Sono le poesie di mia moglie Raffaella. Le mie sono qui.

DEDICATA A TE

Non ho un posto dove andare
né una spalla su cui piangere
né notte da attendere
né desideri da condividere
né sogni da raccontare.

Solo un ventre vuoto
mi è rimasto
e mani tremanti
e passo incerto.

Pensiero senza voce
sono io.

Non parlatemi più di cieli sereni,
di terre fertili da coltivare.
Lasciatemi qui, dimenticatemi.
Sarebbe troppo vivere di nuovo.

Giugno 2003

AMORE MIO

Ogni notte ci sei
uomo senza volto
alito leggero, caldo respiro.

Il tuo silenzio mi parla di mondi senza tempo,
di spazi sconfinati
e mi dice parole suadenti
che mi rinfrancano, mi rinvigoriscono.

Avvicinati!
Il tuo cuore batte
accanto al mio,
la tua mano È la mia mano
e mi abbandono e mi lascio andare.

Mille onde mi cullano
in questa notte di luna piena,
il cuore si placa, il corpo si quieta
ritornato, finalmente appagato, alla terra.

15 giugno 2003

ANELITI

I corpi nudi danzano
intorno ai fuochi nella notte,
massi di pietra levigata
mandano bagliori sotto la luna.

Si aprono alla passione
e odori conosciuti sprigionano.

Vorrei essere là e sentire i loro aneliti d’amore,
ma il piede rimane immobile, come incastrato,
non consente passi,
non riesce più a liberarsi.

È finita.

La luna scompare dietro le nuvole scure
e più non vedo nulla,
le braccia cadono inerti,
le mani grondano gocce madide di sudore.

17 giugno 2003

NOSTALGIA

Il mio futuro?
I ricordi.

E i pomeriggi assolati
di agosto nei campi di grano
dietro alle farfalle
e le corse sui prati
bianchi di lenzuola di bucato
stese al sole.

Le grida… i silenzi… i profumi…
I canti… i dolci rumori…
Tutto…
Ogni cosa mi parla di voi
ora che più non avete voce.

Vorrei dormire, sempre,
e nel sonno rivivere
quello che non è più.

3 luglio 2003

COME ONDA

Il vento mi ha portato
l’odore del mare
e stridio di gabbiani
e gocce di salsedine.

Onda, m’infrango
contro la scogliera
in un movimento sempre uguale
che non conosce sosta,
che sfida il tempo

come il mio pensiero
che ostinato
domanda
e che incessante
chiede risposta
ai mille perché
dell’esistenza.

Luglio 2003

CALURA

Il corpo nudo si scalda
sotto il sole d’agosto
al crepitio frenetico delle cicale
che quasi stordisce e addormenta.

Sono le stesse?

Dell’età delle corse
nei campi assolati a caccia di farfalle,
dei fiocchi nei capelli,
dei tempi in cui la sera
portava profumo di fieno
tagliato da poco
e ti invitava pian piano al riposo
coi suoi rumori sempre più lontani.

Ti chiamano,
senti?
Affrettati!
Siamo qui!
Eccomi!
Ma rimango come sospesa,
accecata da questo bagliore intenso
che sfida i secoli e i millenni
e pare dirmi che non è tempo,
che devo ancora aspettare.

Luglio 2003

PASSIONE

Il desiderio mi assale
dolce
bruciante
incontrollato

e come onda
ora calma
ora impetuosa
travolge volto, collo, seni, fianchi, ventre, giù giù
fin sotto il palmo dei piedi.

È un raggomitolarsi
di nuovo nel ventre
materno e sentirne tutto il calore,
fare l’amore.

E poi lo schizzare fuori improvviso
Dell’alicantro dal fiore del deserto

E abbandonarsi e morire.

