PITTURA: I MAESTRI: La pittura veneta del Seicento25 Agosto 2018 di Rodolfo Pallucchini Udine, 6 settembre. Non possiamo dar torto a Ce sare Brandi che recentemente, su queste colonne, si preoccupava del pericolo a cui vanno sottoposte le opere d’arte spo state per mostre che vanno per dendo il loro carattere scientifi co e ne acquistano un altro, tutt’al più turistico o, peggio, politico. Ma siano benvenute le mostre di carattere regionale, come quella che si inaugura domani nella chiesa di S. Fran cesco di Udine, dedicata alla pittura veneta del Seicento in Friuli. Anche per questa mostra si è seguito il criterio di riunire il materiale esistente in terri torio friulano, sia quello desti nato «ab antiquo » alle chie se e alle collezioni della regio ne, sia quello venuto a rinsan guare il collezionismo privato. Una mostra siffatta, che sot tintende un’opera di revisione e di bonifica, costituisce un bi lancio prezioso del patrimonio pittorico secentesco del Friuli. Se altre province venete raccogliessero l’esempio udinese, non solo si procederebbe al risanamento di un patrimonio arti stico sempre più avviato alla rovina ed alla dispersione, ma anche si contribuirebbe all’ap profondimento della conoscen za della pittura veneta. Che ancora il Veneto sia ricco di tesori sconosciuti lo stanno a dimostrare le recenti scoperte, valorizzate da provvidi restau ri, di opere firmate del Tintoretto e del Saraceni a Feltre e nei dintorni. Su di una novantina di ope re esposte a Udine e commen tate da un eccellente catalogo di Aldo Rizzi, infaticabile organizzatore delle mostre udine si, ben cinquantacinque sono inedite o poco note: molte di esse sono state rese leggibili, anzi recuperate, dall’opera cauta di restauro. Si può affermare che la mo stra di Udine sia un prezioso corollario di quella veneziana, tenuta a Ca’ Pesaro nel 1959, che segnò una concreta rivalutazione del secolo più dimenticato e meno conosciuto della pittura veneta: un secolo certo difficile e complesso, che deve molto al contributo dei « fore sti » per la germinazione del barocco, ma che conta anche generose forze locali, dal Maffei al Carpioni, dal Liberi al Farabosco, dal Vecchia al Cele sti, dallo Zanchi al Bellucci, a Sebastiano Ricci soprattutto, che ormai apre il Settecento. *** La mostra inizia naturalmen te con quel gruppo di artisti che, capeggiati da Palma il Giovane, rappresentano la cri si di logoramento in senso ac cademico delle strutture manieristiche diffuse dai grandi mae stri, quali il Veronese, il Bassano, il Tintoretto; il fatto che questi conchiudessero la loro attività a ridosso della fine del Cinquecento, impediva alla ge nerazione nata tra il ’50 e il ’75, quella appunto di Palma il Giovane, di cercare altre stra de. Cinque pale d’altare, tutto ra inedite, danno un’idea della posizione problematica di Pal ma il Giovane, che voltò le spalle all’insegnamento di Ti-ziano per adottare schemi for mali del Tintoretto: di parti colare rilievo la « Presentazione al tempio », datata 1583, della parrocchiale di Tricesimo, cioè una delle sue opere giovanili in cui più assillante si manifesta ancora il problema della scelta tra le due visioni, reso più complesso dalla recente co noscenza ad Urbino del colore baroccesco. Dal duomo di Sacile è venuta una pala tarda di Andrea Vicentino, uno dei tardomanieristi veneti ancora da scoprire (anche a causa del disastroso stato di conservazio ne di tante sue opere); dalla chiesa delle Zitelle di Udine la dinamica « Andata al Calva rio » di Sante Peranda; dal duomo di Cividale la nobile pala del dalmata Matteo Ponzone. Il rinnovamento della pittu ra veneziana secentesca non è merito solo dei « foresti » ap prodati fra le lagune tra il 1620 ed il 1630 (Fetti, Liss, Renieri, Strozzi ecc.), ma an che di forze proprie: sono infatti due veneti della genera zione 1575-1600 a reagire con tro la cultura tardomanieristica: Carlo Saraceni, che si ar ruola a Roma nelle file dei caravaggeschi, facendo ritorno a Venezia nel 1619; il Padovanino che si orienta versa la fase giovanile â— quella classica â— di Tiziano, per poi rinfran carsi a Roma nell’ambiente classicistico Albani-Domenichino. La « Madonna col bambino tra la Giustizia e S. Marco », dipinta dal Padovanino nel 1626 per la città di Pordenone, rappresenta il punto culminan te della interpretazione forma listica del primo Tiziano; la pala invece venuta dal duomo di Palmanova, del 1644, con due Santi rabescati a due di mensioni, rivela una autonomia di gusto ricca di fermenti per il futuro. Dei pittori ospiti di Venezia sono presenti alla mostra ope re significative del Petti, del Renieri, di Giuseppe Heintz il giovane, dello Strozzi. Il lunettone del Petti con un episodio della corte gonzaghesca, del