assente dagli schizzi. Gli studi di Hampstead vennero utilizzati solo per dipinti fi ­niti di medie dimensioni e, col passare degli anni, l’attivi ­tà in studio non ebbe più alcuna relazione con gli studi dal vero. Nel 1826 si interruppe anche la serie dei sogget ­ti familiari relativi al canale e ai temi d’acqua: già all’ini ­zio degli anni Venti l’impegno dell’artista appare rivol ­to a temi che non gli sono affatto congeniali, come quel ­lo della cerimonia per l’apertura del ponte di Waterloo. L’artista cominciò a riprendere composizioni precedenti, come La valle di Dedham nel 1828, o se ne distac ­cava completamente come in Marine Parade e Chain Pier a Brighton, un’evidente concessione alla richie ­sta di soggetti marinari da parte del pubblico, oppure Il castello di Hadleigh e Helmingham Dell, del tutto in linea con la moda del culto per le rovine, nonché col romantico trasporto per i boschi. Da un punto di vista stilistico i grandi dipinti del 1825-30 mostrano l’uso crescente di una tecnica particolare, in cui la struttura è data da piccoli elementi di colore, che tendono a una fusione ottica. L’artista faceva sempre più uso della spa ­tola, stendendo la materia pittorica su una superficie ine ­guale cui essa si attaccava solo parzialmente, creando cosi ricchi effetti di colori giustapposti. Per aumentare la bril ­lantezza e la lucentezza e fornire quasi l’illusione dell’u ­midità atmosferica, cominciò a lavorare sulla tela con la biacca pura, applicata a grandi pennellate, in un modo assai vicino a quello praticato a suo tempo da Rubens, anche se più sistematicamente e a un livello eccessivo. Constable denominò questo effetto “la sua rugiada”; i critici parlarono allora di “calcinatura”, e oggi lo si indi ­ca generalmente come la “neve di Constable”. L’aspetto non-finito della sua pittura, la crescente predominanza dei blu e dei gialli in luogo del verde, nonché la com ­parsa delle lumeggiature bianche, fecero sì che l’artista perdesse gradualmente la popolarità di cui aveva goduto grazie ai grandi paesaggi precedenti. La valle di Dedham del 1828 e Il castello di Hadleigh del 1829 esemplificano la sua tecnica proprio subito prima che diventasse una vera e propria ‘maniera’, cioè quello che egli aveva sempre te ­muto.

Nel 1829 Constable fu finalmente eletto membro del ­la Rovai Academy. Ma proprio allora morì sua moglie e il mondo intero parve crollargli addosso, come possia ­mo arguire dalle sue lettere. Una profonda disillusione nei confronti del mondo artistico inglese e la consape ­volezza di aver fallito nel suo tentativo di sfondare, con ­tribuirono a deprimere la sua natura già melanconica e inasprirono il suo antagonismo nei confronti del mondo accademico fino a farlo divenire vera e propria ostilità. Nel 1829, l’anno del suo riconoscimento ufficiale, Con ­stable era un uomo ricco, grazie a un’eredità, ma era anche un vedovo con ben sette figli a carico, il più piccolo dei quali aveva solo un anno; la sua salute era in declino e, benché avesse una clientela fissa e una piccola cerchia di ammiratori, alla fine era soverchiato da sentimenti di in ­gratitudine e disappunto.

Proprio in coincidenza con questo momento critico egli tentò per l’ultima volta di sfondare con il suo ‘vange ­lo della natura’ e diede l’avvio alla pubblicazione delle mezzetinte incise da David Lucas sulla base delle sue ope ­re. Il lavoro per English Landscape iniziò nel 1829, ma con l’andar del tempo apparve chiaro che l’opera era stata condannata fin dall’inizio. Niente successo, impiego di de ­naro e di una quantità di tempo con risultati che non ave ­vano soddisfatto neppure l’artista stesso.

