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PITTURA: I MAESTRI: il Tiepolo: un fiume

2 Febbraio 2019

di Raffaele Carrieri
[dal “Corriere della Sera”, domenica 12 aprile 1970]

Giambattista Tiepolo è l’ul ­timo dei grandi pittori-fiume. Non di Venezia sol ­tanto, ma di tutte le Scuole e Nazioni. Dopo Tiepolo ci saranno bellissimi ruscelli. Ci saranno laghi. Ci saran ­no cascate. Le acque orga ­nizzate e filtrate diventeran ­no acquedotti. Diventeran ­no fontane, e fontane pub ­bliche dove ciascuno potrà, immergere il bicchierino. Tiepolo non è prendibile, non è avvolgibile: pesa anche quando è leggiero. Troppo ampio, troppo af ­follato, troppo mosso, trop ­po cangiante, troppo sdruc ­ciolevole. Somiglia a tutto ciò che si muove e fa luce.

Lo vedi nuvola e neve: invece ha la resistenza del ­l’argento. Una bolla di sa ­pone che nessuno scioglie ­rà. Una miniera dentro una perla.

Si abbandona all’aria co ­me un altro al vino. E’ ebbro per calcolo ed astu ­zia; con pazienza, con per ­severanza.

Studiosissimo si lascia cre ­dere improvvisatore. Uno sgobbone che conosce tutti i segreti della freschezza. Un erudito dell’istante!

Deve ogni giorno e ogni ora correggere la sua abbondanza: un fiume infi ­nitamente ricco di affluenti, di vene, di insenature, di ruscelli e polle. Vi si ba ­gnano intere popolazioni di sultane e cherubini, turchi a non finire, e donne tal ­mente ubertose che da una ne puoi ritagliar tante: tut ­te latte e miele, tutte ga ­gliarde, tutte illuminate a giorno.

La storia di Tiepolo po ­trebbe cominciare come la leggenda di un libro per ragazzi. Figlio di un capi ­tano marittimo nasce a Ve ­nezia il 1696. Nel 1697 il capitano muore e lo lascia orfano di un anno insieme a cinque fratelli. Sei orfani e una madre vedova!

Nato quattro anni in an ­ticipo sul secolo che sarà suo: un anno più anziano di Canaletto e ventuno più giovane di Rosalba. Dal fir ­mamento della Pittura Ve ­neziana al tramonto del Cinquecento sono scompar ­se le costellazioni maggio ­ri: nel 1576 Tiziano, nel 1588 Veronese, nel 1594 Tintoretto.

Chiunque voglia essere qualcuno a Venezia deve ricominciare da quella lu ­ce. Deve imparare ad amar ­la. Deve imparare a capir ­la. Deve imparare a diffon ­derla.

Quando Giambattista en ­trò nella bottega di Lazzarini era appena l’orfano di un capitano di mare, un bambino povero che doveva diventare Giambattista Tie ­polo. Dovette apprendere in fretta se all’età di diciotto anni lascia il maestro e si mette da solo. Dietro i suoi occhi cerulei ci sono eserciti di figure in attesa. Eserciti cristiani composti d’apostoli, di mar ­tiri e profeti. Eserciti che tornano da Cartagine e dal ­l’Egitto dopo la conquista dell’Africa. Eserciti mitolo ­gici. Eserciti allegorici. Eser ­citi di veneri. Eserciti di Angeli e di Arcangeli nella vasta planimetria del Para ­diso come solo un venezia ­no del ‘700 poteva sognarla e farcela vedere. Sui troni terrestri tutte le allegorie: Fortuna, Forza, Sapienza, Giustizia, Gloria. E tutti gli imperatori, le regine, i prin ­cipi con il seguito di corti ­giani in damaschi e turban ­ti, coi pappagalli e gli altri volatili.

Le cariatidi sostengono da ­maschi e nubi. I portici conducono nei vasti teatri celesti nei quali si accede attraverso immense gradina ­te di madreperla. E se sono portici lagunari diretta ­mente al mare. Da qualunque parte giri lo sguardo lo splendore diurno o pomeridiano ti fa battere le palpebre. E’ il suo genio solare pieno pieno di frastagliamenti, di illumina ­zioni, di scorci, di cadute, di galleggiamenti e risurre ­zioni.

Una cavalleria leggiera sfiora appena l’azzur ­ro. Gli zoccoli dei cavalli nell’aerea galoppata fanno strappi e la luce gronda si ­mile ai diamanti. In ogni angolo trafficanti di pietre preziose. Sono i pascià ot ­tomani con le facce di me ­ringa. Che boria, che infin ­garda maestà in questi pi ­gri venditori di riflessi.

Il piccolo Settecento dei duetti, delle tazze di cioc ­colata, dei minuetti conti ­nua altrove coi suoi flauti e campanelli: Giambattista continua, invece, il suo so ­lare Concerto Grosso.

 


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Bart