Luglio 2003

A MIO NONNO

Vorrei vederti ancora
appoggiato alla porta di casa,
tra il granturco appeso al muro,
le braccia dietro la schiena
e i pantaloni tenuti
da una vecchia cintura di cuoio,
penetranti i piccoli occhi neri
tra folte sopracciglia,
rassicurante il sorriso
sotto i bianchi baffi,
ed io ai tuoi piedi.

E ti direi che sono sempre io,
sì, quella che saltava sul letto
e non ti dava pace
durante la lunga malattia
accettata con cristiana rassegnazione.

Hai conosciuto l’amarezza
del distacco prematuro,
la fatica
e la solitudine in terre lontane;
tutto con coraggio hai affrontato
e alla fine, qui, sei ritornato alla terra.

Ciò che seminasti non andrà perduto.
Il tuo sangue è il mio.
I nostri discendenti
taglieranno ancora il grano
sotto il sole infuocato d’agosto
e, come un tempo, si rinfrescheranno
all’acqua trasparente
della fossa del campo
al frenetico canto delle cicale.

Ogni cosa è stata trasmessa
e noi rivivremo in loro.

Giugno 2003

A MIA MADRE

Come un fiume in secca
è la mia vita
ora che non ci sei.
Crisalide, mi chiudo
nel bozzolo dei ricordi
senza volerne più uscire.

Avverto fuori il trascorrere
lento del tempo che più
non mi appartiene,
interminabili le ore, i giorni.

L’angoscia mi assale
e lo sgomento mi prende
di non poter affrettare il corso,
di non poter anticipare il momento
in cui mi sarà
finalmente svelato
il mistero dell’esistenza.

13 luglio 2003

SERA

Ti guardo mentre
ti spogli
con i gesti consueti
al canto dei grilli
e al gracidare delle rane
nel canale vicino.

Una macchina passa veloce
e un fascio di luce
illumina fianchi e glutei nella notte
belli come un tempo.

Chiudo gli occhi
e un profumo di uomo
pervade la stanza.
Aspetto.

Ti stendi accanto a me;
riconosco la tua mano che mi accarezza
lungo i fianchi e tra le cosce.

Lontani sono ora i brutti pensieri
e gli affanni del giorno.
Vuota la casa, solo tu ed io.
Mi baci e sei dentro di me.
Mi completi.

La notte sarà lunga per noi ritornati
prima donna e primo uomo
dell’universo,
abbandonati in un Eden tutto nostro.

Luglio 2003

A BARTOLOMEO

Sei fiume in piena
che rompe gli argini
e ogni cosa travolge al suo passaggio.
Poi, quasi all’improvviso, frena la sua corsa
e scorre lento tra ampi argini
placandosi in vista del mare.

Sei vento caldo di primavera
che feconda la terra
dopo il lungo inverno
o impetuoso vento d’autunno
che annuncia la tempesta
e non ha pietà per le povere foglie
già tremanti
e le trascina e disperde lontane,
piegandole al suo volere.

Sei demone ribelle
in una continua disperata lotta
per liberare l’anima
dalle pesanti catene di pensieri
che affollano la tua mente.

Odo il tuo passo impaziente nel giardino
e subito dopo riconosco la tua voce
che mi chiama.

Vorrei poter alleviare la tua pena
e completare, ancora io vorrei, la tua ricerca.
Ma intuitivo e rassicurante è il tuo sorriso,
in un tenero abbraccio ti sciogli
ed io ritrovo l’amante accorto,
il padre premuroso,
l’amico affidabile.

3 agosto 2003

ALLA NOTTE

E nessuna voce è stata mai
così eloquente quanto il tuo silenzio
profondo
impetuoso
o notte;
quando gli occhi non si piegano
al sonno ristoratore
ma scrutano nel buio,
ora supplichevoli come quelli di una madre
al capezzale del figlio,
ora lucenti e vigili come quelli di un guerriero
prima della battaglia.
È come se tu avessi fermato il tempo
e non ci fosse rimasto più nulla da vivere.
Sgomenti, si è come sospesi in un universo
senza confini, la mente ed il corpo
imprigionati…
Poi, il tintinnio leggero della pioggia
sulle foglie secche del giardino
ti risveglia e ti dice che ancora
una volta
l’alba è vicina.