Considerati tutti questi elementi, non stupisce affatto che, a partire dal 1830 in poi, non solo la produzione di Constable diminuisca quantitativamente, ma si attenui an ­che la vitalità della sua arte. In questo periodo, forse per ­ché costretto più spesso in casa, l’artista non eseguì più studi a olio dal vero, ma al contrario disegnò molto e parve riscoprire la tecnica dell’acquerello. Alcuni dei suoi ultimi più validi lavori sono veloci schizzi ad acquerello, tanto che nel 1834 e nel 1836 ne espose anche di estremamente raffinati alla Royal Academy. I loro soggetti â— Old Sarum e Stonehenge, fra i più alla moda di quei tempi â— dimo ­strano quanto l’artista si fosse allontanato dalle sue in ­tenzioni originarie nelle opere esposte. Fino alla morte continuò a eseguire dipinti a olio di grandi dimensioni; il suo ultimo, vero capolavoro, La cattedrale di Salisbury vi ­sta dai campi, è del 1831, ma stilisticamente e spiritualmente il divario fra questo e dipinti del suo pe ­riodo di mezzo come Il carro da fieno, è enorme. Dalla “semplice rappresentazione della natura” l’artista è ap ­prodato a un’artificiosità carica di simboli e di toni tragi ­ci che ricorda gli ultimi lavori di Jacob van Ruisdael. Da un punto di vista tecnico, ha finito con lo sviluppare una sorta di manierismo dove tutto il vigore e la semplicità delle prime opere sono stati sostituiti da un tipo di com ­posizione sofisticata e complessa in cui l’elemento atmo ­sferico riveste carattere di eccezionalità piuttosto che di naturalezza. Si tratta tuttavia di una tela importante, che in un certo senso opera una sintesi drammatica dell’inte ­ra esperienza emozionale dell’artista.

Negli ultimi lavori Constable non raggiungerà più il livello qualitativo della Cattedrale di Salisbury vista dai cam ­pi. Basterà dire che alla fine, in opere come La fattoria della valle e Il cenotafio, il processo di deviazione dal naturalismo del suo periodo centrale è portato all’estremo, tant’è vero che la natura è ora ritrat ­ta in uno stile pittoresco, dove il colore locale è sostituito da tonalità di marrone in modo tale che fu avanzata persino l’ipotesi che l’artista soffrisse di un disturbo alla vista; il tocco ha perso vigore e ricchezza, ed è diventato piutto ­sto confuso, debole e stanco.

Accanto alle ultime opere destinate alle esposizioni, l’artista eseguì nel suo studio un certo numero di schizzi a olio piccoli e grandi, in cui l’uso della materia pittorica appare quasi incontrollato, ma pieno di forza, e di gusto quasi astratto-espressionista; il blu scuro, il giallo e il bianco â— di cui aveva cominciato a servirsi di preferenza nello studio full scale per la Veduta sullo Stour nel 1822 â— tendono ora a un cromatismo assai buio, quasi monocromo. Sono questi lavori, insieme agli ultimi e-sperimenti ad acquerello e seppia, a delineare l’ultima fase di creatività dell’artista. È da notare che in tutte que ­ste opere egli ripete esclusivamente i temi del periodo di East Bergholt, e ancora che colui che si era fatto promo ­tore del colore naturale, locale, alla fine della sua vita fu incline ad esprimersi per lo più in bianco e nero.

Da questo breve esame apparirà chiaro che l’arte di Constable fu tutt’altro che semplice, come si è spesso as ­serito, e che la sua attività non ebbe uno svolgimento lineare. Egli non era certo un semplice gentiluomo di campagna che produceva tranquillamente una serie di fedeli rappresentazioni della natura; o, piuttosto, lo era, ma l’esserlo era estremamente difficile e problematico. Il suo programma era semplice e ben definito: dipingere la natura esattamente quale gli appariva e, di essa, solo quanto capiva e riusciva a collegare. Un programma che oggi può apparire del tutto normale, ma che all’inizio del XIX secolo risultava ‘fuori della norma’ o, per usare un’espressione tratta dalla storia, ‘rivoluzionario’. La sua visione contrastava con la maggior parte dei canoni arti ­stici dell’epoca, e a Londra, dove non esistevano affatto circoli artistici e letterari d’avanguardia, Constable do ­vette portare avanti le sue idee in perfetto isolamento. Considerati quindi la mancanza di stimoli e il carattere precoce dei suoi esperimenti, non ci possiamo sorpren ­dere per certe timidezze e confusioni del suo realismo, né per il fallimento finale delle sue primitive intenzioni. Il carattere problematico della sua opera traspare anche dagli scritti, nei quali i costanti riferimenti pratico-teorici non mancano di indicarlo appunto come un uomo sem ­pre attento alla sua arte, al suo posto nella storia, e che metteva sempre in questione quello che stava facendo. Di conseguenza, la maggior parte delle sue opere â— disegni e dipinti â— devono essere viste come elementi di un proce ­dimento sperimentale, come singole prove. Che egli ab ­bia o meno fallito a un certo punto è rilevabile da una quantità di elementi : l’aumentare del divario fra la prati ­ca della ricerca dal vero e l’elaborazione in studio, l’arti ­ficiosità crescente dei suoi dipinti di grandi dimensioni, la cui organizzazione compositiva appare difficoltosa, co ­me si deduce dalle sue lettere e dal fatto che spesso li ritoccava. Estremamente problematico è anche il feno ­meno degli studi cosiddetti full scale; si tratta di schizzi di grandi dimensioni, della stessa misura e presumibilmen ­te dello stesso periodo di esecuzione dei dipinti finiti, la cui precisa funzione non è affatto chiara, sembrando essi più che studi preparatori, delle soluzioni alternative, quasi che l’artista scindesse la finalità delle sue opere en ­tro due possibilità, escludentisi reciprocamente. La pro ­blematica centrale della sua opera è perciò questa; con ­scio che il modo tradizionale di rappresentare la natura non era più valido, cominciò a eseguire studi frammen-tari dei suoi aspetti particolari, sviluppando in tal modo un nuovo codice pittorico, in cui la suggestione dinamica era predominante sugli aspetti compositivi e in cui il co ­lore e la tecnica si affrancavano gradualmente dagli sche ­mi della rappresentazione. Dall’altro lato, non essendo appagato da questa resa frammentaria e disorganizzata della realtà, tentò di comporre una sintesi delle sue im ­pressioni iniziali in opere di più ampio respiro; in tal senso pubblico e tradizione esercitarono su di lui un’in ­fluenza costrittiva, per cui l’artista si estenuò nel tentativo di comporre e generalizzare una realtà che, come lui stes ­so aveva sperimentato nei suoi schizzi, era irriducibile a tale tipo di sintesi e di composizione finale. L’aver cerca ­to di attuare questo proposito non fu una pura conces ­sione al pubblico, come si è sostenuto; il pubblico giocò sì un ruolo importante, ma vi ebbe molta parte anche â— in contrasto con ogni modernità â— il rispetto, in lui pro ­fondamente radicato, per la tradizione e i valori ideali rappresentati da uomini come Sir Joshua Reynolds.

