PITTURA: LETTERATURA: I MAESTRI: Giombarresi29 Dicembre 2018 di Leonardo Sciascia A prima vista, il suo caso sembra abbastanza chiaro e classificabile: Francesco Giombarresi inventa macchine com plicatissime, le disegna, le co struisce; lavora a un trattato di medicina; affolla segni e colori ogni pezzo di carta che si trova a portata della sua mano; crea un lessico ade guato alle cose che inventa, ai segni e ai colori di cui in veste ogni carta; smodata mente ama farsi fotografare accanto alle sue macchine e alle sue pitture; dice sacrifica ta e tradita la sua vita, la sua umanità, il suo genio. Poi, man mano che si en tra nel labirinto delle sue in venzioni, dei suoi scritti, dei suoi piccoli e innumerevoli di pinti, il caso appare sempre più oscuro e sempre più sfug ge alla prima classificazione. « L’arte mia sia stata un’opera di Dio creduto per mia stes sa Natura, la quale io oggi attraverso studi profondi, ar tistici, ò già dovuto tanto ap profondire le proprie miei idei veri e dotati nel senso della mia stessa Natura la quale, dal giorno della Nascita mia ad oggi, ò dovuto soffrire ab bastanza il mio fisico, non solo per il fatto artistico, lettera rio, scientifico, ma per la gra vità della forma delle miserie, delle conseguenze inaspettate, delle disavventure, dell’offese, dei soprusi, dei disordini fa miliari, dei processi inaspet tati, alla Giustizia, quindi tut to un gruppo di cose che si incontrano a contradire la vita dell’uomo… Ho dovuto fino ad oggi dipingere più di 2000 opere, che molte di que ste opere con tanta di rabbia sono andate a finire alla Ca tastrofe, e al fuoco, per siste mi di rabbia e di contradizio ne nella loro vita… Ma tutto passa, e resta sull’esempio nel la vita delle Scritture… ». E’ una dichiarazione che sembra disarticolata e indecifrabile; e non è, per chi conosce Giombarresi e la storia della sua vita. Ma anche per chi non lo conosce e non sa della sua vita « sacrificata, stancata, di savventurata, bastonata », re stano suggestivamente sospesi e baluginanti, come poesia tanto per intenderci, quel « Dio creduto per mia stessa Natura »; « le cose che si in contrano a contradire la vita dell’uomo »; le opere finite « alla Catastrofe, e al fuoco, per sistemi di rabbia e di contradizione nella loro vita »; la vita che resta esemplare nelle Scritture al disopra di quella che contradice l’uomo e se stessa. * La scrittura, le scritture parole che frequentemente ca dono nel discorso di Giombarresi, e la seconda sempre con un che di religioso e solenne. La scrittura come strumento, le scritture come risultato. La sua pittura altro non è che una scrittura, la più autentica e coerente che sia riuscito a inventare contro i sistemi della rabbia e della contradizio ne che da ogni parte lo asse diano: e ne risultano le scrit ture, quelle cose vere e dure voli che sono gli innumerevo li piccoli dipinti a tempera in cui racconta il mondo, la sua vita, la vita della gente che gli sta intorno stupida e fe roce, grottesca, stravolta e tra volta in un tristo e blasfemo carnevale. Di fronte alle ma schere e figure umane che Giombarresi dipinge, è facile pensare a Ensor; e particolar mente a quella famosa acqua forte dell ‘entrata di Gesù a Bruxelles nel martedì grasso del 1898. E che Giombarresi si trovi in mezzo al carnevale dell’antica contea di Modica che il suo conterraneo Serafi no Amabile Guastella ha stu pendamente descritto in un li bro pochissimo noto: atroce carnevale degli istinti, dei ran cori, violento e famelico, se gnato dalla miseria e dalla morte. Che ci si trovi in mez zo traumaticamente, da uomo sereno, puro nel cuore e nel la mente, candidamente com preso della propria dignità e della dignità di ogni cosa vi vente, che d’improvviso vede tutto stravolgersi nella frode e nella violenza. * A Vittoria, in provincia di Ragusa, Giombarresi è nato nel 1930, Ha passato fin dal l’infanzia indicibili stenti, la vorando duramente e di tan to in tanto tentando fughe di sperate che finivano in più disperati ritorni. Si sposò gio vanissimo. Si trasferì a Comiso. Ma il matrimonio e la nascita dei figli accrebbero i suoi disagi e le sue inquietudini. Non aveva salute e forze adatte al duro lavoro della campagna; e poi gli era venuta una bruciante passione per lo studio, la conoscenza, la pittura. Di scuole, aveva fatto soltanto le prime due classi delle elementari: ma così assiduamente si esercitava a scrivere e a leggere, in solitudine e furtivamente, facendo incetta di parole e