18 novembre 2003

PENSIERI A MUTIGLIANO

La pioggia è appena cessata
e le nuvole grigie si diradano lente
aprendosi un varco di luce nel cielo ora terso.
Chiudo gli occhi e respiro.

Da lontano sale travolgente il profumo del bosco
e si mescola all’odore forte della terra
che affonda sotto i miei piedi.

Chi mai sei tu uomo
che hai dimenticato tutto questo,
che cosa ha indurito il tuo cuore.

Vorrei sdraiarmi qui,
in mezzo all’erba bagnata
e osservare il ragno paziente tessere la sua tela
e gli occhi rivolti verso l’alto
ammirare il quieto volo degli uccelli.

Hai straziato le carni del tuo nemico
e ti sei nutrito del suo sangue,
che cosa mai potrà saziarti
e dissetarti ora.

Lasciati andare, abbandonati fiducioso
tra le braccia del tempo;
lascia che scorrano senza più contarle
le ore, i giorni, gli anni, i millenni
che il lungo sonno ristoratore
ti faccia rinascere,
rigenerato,
pronto per una nuova vita.

Dicembre 2003

AL MIO LORENZO

Odo i tuoi passi nel giardino
e già la stanza risuona della tua voce.
Poi, lo scoppio di pianto,
improvviso
come il tuo capriccio,
e le grida della mamma
che più non riesce a trattenersi.
Lascio tutto
e ti corro incontro.
Immobile sulla soglia ti rifiuti di entrare
per non mostrarti piangente.
Mi avvicino
e leggo nei tuoi occhi pieni di lacrime
il bisogno prorompente di amore.
Mi piego in ginocchio
e faccio il gesto supplichevole di abbracciarti.
Mi respingi furioso
e allunghi la mano per picchiarmi.
Subito gli occhi orgogliosi cercano quelli della mamma
ed in un istante ogni cosa vola in aria:
guanti, sciarpa, berretto, cappotto, pennarelli.
All’improvviso il tuo sguardo imbronciato si posa
sui giochi lasciati interrotti;
allora impaziente e con gesto deciso
mi prendi la mano e con rabbia chiudi la porta
dietro di noi.
Hai smesso di piangere.
Ora siamo di nuovo soli tu ed io,
pronti a continuare finalmente il nostro gioco.

26 dicembre 2003

ALLA MORTE

Chiuderò gli occhi e tenderò l’orecchio
al canto del dolce pettirosso e della vezzosa ballerina
che giunti alla mia porta
annunceranno la vostra venuta.
“Vieni, è l’ora”
mi direte tendendomi la mano.
Sarete tutti accanto a me
e non saprò chi guardare, né a chi per primo parlare.
Capirete il mio disagio
e ognuno di voi
mi aiuterà a dipanare il grosso gomitolo dei ricordi
che confusi affolleranno la mia mente
e mi indicherà la nuova strada.
Non sarà doloroso il distacco,
ne rimarrai delusa, o morte,
ma un piacevole abbandono,
una inevitabile resa
e del corpo e della mente
ormai stanchi.

27 dicembre 2003

MALINCONIA

Che cosa è mai questa malinconia
che senza pietà s’impossessa di me
e mi lacera il cuore.
Non parlatemi, lasciatemi stare.
Vivo come su una scogliera
battuta dal vento e dalle onde
alla ricerca di una terra al di là del mare
che mi darà la pace.
È nostalgia del passato,
dell’età inconsapevole;
è desiderio struggente di sapere
quanto e che cosa di me
rivivrà nelle generazioni future.
Perché
nessun affetto
nessun amore
sembra saziarmi del tutto?
Anche questo anno che sta per morire
tra luci, danze, frastuoni,
avaro, porterà con sé come gli altri
tutte le risposte ai miei perché
e, come gli altri,
ritornerà a tormentarmi
ricordandomi sensazioni
che non proverò mai più.