Un analogo dilemma si ritrova nell’opera del mag ­giore contemporaneo di Constable: Eugène Delacroix. Entrambi gli artisti non abbandonarono mai il tentativo di comporre, come disse Delacroix, “la verità con l’idea ­le”, tendendo verso “un’arte moderna e al tempo stesso classica”, una contraddizione in termini, e certo un obiettivo irraggiungibile dal punto in cui Constable era arrivato con i suoi schizzi e le sue considerazioni. Del re ­sto essere coinvolti in questo problema e cercare di risol ­verlo era compito storico inevitabile per personaggi della portata di Delacroix e di Constable; non solo dalla loro lotta sono sortiti alcuni capolavori indiscutibili nei quali il vecchio e il nuovo coesistono, ma la loro opera, consi ­derata come un raggiungimento artistico vero e proprio, contiene ben chiari gli antecedenti della futura rivolu ­zione pittorica mondiale. La critica precedente ha consi ­derato il carattere problematico dell’opera di Constable senza tuttavia esaminarlo a fondo .o con modalità che im ­plicavano già una scelta. C’è stato un periodo in cui solo gli schizzi erano considerati rappresentativi della sua vera arte, mentre il resto era ritenuto “il suo aspetto pubbli ­co”. Rigettata tale semplificazione si è ritornati a apprez ­zare le qualità estetiche della maggior parte delle opere finite dell’artista, sebbene sussista ora il pericolo di tra ­scurarne del tutto l’aspetto problematico. Ciò nonostan ­te è importante che vi sia stato un superamento del ri ­fiuto delle opere finite e che si sia imparato ad ammi ­rare le sue vedute più elaborate del Suffolk e di Hampstead accanto ai lavori più am ­biziosi quali Il mulino di Flatford e Il carro da fieno. Opere come queste ci permettono di guardare alla natura quasi con occhi del XIX secolo; occhi pieni di ammirazione, con una sensibilità particolare per le qualità pittoriche dei dettagli della realtà: un sentiero che si snoda nella sabbia, la luce del sole sulle foglie bagnate, scintillii e ombre, luci mutevoli nel ciclo e in un incanto di giochi sulla terra, vegetazione e acque, legno, mattoni e pietre. Questo è l’altro aspetto dell’importanza storica fonda ­mentale di Constable, la cui sensibilità e abilità nell’e-sprimere la complessità materiale della natura costitui ­scono un caso unico nella storia dell’arte; in quest’ottica egli fu il vero continuatore dell’arte paesaggistica di Rubens, più che degli olandesi. Con la sua capacità di ab ­bandonarsi con il cuore, gli occhi e le mani alla perce ­zione ottica e sensoria, poté riempire una tela con un’e ­strema ricchezza di complesse annotazioni, come nessun altro dopo di lui. E in opere come queste non c’è dub ­bio che Constable sia riuscito in ciò che si era proposto di dipingere: “luce, rugiade, brezze, fioritura e freschezza: nessuna di queste cose è stata ancora resa alla perfezione sulla tela da nessun artista al mondo”.


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Bart