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PITTURA: I MAESTRI: Ensor resiste

8 Ottobre 2014

di Guido Ballo
[dal “Corriere della Sera”, domenica 1 marzo 1970]

Anversa, febbraio.

Da quando, molti anni fa, vidi a Londra il Ritrat ­to dei coniugi Arnolfini, Van Eyck mi ha affascinato nel modo più profondo: e anco ­ra, oggi, visitando i musei di Anversa e di Bruxelles, un piccolo quadro di Van Eyck, Santa Barbara, quasi un di ­segno, mi ha colpito più dei quadri anche vasti di altri pittori: per le pause, il si ­lenzio, il ritmo segreto di origine gotica, la forza dei contenuti che sa definirsi in invenzione fantastica.

Certamente esiste per noi, in questa civiltà del consu ­mo, un particolare richiamo dei pittori del medioevo, det ­ti primitivi (nascondono in ­vece una cultura internazio ­nale molto complessa): la loro purezza si attua in genere con necessità di poesia tutta interna.

Credo anzi che sia giunto il momento di riguardare in modo nuovo Il gusto dei pri ­mitivi di Lionello Venturi: si tratterà di studiare anche le premesse sociali, psichiche nelle civiltà più unitarie, dei « primitivi », e non fer ­marsi al semplice gusto.

Oltre Van Eyck, altri qua ­dri di pittori quasi scono ­sciuti â— per esempio del Maestro di Flémalle, vissuto nella prima metà del ‘400 â— e di vari altri anonimi s’im ­pongono per la limpidezza espressiva, tutta interiore: l’analisi dell’aggetto figura ­tivo tende nei fiamminghi ad alludere, a suggerire, ma con una segreta costruzione rit ­mica.

Anche le opere di Roger van der Weyden, di Brueghel il Vecchio e, tra i mo ­derni, di Ensor, in modi di ­versi sanno comunicare que ­sta presenza viva dei « con ­tenuti »: questa necessità in ­terna della parola, risolta in visione. La loro poesia na ­sce dal valore dei silenzi, che portano l’analisi, a pri ­ma vista anche minuziosa, a una sintesi larga, a una co ­struzione che non risulta mai evidente. Rubens no, è diverso: nessuno può mette ­re in dubbio la bravura di questo pittore dal respiro ampio; ma Rubens non giun ­ge a una parola poetica così profonda, cosi segreta; la sua sensualità fa vibrare le car ­ni, muove la composizione in modo nuovo, ma l’effetto resta più esterno. Non arri ­va all’arte come « presenza » di risonanza interiore.

Di Permeke, tra i pittori del nostro secolo, avevo am ­mirato qualche paesaggio al ­lucinante, per la vastità de ­gli spazi: qui, al museo di Anversa, le sue figure rive ­lano un po’ troppo la ten ­denza al monumentale, ra ­sentano un atteggiamento de ­clamatorio. Ensor invece re ­siste bene al confronto coi pittori della più alta tradi ­zione fiamminga: ne diventa anzi un ultimo, chiaro mo ­mento, aperto già verso gli inquietanti contrasti del mondo di oggi.

Strana avventura, questa di Ensor: ormai possiamo ammirarlo tutti, perché ap ­pare di facile lettura dopo tanti altri linguaggi nuovi, su cui egli stesso ha influi ­to: specialmente dopo l’e ­spressionismo e i fauves. Ma durante gli anni della sua produzione più intensa era sempre «rifiutato »: non soltanto non gli acquistava ­no le opere, ma non voleva ­no esporle neanche i pittori del gruppo dei « Venti », una secessione belga fondata pro ­prio da Ensor. Oggi queste sue opere « rifiutate » sono contese da tutti i musei del mondo, per mostre cicliche. E’ anche vero che nella tar ­da maturità ebbe onori e stima, perfino un monumen ­to mentre era vivo: ma or ­mai la sua vena si era, con amarezza, smorzata.

Era un solitario, caustico, visionario, ribelle (non volle frequentare scuole regolari, assecondato, in questo, dal padre e dalla madre), pronto ad esaltarsi per gli spettaco ­li di piccole cose in sordina, che ingigantivano ai suoi oc ­chi allucinati.

Fin dalla fanciullezza il negozio a Ostenda della ma ­dre, con maschere, ricordi per turisti, oggetti esotici, e il mare aperto, in un’atmo ­sfera carica di salsedine e di incombenti tempeste, incido ­no sulla sua fantasia emoti ­va: senza che egli senta la necessità di muoversi real ­mente, di viaggiare per il mondo, penetra così nei se ­greti dell’esistenza, compie avventurosi viaggi verso l’in ­terno.

Il clima simbolista lo at ­trae subito, per questo suo bisogno di richiami interiori, di stati d’animo, di atmosfe ­re sospese, assorte: ma assi ­mila la dissociazione dei co ­lori dell’impressionismo, con libertà espressiva. Anche nel periodo in cui usa bruni e grigi incupiti, con pochi co ­lori più sonori â— come ri ­velano Meriggio a Ostenda (1881) o La mangiatrice di ostriche, più luminoso â— si rivela pittore largo.

Ma la sua tavolozza si ac ­cende presto di un cromati ­smo esaltato nella tensione espressiva: il quadro più va ­sto, rispondente all’indole vi ­sionaria dì Ensor, è L’entrata di Cristo a Bruxelles, di ­pinto nel 1888, oggi su una ampia parete del Museo di Anversa. Nuoce al respiro sintonico la prospettiva an ­cora tradizionale, che rende la folla minuziosa: ma, an ­che se alcuni particolari ri ­velano una fattura un po’ af ­frettata, nell’insieme s’impo ­ne come «presenza » carica di espressività tutta interna, suggerita dai colori vivissi ­mi â— rossi, bianchi, verdi, neri â— dal grottesco delle maschere, da tutta un’aria di tregenda, ai limiti della morte, ma con tesa vitalità.

Questa idea della morte, e della colpa umana, si trova in molte altre immagini: L’intrigo, esposto vicino al- l’Entrata di Cristo, si rivela tra i dipinti più calibrati e più allucinanti di Ensor; le maschere acquistano, nei co ­lori accesi, una presenza tat ­tile, e portano l’inquietudine simbolista alla condanna so ­ciale che sarà sviluppata dagli espressionisti. Il segno pittorico di Ensor, ca ­rico di tensione, mentre non rinunzia al racconto, finisce così col rivelarsi sempre più aggressivo, assoluto, quasi fosse autonomo da ogni rap ­presentazione. E’ il valore del messaggio di questo in ­quieto pittore, che a diffe ­renza di altri simbolisti non rinunziò mai alla concretez ­za dei puri mezzi visivi: come nella migliore tradi ­zione fiamminga.


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Bart