31 dicembre 2003

LA CACCIA

L’ululato del lupo
e il tonfo della neve
caduta dal ramo spezzato
rompono il silenzio
ed il mio sonno leggero.
Indugio sulla porta della tenda:
immobili, gli alberi carichi di neve
paiono sentinelle fedeli
pronte a difendermi.
Seguo le orme del coniglio selvatico.
Con fatica affondano i miei piedi nella neve
ed il respiro affannoso genera
aliti che, capricciosi ghirigori di fumo,
si perdono nell’aria gelida.
Finalmente ti scorgo, laggiù
dove il ramo dell’abete si distende
quasi a proteggerti,
la tua bianca pelliccia
si confonde con il candore della neve.
Avverti anche tu la mia presenza.
Mi osservi immobile.
I tuoi occhi rossi, lucenti,
fissano i miei.
Mi lanci la sfida, vuoi che ti insegua.
Sicura, con gesto deciso
sto per premere il grilletto.
Improvvisa, un’ombra ci sovrasta;
fulmineo il falco ti è addosso
e ti solleva.
Non un grido mandi, né ti dibatti;
i tuoi occhi rossi continuano a fissarmi
e nel tuo ultimo sguardo leggo
tutta l’impotenza dell’uomo
e l’imprevedibilità che accomuna
alla mia, la tua esistenza.

31 dicembre 2003

IL PETTIROSSO

Odo il tuo canto
che annuncia l’arrivo del freddo inverno
e con passo leggero
e la speranza nel cuore
mi avvicino alla finestra.
Con scatti improvvisi ti muovi
sul ramo spoglio del noce;
insistente il cinguettio,
penetranti i piccoli occhi
neri come gocce di smalto
e rilucenti
sul rosso piumaggio.
Apro la finestra e stendo la mano.
Il tuo cuore batte come il mio;
sto per coglierne il segreto.
Ma, all’improvviso,
con veloce battito d’ali
scompari tra le foglie della magnolia
e porti con te, per sempre,
il mistero del tuo canto.

1 gennaio 2004

INSIEME

Portami con te
anche se non so cavalcare,
svelami i tuoi segreti
e correremo veloci
fianco a fianco, lontano
fino a toccare
le nuvole
all’orizzonte.
Affronteremo le onde minacciose del mare
e le tempeste di sabbia
e le bufere di neve
e il buio della notte senza stelle.
Come il lupo
non indietreggeremo
di fronte alla minaccia
e come l’orso
difenderemo ciò che è nostro.
Portami con te,
ti svelerò
i segreti
dell’attesa paziente,
della malinconia dolce dei ricordi,
del calore della terra fertile,
dell’amore sofferenza.
Ci bagneremo nelle acque cristalline
al ruscello della mia spensieratezza
e solo alla nostra progenie
ne lasceremo
il segreto.

29 febbraio 2004

AUTUNNO

Stormi di uccelli
neri si stagliano
contro il cielo
minaccioso.
Nuvole grigie li incalzano,
impavidi guerrieri
pronti allo scontro.
Ma è qui, nel mio petto
il campo di battaglia:
il frastuono delle spade
e l’odore del sangue
mescolato al fango
non mi danno pace.
Non mi riconosco più.
Inerme,
rimango immobile
mentre
lame sottili incidono solchi profondi
nel mare dei ricordi.
Riaffiorano antiche passioni…
bruciano le ferite
che neppure lo scorrere impietoso
del tempo riuscirà a sanare.

