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PITTURA: I MAESTRI: È morto Mark Rothko

6 Dicembre 2018

di Dino Buzzati
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 27 febbraio 1970]

Nuova York, 26 febbraio.

Mark Rothko, uno dei maggiori artisti d’America, è stato trovato morto ieri sera nel suo studio, le vene dei polsi tagliate. Aveva 66 anni. Si è tolta la vita dopo un periodo di penosa de ­pressione susseguente a un infarto. La polizia ha con ­fermato che si tratta di suicidio.

Lascia la vedova, Mary Alice Beisle, che aveva sposato nel 1945, e due figli, Kate e Christopher.

Mark Rothko, nato nel 1903 a Dvinsk, in Russia, e portato dai genitori in Ame ­rica nel 1913, è, tra i pittori non figurativi, uno di coloro che sono riusciti ad an ­dare più avanti nell’am ­bizioso assunto dell’arte astratta, che è di dire tut ­to, o per lo meno di dire grandi cose, senza pronun ­ciare alcuna parola intelli ­gibile; di fare cioè con i co ­lori quello che il musicista fa con le note. Fino al 1939 fece dei quadri figura ­tivi espressionisti. Dopodi ­ché le immagini leggibili scomparvero a poco a poco dalle sue tele. E da allora fu considerato come uno dei più forti temperamenti del gruppo, in realtà eteroge ­neo, definito nelle cronache dell’arte « espressionismo astratto » americano (agli inizi degli anni Quaranta vi appartennero, tra gli al ­tri, Pollock, che poi doveva diventare pioniere dell’ac ­tion painting, Gottlieb, Gorky, Motherwell, Clyfford Stili, Barnett Newman). Perché « espressionismo a- stratto »? Espressionismo, ovviamente, sta sull’opposta sponda dell’impressionismo, il quale cerca di restituire nel quadro le sollecitazioni del mondo esterno; mentre gli espressionisti intendono appunto esprimere ciò che è dentro di loro. Trattan ­dosi di arte senza un sog ­getto praticamente ricono ­scibile, è evidente che que ­ste definizioni riescono ol ­tremodo vaghe e opinabili, tant’è vero che Michel Tapié registrava Rothko tra i maestri dell’art autre che hanno dato « un significato all’informale ». Insieme con Adolph Gottlieb, Rothko, verso il 1940, era affascinato dal simbolismo classico e dagli antichi miti indiani. Una specie di manifesto, in risposta al critico E. A. Jewell, scritto che rispecchia ­va le idee di Rothko, New- man e Gottlieb, diceva tra l’altro: « E’ un concetto ac ­cettato tra i pittori che non importa ciò che uno dipin ­ge, purché lo faccia bene. Questa è l’essenza dell’acca ­demismo. Ma non esiste un buon dipinto del nulla. Noi affermiamo che il soggetto è d’importanza decisiva e che è valido solo quel sog ­getto che è tragico ed eter ­no. Ecco perché esprimiamo la nostra affinità spiri ­tuale con l’arte primitiva e arcaica ». Come quasi sem ­pre, bellissime idee che poi venivano dimenticate nel ­l’ardore dell’opera. E non esiste un riconoscibile « sog ­getto » nei quadri di Rothko, per lo più molto grandi, che negli anni Cinquanta gli hanno dato giusta fama e che da alcuni volonterosi sono paragonati alle antiche icone della sua patria. Ecco, ad esempio, un grande ret ­tangolo rosso, messo all’impiedi, nella cui parte supe ­riore campeggia, messo orizzontalmente, un rettan ­golo più piccolo giallo, dai contorni non precisi, fluidi anzi e sfumati come quelli di una nube. Tutto qui. Ma la genialità consiste nel ­la singolarissima vibrazione delle due superfici, rossa e gialla, le quali non sono precisamente uniformi ma paiono trovarsi allo stato di ardente fusione ed emana ­no un accordo musicale profondo che non cessa di risuonare fin che si contem ­pla il dipinto. Qui ho citato il rosso e il giallo. Ma i co ­lori di Rothko sono svariatissimi e, sullo sfondo, le apparizioni dei magici ret ­tangoli levitanti sono spes ­so più d’una. Ne deriva, al ­meno nelle opere più felici, un sentimento solenne e contemplativo, un sereno seppure malinconico appa ­gamento dei sensi e dello spirito che la forza irra ­diante dei colori (qui il se ­greto di Rothko) non lascia svanire neppure dopo una prolungata coabitazione.

A proposito della sua arte un giorno scrisse: « Un qua ­dro vive per una relazione di amicizia, espandendosi e acclerandosi negli occhi di un osservatore sensibile. Muore per il motivo oppo ­sto. E’ quindi sempre un at ­to rischioso mandarlo fuori, in giro per il mondo. Oh, quanto spesso dovrà essere ferito dagli occhi dell’in ­sensibilità e della crudeltà degli impotenti che vi sten ­deranno sopra la loro af ­flizione universale! ».

Era piccolo, calvo, gras ­soccio, con gli occhiali. Per realizzare i suoi grandi qua ­dri â— ce ne sono di otto metri per quattro â— aveva scelto come studio una ex ­palestra di pallacanestro nella Bowery. Attaccava le tele alle pareti con chiodi e puntine e, una volta termi ­nate, le arrotolava come immensi sigari, infilandoli in speciali contenitori.

Ebreo russo, non aveva mai voluto mandare sue opere in Germania e perciò il suo nome non è mai fi ­gurato ai « Documenta » di Kassel. Famosi i suoi di ­pinti che originariamente dovevano servire a decorare il ristorante delle Quattro Stagioni, a Nuova York, e che invece presero, di espo ­sizione in esposizione, le vie del mondo. Splendidi Roth ­ko, qui in Italia, si trovano nella collezione del conte Giuseppe Panza di Biumo, a Varese, e di Luciano Pomini, a Castellanza. Le ultime quotazioni, sul merca ­to internazionale, oscillava ­no, a seconda delle dimen ­sioni e dell’epoca dei dipin ­ti. dai dieci ai trenta mi ­lioni di lire.

(d. b.)

 

 


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