PITTURA: I MAESTRI: Stradone, lupo mannaro12 Gennaio 2013 di Leonardo Sinisgalli Anche i quadri di Stradone bisogna leggerli e ri leggerli per afferrarne il senso. Ricordo come fosse ieri quando a vent’anni con un amico che aveva una camera sotto la mia in un istituto gestito dai frati in piazza degli Zingari a Ro ma ci accorgemmo di aver capito di colpo « L’infinito » di Leopardi. Particolari a prima vista insignificanti diventano importantissimi: la congiunzione « e » ripe tuta undici volte nel giro dei quindici endecasillabi, i determinativi questo questa queste quello quella presen ti otto volte nell’idillio. A prima vista le operine di Stradone â— perché si tratta raramente di pezzi più larghi o più alti di un paio di palmi â— possono fortemente deludere. Specie le sue cose tipiche che par tono dal 1950 e arrivano con una coerenza impressionan te fino a oggi: dipinte, dun que, in vent’anni sembrano tutte fatte in un giorno. Ra re volte mi è capitato di trovarmi davanti un gruppo di tele così somiglianti, non proprio nel disegno o nel motivo ma nella sostanza. Ecco perché bisogna diffi dare della prima impressio ne e guardarle bene dentro, queste opere, proprio dentro la cornice, come si guarda in un cannocchiale. Allora ci si accorge di che vista spettacolosa è dotato Stra done, la vista, possiamo az zardare, che a noi miopi sembra di recuperare in so gno, la vista dall’alto, lon tana nello spazio e remota nel tempo. Non credo che Stradone quando gira in bicicletta nelle ore impossibili, alla prima alba o nel cuore delle notti di luna, come un son nambulo o un lupo manna ro, abbia poi tanta voglia di tirare fuori inchiostri o colori, penne o pennelli. Stradone rumina, rimu gina le sue visioni e ha bi sogno continuamente di ci bo nelle ore che trascorre come un clandestino in ca se-studio sempre tappate, dove egli deve ingannare se stesso con gl’intrattenimen ti più curiosi per garantirsi di avere tutto a portata di mano al momento della fol gorazione, della scarica. Sono sicuro che i suoi quadri più belli sono stati dipinti in una mezz’ora. Per questo egli è forse anche più rapido di De Pisis, con la differenza che De Pisis poteva dipingere uno e an che due opere al giorno, mentre Stradone è riuscito a malapena in trent’anni a finire una ventina di pro totipi e un centinaio di va rianti. In una recente ristretta antologia ha presentato al cuni pezzi capostipiti, i ca polavori, Colombo in volo, per es., Straccivendolo in periferia, Notturno in villa, Mattino. Non sono titoli ri cercati o sofisticati, alla Klee per intendersi o al la maniera delle ultime schiappe concettuali. Forse Stradone lascerebbe le sue tele senza titolo così come le lascia senza firma o sen za data. Queste fisime per lui non sono serie. Spetterà ai filologi distin guere i pezzi primogeniti dai consanguinei, perché l’autore per istinto non si piega volentieri a queste dif ferenziazioni e neppure col labora a dirimere eventuali abbagli. Per lui la pittura è manifestazione vitale, non un mestiere, una « routi ne ». Ha rischiato tutto per evitare equivoci e compro messi, vive da isolato, da disperato, eternamente col cuore in gola, sempre stra volto, braccato, proprio co me i pochi poeti e i pittori entrati nella leggenda. So benissimo che queste paro le saranno da lui respinte, ch’egli teme ogni volta di essere tradito, sfregiato. Non credo che egli si compiaccia di fare il tene broso. Credo di più a una sua fondamentale delicatez za e forse perfino inettitu dine. Conosco casi del ge nere: meridionali che a cinquant’anni restano con le paure, le ansie, la superbia degli adolescenti. Perché ci sono fanfaroni e impediti, ed è proprio da questi ulti mi che possono improvvisa mente venir fuori scatti e parole spropositate, come spesso è accaduto a Stra done e a qualche altro ani male difficile. Egli si vanta di aver sal tato a piè pari postimpres sionismo e cubismo, di ave re come modelli Scipione e il Greco, di essere arrivato per virtù propria a dar ri gore al suo «élan », al suo istinto plastico, e di sentir si più vicino a Fautrier, a Pollock che non ai « con discepoli disciplinati e in freddoliti » tornati, come lui dice, a fare carte da parato con lo spruzzatore e il tira linee o nuvole e nuvolette vaganti su cieli di cartavelina. Ma non ho detto ancora proprio niente sulle sue vi sioni o esplorazioni o esplo sioni, che diventano miti che, scoppiano di felicità e di disperazione in pochi ac centi. I suoi fiori sembrano stelle, percorrono in pochi attimi spazi profondissimi di memoria. E le sue larve sono messe al riparo den tro un bozzolo. Letto 1784 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||