29 febbraio 2004

ATTESA

Inaspettato sei arrivato
cavaliere nomade
dal lungo viaggio.
Ho dissetato il tuo cammello, ricordi?
e inumidito le tue labbra
all’acqua del pozzo di Maidan.
I tuoi piedi ho massaggiato
e ti ho ristorato con datteri e miele.
Ci siamo amati, rammenti?
Il tuo corpo premuto
contro i miei seni maturi,
le mie mani carezzevoli sui tuoi lombi.
Ci siamo amati
quando il disco del sole, complice testimone,
sembrava indugiare tra le dune
e il tuo corpo cosparso di aloe e mirra
rifletteva i suoi tremolii e i suoi caldi bagliori.
Non una parola, e nella fredda notte
il vortice del tempo ci ha travolti:
il grido del falco
lassù, in alto,
sul bosco di betulle, regali
colonne della nostra nuova dimora,
ci ha risvegliati:
i corpi umidi affondati nel muschio,
accarezzati da un mare di felci
mosse dal vento.
Poi, dall’alto della scogliera,
la nave mi hai indicato.
Un viaggio ancora.
Con lo sguardo ti ho seguito
finché gli occhi stanchi
si sono arresi.
Li ho chiusi.
Ancora aspetto.

19 marzo 2004

NON PIANGERE

Non piangere
se dovessi morire,
riportami in vita,
tu soltanto lo puoi.
Temere non dovrai
come trascorrere il tempo,
perché ciò che è passato
potrà riempire tutti i tuoi
giorni a venire.
Il lunedì, per ricordare
il nostro incontro;
il martedì come ci siamo
innamorati;
non saranno sufficienti
il mercoledì e il giovedì
per le nostre intense notti
d’amore;
il venerdì le scelte condivise;
il sabato i nostri figli;
la domenica i litigi e le riconciliazioni.
E se nonostante tutto questo
ancora ti sentirai triste,
osserva i nostri nipoti:
mi riconoscerai
e sorriderai.

22 marzo 2004

ORIENTE

Nello specchio accarezza
i contorni delle sue labbra
e lentamente scioglie
i lunghi capelli
sul corpo d’ebano
profumato di petali di rosa,
e aspetta, paziente.
Timorosa, si china a raccogliere
la veste
e il profilo dei seni
ancora acerbi
forma delicati
disegni sul ventaglio
dei suoi capelli.
Ancora aspetta,
come le hanno detto.
Lo sguardo si posa lontano
sulla torre del minareto
che superba domina
le piccole case bianche.
Dal dedalo di vie strette e sinuose
voci e risa si alzano,
conosciute.
Tende l’orecchio.
Ascolta.
Si fa frenetico il battito del suo cuore.
La porta, infine, si apre
e il rito si compie,
tra fruscii di sete
e zampilli di fontane.
Mossi dal vento
i rami della palma alla finestra
scoprono squarci di cielo azzurro intenso

e danzano leggeri,
unici complici, testimoni
dolcemente agitati
come il suo cuore.
Ora non è più bambina.

28 marzo 2004

A PETRA

Gemma incastonata nella roccia
quasi per miraggio all’improvviso appari
allo straniero.
Smarrito,
gli occhi increduli,
ti osserva
e tende l’orecchio;
riascoltare vorrebbe con te
i suoni di lingue antiche
e il frastuono delle carovane,
e le grida dei cammellieri.
Dividere con te vorrebbe,
tra colori e profumi,
l’incontro di civiltà millenarie
e negli sguardi superbi,
su quei volti rugosi
coronati da turbanti
dai colori sfumati,
coglierne la fierezza e l’audacia;
ma tu, danzatrice flessuosa
e provocante,
tu, fedele custode di sacri luoghi,
non ti concedi;
disperato, nulla di te portar via
potrà il forestiero,
se non la visione struggente
del disco del sole
mentre tinge di rossastri bagliori
i tuoi contorni
prima di scomparire tra le dune.
Ecco, il sacro astro ha aperto così
alla notte le porte
e a poco a poco il silenzio, come nebbia
calerà su di te
e celerà agli occhi indiscreti
i tuoi preziosi tesori.

