PITTURA: I MAESTRI: È morto Mark Rothko6 Dicembre 2018 di Dino Buzzati Nuova York, 26 febbraio. Mark Rothko, uno dei maggiori artisti d’America, è stato trovato morto ieri sera nel suo studio, le vene dei polsi tagliate. Aveva 66 anni. Si è tolta la vita dopo un periodo di penosa de pressione susseguente a un infarto. La polizia ha con fermato che si tratta di suicidio. Lascia la vedova, Mary Alice Beisle, che aveva sposato nel 1945, e due figli, Kate e Christopher. Mark Rothko, nato nel 1903 a Dvinsk, in Russia, e portato dai genitori in Ame rica nel 1913, è, tra i pittori non figurativi, uno di coloro che sono riusciti ad an dare più avanti nell’am bizioso assunto dell’arte astratta, che è di dire tut to, o per lo meno di dire grandi cose, senza pronun ciare alcuna parola intelli gibile; di fare cioè con i co lori quello che il musicista fa con le note. Fino al 1939 fece dei quadri figura tivi espressionisti. Dopodi ché le immagini leggibili scomparvero a poco a poco dalle sue tele. E da allora fu considerato come uno dei più forti temperamenti del gruppo, in realtà eteroge neo, definito nelle cronache dell’arte « espressionismo astratto » americano (agli inizi degli anni Quaranta vi appartennero, tra gli al tri, Pollock, che poi doveva diventare pioniere dell’ac tion painting, Gottlieb, Gorky, Motherwell, Clyfford Stili, Barnett Newman). Perché « espressionismo a- stratto »? Espressionismo, ovviamente, sta sull’opposta sponda dell’impressionismo, il quale cerca di restituire nel quadro le sollecitazioni del mondo esterno; mentre gli espressionisti intendono appunto esprimere ciò che è dentro di loro. Trattan dosi di arte senza un sog getto praticamente ricono scibile, è evidente che que ste definizioni riescono ol tremodo vaghe e opinabili, tant’è vero che Michel Tapié registrava Rothko tra i maestri dell’art autre che hanno dato « un significato all’informale ». Insieme con Adolph Gottlieb, Rothko, verso il 1940, era affascinato dal simbolismo classico e dagli antichi miti indiani. Una specie di manifesto, in risposta al critico E. A. Jewell, scritto che rispecchia va le idee di Rothko, New- man e Gottlieb, diceva tra l’altro: « E’ un concetto ac cettato tra i pittori che non importa ciò che uno dipin ge, purché lo faccia bene. Questa è l’essenza dell’acca demismo. Ma non esiste un buon dipinto del nulla. Noi affermiamo che il soggetto è d’importanza decisiva e che è valido solo quel sog getto che è tragico ed eter no. Ecco perché esprimiamo la nostra affinità spiri tuale con l’arte primitiva e arcaica ». Come quasi sem pre, bellissime idee che poi venivano dimenticate nel l’ardore dell’opera. E non esiste un riconoscibile « sog getto » nei quadri di Rothko, per lo più molto grandi, che negli anni Cinquanta gli hanno dato giusta fama e che da alcuni volonterosi sono paragonati alle antiche icone della sua patria. Ecco, ad esempio, un grande ret tangolo rosso, messo all’impiedi, nella cui parte supe riore campeggia, messo orizzontalmente, un rettan golo più piccolo giallo, dai contorni non precisi, fluidi anzi e sfumati come quelli di una nube. Tutto qui. Ma la genialità consiste nel la singolarissima vibrazione delle due superfici, rossa e gialla, le quali non sono precisamente uniformi ma paiono trovarsi allo stato di ardente fusione ed emana no un accordo musicale profondo che non cessa di risuonare fin che si contem pla il dipinto. Qui ho citato il rosso e il giallo. Ma i co lori di Rothko sono svariatissimi e, sullo sfondo, le apparizioni dei magici ret tangoli levitanti sono spes so più d’una. Ne deriva, al meno nelle opere più felici, un sentimento solenne e contemplativo, un sereno seppure malinconico appa gamento dei sensi e dello spirito che la forza irra diante dei colori (qui il se greto di Rothko) non lascia svanire neppure dopo una prolungata coabitazione. A proposito della sua arte un giorno scrisse: « Un qua dro vive per una relazione di amicizia, espandendosi e acclerandosi negli occhi di un osservatore sensibile. Muore per il motivo oppo sto. E’ quindi sempre un at to rischioso mandarlo fuori, in giro per il mondo. Oh, quanto spesso dovrà essere ferito dagli occhi dell’in sensibilità e della crudeltà degli impotenti che vi sten deranno sopra la loro af flizione universale! ». Era piccolo, calvo, gras soccio, con gli occhiali. Per realizzare i suoi grandi qua dri â— ce ne sono di otto metri per quattro â— aveva scelto come studio una ex palestra di pallacanestro nella Bowery. Attaccava le tele alle pareti con chiodi e puntine e, una volta termi nate, le arrotolava come immensi sigari, infilandoli in speciali contenitori. Ebreo russo, non aveva mai voluto mandare sue opere in Germania e perciò il suo nome non è mai fi gurato ai « Documenta » di Kassel. Famosi i suoi di pinti che originariamente dovevano servire a decorare il ristorante delle Quattro Stagioni, a Nuova York, e che invece presero, di espo sizione in esposizione, le vie del mondo. Splendidi Roth ko, qui in Italia, si trovano nella collezione del conte Giuseppe Panza di Biumo, a Varese, e di Luciano Pomini, a Castellanza. Le ultime quotazioni, sul merca to internazionale, oscillava no, a seconda delle dimen sioni e dell’epoca dei dipin ti. dai dieci ai trenta mi lioni di lire. (d. b.)
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