inventando un loro significato, e cercando parole per i signi ficati che le cose gli rivelava no, che oggi è in grado di leggere nei testi quel che i te sti non dicono e di scriverne â— memorie, fantasie, scien za â— di assolutamente impenetrabili: tanto che, avendo ora trovato comunicazione con gente che non lo deride e lo aiuta, lavora ad un lessico che permetta una traduzione dei suoi testi, e specialmente di quel trattato di medicina che a beneficio dell’umanità va scrivendo. Per scriverlo, pare che spe rimenti su di sé gli effetti di certe bacche, di certe erbe, di certe miscele: e serviranno a guarire mali che sono ad oggi ritenuti incurabili. Dirgli che il suo trattato di medicina, le sue esperienze, le macchine che inventa e le sostanze che distilla, la sua sete di cono scenza e la sua ansietà per le sofferenze umane, sono inclu se nella sua pittura, che nella pittura ha tutto tradotto, spe rimentato e risolto, non serve. La mania coesiste con la poe sia. Indifferentemente, Giombarresi può passare una notte a delirare di scienza o a di pingere con meravigliosa sere nità e sicurezza. Perché è ve ramente pittore: e come sia arrivato ad avere una scienza così precisa e armoniosa della pittura, un così indefettibile equilibrio, è un mistero. Ha cominciato a dipingere nel 1954. Ma le cose che mo stra sono degli ultimi anni; le altre sono veramente finite nel fuoco, veramente sono sta te disperse al vento. Racconta di averne buttate dal finestri no del treno, tornando dalla Germania: nelle vicinanze di Napoli, e i contadini le racco glievano. Perché è stato in Germania per due anni, a fare il boscaiolo nelle vicinanze di Stoccarda: lavoro più duro che nelle campagne di Comiso, dove c’è almeno il sole ad alleviare il dolore delle ossa. * La sua storia è insomma quella di un bracciante del l’antica contea di Modica, qua le da secoli quasi immutabil mente si ripete. Una condizio ne umana alquanto diversa di quella delle altre zone della Sicilia: senza aggregazioni ma fiose, con rarissime esplosioni di collera collettiva, con indi ci di criminalità molto bassi. « A lamentarci del villano del la nostra antica Contea è pro prio un lamentarci della buo na misura, come si dice in dialetto », scriveva alla fine del secolo scorso il barone Guastella. Un mondo conta dino. dunque, rassegnato, chiu so, di silenziosa sofferenza. E se il barone non aveva da la mentarsene, Giombarresi ave va tutte le ragioni per tentare di evaderne. Solo che non riu sciva, e ad ogni tentativo era più amaro il ritorno. Tutti, in paese, ritenevano che Giombarresi non avesse voglia di lavorare, persino i suoi paren ti e sua moglie: in verità la vorava quanto può lavorare in Sicilia un bracciante di cam pagna che va a giornata, non più di cento giorni di lavoro in un anno; e quando non la vorava in campagna, si dava al lavoro ancora più precario di scaricatore alla stazione fer roviaria. Si ebbe anche una denuncia per mancata assi stenza alla famiglia. Il fatto che conducesse espe rimenti « scientifici » in cami ce bianco, solennemente, pro clamando il suo genio, faceva cadere irrisione anche sulla sua pittura; che è invece la sua scienza vera e profonda. « Mentre passavano giorni, io non mi curavo della mia stan chezza e della mia salute, ma mi incoraggiavo sempre di me stesso. Sopportavo abbastanza e studiavo con passione. Ma consideravo anche l’ignoranza che agli altri dava coraggio sempre di sfregarmi e di of fendermi. Quei tempi io abi tavo una casetta di un metro e sessanta di larghezza e pagavo lire mille al mese: e io e la mia famiglia, in cinque persone, dovevamo dormire in quella grotta. Ma io soppor tavo anche questo, e la gente che stava bene sorrideva di me dicendomi: un giovane co me te muore di fame, che ver gogna; e mentre quei cretini, gente vile, volgare, tremitosa e fangosa, avevano tutta l’an sia e il fumo del denaro. Ma io inghiottivo tutto… ». « Quei tempi »: cioè fino a ieri. Ora Giombarresi ha una casetta larga il doppio, e ac canto si è fatta una baracchetta dove scrive, fa gli espe rimenti, dipinge. Uno studio. Il fatto che Zancanaro abbia presentato una sua mostra, che Guttuso e Sassu e Cantatore lo riconoscano pittore, ha por tato il Comune a riconoscerlo finalmente come bisognoso, ad includerlo nelle liste di assi stenza. Di quest’ultimo rico noscimento Giombarresi sem bra più contento che dell’al tro. « Il diritto », dice, « il di ritto delle mie creature ».
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