30 marzo 2004

IO, DONNA

Dentro di me
porto l’energia
della spinta primordiale
che ordine ha dato
all’universo
e l’eredità di generazioni
che innumerevoli
ti hanno plasmato,
o uomo,
nel corso dei millenni.
Non temere;
l’avvicendarsi delle stagioni
e l’alternarsi del giorno
e della notte
ancora seguirò per te
e come terra
il tuo seme feconderò
con il mio calore
in silenzio distesa
al tuo fianco.
Ancora una volta,
come da sempre,
ti renderò immortale.

1 aprile 2004

OLOCAUSTO

Nerissimi i capelli
raccolti in un prezioso copricapo,
avvolta in un mantello regale
che tradisce forme ancora di fanciulla,
ai piedi della sacra montagna,
all’alba, ti conducono.
Sacerdoti in preghiera aprono la via;
silenziose vergini ti seguono.
Agile è il passo
allenato al duro cammino
nell’intricata foresta,
ma il respiro
affannoso
sotto il peso
del pettorale
per te lavorato
da orafi esperti,
tradisce la fatica.
Ecco sei giunta.
Ti fanno sedere
gambe e braccia incrociate,
in abbandono;
e mentre con timore reverenziale
le compagne ricompongono le vesti,
bevi dal calice
la mistura che stordisce.
Non una parola,
non un addio.
Sei sola, ora, quassù,
dove l’aria è più rarefatta,
dove il silenzio è sovrano.
Un lieve tremore
scuote il tuo corpo;
il capo lievemente inclinato,
i dolci occhi neri si chiudono
pian piano
sulla foresta sempre più lontana…
Presto si apriranno
su visioni
che soltanto a te
sarà concesso contemplare,
così ti hanno detto.
Ed è così che ancora oggi,
innumerevoli occhi
ammirano estasiati
la tua regale compostezza,
desiderosi di penetrare
il mistero
di tanta inconsapevole
rassegnazione.

10 aprile 2004

IL VIAGGIO
dedicata a Gino
Nel commosso
abbraccio di addio,
sento la misteriosa
forza
del legame che ci unisce.
Nei miei occhi leggi
il desiderio struggente
di seguirti;
nei tuoi, io leggo
che mi terrai
sempre con te.
In dono mi hai portato
il profumo
della fertile terra africana;
e l’abbondanza dei suoi colori
ho visto
attraverso i tuoi occhi.
Con orgoglio, i campi
io ti ho mostrato,
segnati dalla fatica
e dal sudore bagnati,
e il luogo da dove,
pieni di speranza,
i nostri progenitori
sono partiti.
Una zolla con amore
per te ho raccolto dalla terra
e te l’ho donata
perché tu non debba mai dimenticare.
Ecco, i nostri legami rinsaldati
si sono.
Arricchiti di nuova forza entrambi,
il nostro viaggio
con vigore rinnovato,
con rinnovato spirito d’amore
continueremo;
tu ed io
i nuovi, intrepidi, pionieri.

12 aprile 2004

ATTESA

Dolce è attenderti
all’imbrunire,
quando il cielo
all’orizzonte sembra
infuocarsi sempre di più
come il mio cuore
che, in trepidante attesa,
insistente si chiede
che cosa mai
saprai dirmi
per farti amare;
quali parole
trovare potrai
più suadenti
del magico canto
dell’usignolo
che così dolcemente
rapisce il mio cuore
e che sembra stasera
voler più che mai sfidare
ogni umana voce.
E quale profumo,
ancora mi chiedo,
potrai tu, uomo,
recarmi
più intenso di quello
dell’acacia in fiore
che giunge, a tratti,
dal bosco laggiù,
a me portato
dal leggero vento
di primavera.
Eccoti finalmente; mi scorgi
sulle scale seduta;
subito si apre al sorriso il tuo volto.
Incontro mi vieni
e nel tuo caldo abbraccio mi sciolgo;
accarezzano le mie mani
la tua nuca,

le tue labbra cercano la mia bocca.
Inesperti ancora noi siamo
nelle arti d’amore,
ma il mio cuore
sente che
questa magica sera
in serbo qualcosa di speciale
tiene per noi:
la notte che la seguirà
avrà ora altri dolci segreti
da bisbigliare all’orecchio
di nuovi trepidi amanti.

