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PITTURA: I MAESTRI: Il gobbo delle chiese

8 Dicembre 2018

di Michel Conil Lacoste
[dal “Corriere della Sera”, domenica 15 marzo 1970]

Parigi, marzo.

La dignità dell’architettura religiosa ha sempre atti ­rato l’interesse dei pittori, ma il più sovente, soprattutto du ­rante il medio evo, è stata usata come decorazione attor ­no a un’immagine santa. E quando la Chiesa o l’abbazia erano il solo soggetto, la dignità stava nello spirito del rilievo architettonico o del ­l’abbozzo documentale. Tale è, per esempio, il caso di J. B. Lallemand che, nel suo Viaggio pittoresco in Fran ­cia (1784), ci ha lasciato tut ­ta una serie di incisioni oggi preziose della chiesa gotica di Cluny, demolita all’inizio del XIX secolo.

Un altro pensiero anima Pieter Saenredam (1597-1665), il pittore delle chiese, l’inte ­ressante artigiano gobbo di Haarlem, al quale l’Istituto neerlandese di Parigi dedica una notevole mostra. Per que ­sto figlio di incisore che la probità artigianale non pri ­vava del senso del mistero, l’architettura religiosa ha la dignità di un oggetto pitto ­rico in sé. Essa comporta al ­trettanta meticolosità di fat ­tura e abilità nell’applicazio ­ne delle velature, quanto una immagine, un paesaggio o una natura morta. Forse la sfor ­tuna fisica di questo figlio d’incisore (soffriva di una malformazione vertebrale) ha contribuito ad orientarlo ver ­so modelli che non gli creas ­sero complessi di inferiorità: il mondo inanimato, ma tal ­mente imponente, pietra e chiese, il più delle volte viste dall’interno. In fondo ancora l’uomo: ma concepito in una dimensione che eguaglia tut ­te le gobbe o, se si preferisce, che piega tutte le schiene.

Spogliato all’estremo, lo stile di Saenredam non si in ­gombra di superfluo: trascu ­ra le panche, gli inginocchia ­toi e gli altri accessori di culto, ama la nudità dal ma ­stice alla calce con il quale la severa Riforma ha rico ­perto gli affreschi di San ­ta Maria d’Utrecht. A fati ­ca l’artista ammette, sulle colonne, o sugli archi delle volte, la delicata sovrimpres ­sione di un lampadario. Al ­cuni personaggi, relegati al fondo della navata, più pas ­santi che devoti, sono raffi ­gurati unicamente per dare l’idea delle proporzioni. Al ­cune di queste comparse sa ­rebbero anche, è stato detto, opera dell’amico Pieter Post, pittore e soprattutto archi ­tetto, che ad Haarlem, dove Saenredam si stabilì da gio ­vane, lo consigliò, all’inizio della carriera.

Ma Saenredam non si ac ­contenta di vuotare l’archi ­tettura, spesso la semplifica, la mette a nudo senza tradir ­la. Ce ne accorgiamo confron ­tando, quando è possibile, la pittura al

disegno preparato ­rio, come nel caso della chie ­sa capitolare San Giovanni d’Utrecht: fra il disegno mol ­to «scavato » (penna e ac ­querello, 1636) e la tela (una delle più belle pitture qui esposte), alcuni dettagli di struttura e d’ornamento scom ­paiono. Questo spoglio non esclude, tuttavia, la precisio ­ne. L’accento è messo sulle prospettive del lastricato, di un tracciato idealmente ret ­tilineo e sull’appiombo delle alte colonne cilindriche, mas ­sicce, quasi forzatamente af ­fondate nel suolo (San Bavonne di Haarlem) o, al con ­trario, tutte a nervature (an ­tica cattedrale San Martino di Utrecht). Saenredam si in ­teressa al lancio delle ogive, al gioco fuggente delle arca ­te, alla fuga ritmica delle volte, la cui divisione in scom ­parti gotici, vista di scorcio, determina settori barocchi che farebbero pensare agli alveoli dei portici persiani.

Questa sicurezza dà auto ­rità alla maggior parte dei 18 dipinti (su 55 conosciuti) e dei 50 disegni (su 140) che gli organizzatori sono riusci ­ti a riunire. Ovunque il ri ­gore del topografo, unito alla impersonalità dei grigi, delle ocre e dei marroni, l’osses ­sione del punto di vista sfug ­gente, la libertà lasciata al ­l’uomo (prete, sacrestano o fedele) ed ai suoi doveri, creano un clima d’irrealtà tale da imparentare Saen ­redam con una certa pro ­spettiva metafisica del tutto in accordo con la sensibili ­tà di oggi. Si è parlato a ra ­gion veduta â— anche se for ­se un po’ affrettatamente â— di Mondrian. E’ vero che in entrambi c’è il gusto della geometria, molta Olanda e il piacere per il lavoro ben fatto, sia nella costruzione, sia nell’intarsio. Ma è senza dubbio più significativo che Vieira da Silva, in occasione della sua recente retrospetti ­va, ci abbia fatto vedere un Omaggio a Saenredam e che altri artisti contemporanei si rifacciano al pittore di Haar ­lem.

Come Vermeer, come Geor ­ges de La Tour, ecco anche Saenredam « recuperato » at ­traverso lo spirito moderno. Non è né il primo, né l’ul ­timo dei grandi artisti che bisogna riscoprire, a diversi secoli di distanza, per un nuo ­vo pubblico, a beneficio sen ­za dubbio di quella « ricom ­prensione » sulla quale, una volta aveva ironizzato Max Ernst (attribuendola alla cri ­tica).

 


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