Castello Colloredo di Montalbano, si rivela, dopo la pulitura, opera fondamentale del perio do mantovano. Un piccolo ca polavoro dello Strozzi è la «Be renice », che il Rizzi ha ritrovato all’Ospedale di Udine, for se la più preziosa delle reda zioni note. La successiva generazione, nata nel primo quarto del Sei cento e, salvo qualche eccezio ne, nei confini della Repubbli ca, valendosi delle strutture ba rocche importate fra le lagu ne, da i suoi frutti migliori tra il 1640 e il 1660. Due dipinti danno l’idea dell’allucinato ba rocchismo del Maffei, il fatto più alto della cultura pittorica veneta del Seicento. Alla sua pittura visionaria, « aperta », di tocco, si contrappone quella del Carpioni, che tende a una costruzione serrata di valori in funzione di una tematica clas sicistica. Cinque opere, tra le quali una di carattere devozio nale, esemplificano in modo preciso il suo stile. Pietro Vec chia, Pietro Liberi e il figlio Marco sono presenti con opere interessanti di collezioni priva te. Contemporanei sono i due toscani Sebastiano Mazzoni e Pietro Ricchi: solo il primo si inserisce senza sforzo nella tra dizione veneta, mettendo a frut to l’eredità dello Strozzi, con un’arguzia che talvolta tocca il grottesco; una delle ghiotte novità della mostra è ‘ la sua paletta con « Madonna e San ti », che il Rizzi ha identifica to in una villa a Maniago. Due pale del Ricchi danno l’idea dell’ultimo suo momento udine se, d’una sottigliezza che ra senta il lezioso. Dopo la metà del secolo, men tre i Maffei, i Carpioni, i Li beri sono in piena attività di servizio, a Venezia, per impul so di Luca Giordano e poi del genovese Langetti, si va for mando quella corrente detta dei « tenebrosi », amante di fo schi drammi chiaroscurali esal tanti la tematica dell’orrido, in chiave liberiana. Il gusto dei « tenebrosi » è rappresentato al la mostra da opere del Giorda no, del Langetti, di Francesco Rosa, del primo Celesti (ante cedenti alla sua conversione chiarista), di Francesco Pittoni, zio del più noto Giambatti sta, e del Molinari. A scalzare la corrente dei « tenebrosi » nel settimo de cennio, sopraggiunge un nuo vo orientamento neoveronesiano, in chiave decorativa, sti molato dall’arrivo a Venezia di due cortoneschi, Giovanni Coli e Filippo Gherardi, chia mati a decorare la libreria di S. Giorgio Maggiore: alla mo stra figurano due gustosi mo delli per tali soffitti. Antonio Forniz, in un recen te saggio in « Arte Veneta », ha ricostruito l’attività friulana, dal 1650 al 1674, del pittore e ritrattista bavarese Marco Fischer): i ritratti dei Conti Altan, di proprietà degli eredi a S. Vito al Tagliamento, debita mente restaurati, illuminano un capitolo inedito della ritrattistica provinciale veneta, pri ma del Bombelli. Alla generazione che inizia la sua attività verso la metà del secolo appartengono i due friulani Sebastiano Bombelli ed Antonio Carneo, ai quali la città di Udine ha dedicato ec cellenti retrospettive nel 1964. Essi figurano con opere nuove: ben cinque ritratti inediti del Bombelli, alcuni dei quali del più grande interesse per ren dersi conto del debito contrat to dal suo geniale allievo bergamasco Vittore Ghislandi; del Carneo, uno dei più estrosi pit tori barocchi italiani, ben set te opere, una delle quali, la « Presentazione al tempio » in una chiesa udinese gli è riven dicata ragionevolmente dal Riz zi. E’ stata assicurata alla mo stra un’altra novità: una sce na macabra (alcuni profanato ri di tomba sono messi in fu ga da uno spettro), firmata da Giovanni Heiss e datata 1696, proveniente dalla collezione dei conti Colloredo Mels: è probabi le che questo poco noto allie vo del grande Schonfeld sia sceso in Italia. Mentre in alcuni rappresen tanti della nuova generazione, come il Bellucci, il Balestra, il Bambini, Sebastiano Ricci, la trasformazione del barocco al rococò è quasi una logica conseguenza, in altri pittori, come il Pagani, il Molinari, fino al Piazzetta, gli stimoli naturali stici operano con intenti ben diversi da quelli che potevano essere all’inizio del movimento dei « tenebrosi ». Anche l’esemplificazione di questo settore della pittura veneta a cavallo tra il Sei e il Settecento è mol to nutrita (ricordo la pala del Lazzarini della cattedrale di Concordia, l’« Immacolata » del Balestra di Rivolto, i « SS. Canziano e Francesco Xaverio » del balestriano Formenti delle Zitelle di Udine). La « Sfi da tra Pan e Apollo », capola voro del Ricci proveniente da una collezione di Pordenone, conchiude la bella rassegna udinese in senso emblematico, tanto la sua violenza di colore, tra Veronese e Rubens, rin nova una tradizione pittorica con una sensibilità pienamen te settecentesca.
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