15 aprile 2004

NEL SILENZIO

Nessuna voce,
nessun rumore
giunge dalle piccole case
affondate nella neve.
Immobile il mare laggiù
come specchio
riflette il cielo e le sue stelle di ghiaccio
e la luna, che sembra essersi fermata
lassù,
sospesa, fredda
e distante.
Soltanto il cigolio della banderuola sul tetto,
mossa dal vento,
come un lamento giunge al tuo orecchio
mentre china al telaio
– i movimenti consueti, sempre uguali –
scandisci il ritmico scorrere del tempo.
La fiamma del focolare
sulla spoglia parete
il tuo profilo disegna
di donna nel fiore degli anni.
Tu qui sei rimasta,
così hai deciso,
paura non hai…
Ha ripreso a nevicare;
a poco a poco nuovi fiocchi
copriranno la piccola finestra…
Piano piano
la mano stanca si ferma,
il volto appoggi sulla tela.
Dolce come una ninna nanna
è il crepitio della fiamma;
caldo seno di una madre
che ancora ti coccola, il suo calore…
Si posa lo sguardo sul quadro
alla parete…,
si animano le sue figure,
mosse dai bagliori del fuoco…
Non sei sola.

Il silenzio ti ha insegnato ad ascoltarti
e in te accesa tiene la fiamma
dei ricordi.
Vinta dal sonno,
priva sembri di vita, ora,
ma, anche se con ritmo diverso,
il cuore ancora pulsa
come quello dell’orsa nella lunga ibernazione
tra i ghiacci.
E quando,
come l’orsa,
ti risveglierai
carica di rinnovata energia,
pronta sarai
ad affrontare
una stagione nuova.

25 aprile 2004

LA MONTAGNA

(ispirata al film di Fred Zinnermann “Five days one summer”, 1982)

Provato è il corpo
dagli anni
e dalla estenuante attesa.
Con passo deciso,
sul sentiero aperto per te dalle guide, avanzi
con la speranza che presto finalmente
troverai risposta ai tanti perché.
Ecco, ti fanno cenno di non andare oltre.
Il tuo sguardo si posa dove più sottile è il ghiaccio,
là dove un rivolo d’acqua cristallina
ha scavato un piccolo solco tra i sassi.
Il sole ormai alto si riflette intorno;
bruciano gli occhi,
mentre la piccozza scava nel ghiaccio.
Qualcosa scorgi
che sembra appartenerti.
Si fa silenzio intorno a te.
Tremano le tue ginocchia,
ma le compagne ti sono vicine
come in quella interminabile notte
di attesa
e ti sorreggono mentre le mani
porti alla bocca
nel gesto disperato per non gridare il suo nome,
per non soffrire invano.
È lui,
è tornato per mantenere la sua promessa.
Batte forte il tuo cuore
come allora,
come al primo appuntamento.
Niente è mutato.
Le tue mani ruvide
sfiorano quel volto
che il ghiaccio ha conservato
bello come un tempo,
e con gesti delicati,
timorosa,
togli la neve ghiacciata
dalle lunghe sopracciglia.
Poi, con gesto pudico,
cerchi di nascondere il tuo volto
rugoso
nel nero fazzoletto,
mentre ti chini a baciare
quella bocca che ora finalmente
ti appartiene.
Grata sei alla montagna
che ha avuto pietà del tuo dolore
e ha ascoltato le tue preghiere.
A te
che mai hai cessato di amarla
niente di più bello
avrebbe potuto regalare:
se stessa e questo infinito
cielo azzurro
come rari testimoni
del vostro rinnovato
amore.

25 aprile 2004

NOZZE

Cosparso di grasso
e polvere d’ocra
il tuo giovane
corpo riflette
la luce del sole
mentre preceduta
da fanciulle festanti
al tramonto ti avvii
alla tua nuova dimora.
Pesanti bracciali di metallo
coprono il seno e le caviglie,
grandi occhi neri
risaltano lucenti sulla pelle
rossastra.
Tra frenetici canti
e maliziosi sguardi
le compagne più grandi
hanno intrecciato i tuoi folti
capelli
e ammirato per l’ultima volta
le tue verginali nudità.
Il tuo corpo
ancora non conosci;
non comprendi
gli ammiccamenti degli uomini
eccitati da questa tua docile
sottomissione
come di giovane leonessa
pronta all’amplesso.
Superbo ti accoglie lo sposo
sulla porta della tenda;
non più compagno di giochi,
ora.
Con occhi nuovi ammiri il suo corpo
nudo,
appagato si posa il tuo sguardo
sul ventre che ti porterà
la vita.
Presto nuovi impavidi guerrieri
saranno pronti per la caccia.
Nuove mani forti
strapperanno la terra
al sole del deserto.

25 aprile 2004

CON TE

Sulla tua poltrona mi sono seduta,
o madre,
per sentire di nuovo il calore
del tuo abbraccio
e il profumo di te.
A ripetere i tuoi gesti mi scopro ogni sera
nella speranza di riportarti alla vita.
Odo dei passi… dei rumori e aspetto…
Ma non compari mai.
Allora, superba dea dell’Olimpo
vestita d’azzurro ti vedo,
bella come nel giorno dell’addio
quando mi chinai per baciarti
prima dell’ultimo viaggio.
Triste è il mio cuore
per le parole mai dette,
e solo, in questa grande stanza
vuota.
Ma il tempo restituisce
ciò che ha rubato
a chi, paziente, sa aspettare.
Non è l’impetuosità della giovinezza
la vita.
Adesso lo so, tutto mi appare com’è,
ora.
Riesco ad osservare
il ragno
sulla cornice del quadro,
e i contorni della lampada;
la ruga sul volto non mi fa paura.
Grande, come l’insaziabile desiderio
di conoscenza dell’adolescente,
è la voglia di raccontare
questa mia pienezza.
Mi arricchisce sempre di più
e mi appaga
la consapevolezza di ciò che con te
ho vissuto.
Foglia caduta dal ramo,
dolcemente cullata dal vento
mi abbandono
in un mare di ricordi.
Ecco, sei di nuovo con me.

21 maggio 2004

PAESAGGIO

Tra palme di banani
con i tuoi occhi neri
di fanciullo
mi osservi curioso,
tu che fanciullo
non sei mai stato.
A centinaia accorrono
i compagni
al tuo richiamo
tra capanne di fango e sterco
nella terra color d’ocra;
deformati i piedi, gonfio il ventre
sorretto da esili gambe tutte ossa.

Innumerevoli occhi grandi
mi guardano smarriti,
inquietanti,
spade che trafiggono il cuore.
Distolgo lo sguardo
per occultare
il mio imbarazzo,
la mia vergogna.
È già tardi,
non posso fermarmi.
Il tempo appena di scattare una foto
da mostrare agli amici
e poi nascondere,
per non dover dire:
“Anch’io ero là”.

18 giugno 2004

SOLITUDINE

A nessuno
appartengo
e nessuno
mi appartiene.
Come creta
mi hai plasmato
e hai piegato la mia docile mente.
Balena intrappolata nella rete
mi dibatto per liberarmi
dai lacci della consuetudine e
della quotidianità.
Finirla vorrei
con i ricordi e con i rimpianti
con i “se” e con i “ma”,
con gli orgasmi improvvisati,
con le domande senza risposta
con i forzati silenzi,
con le memorie di lontani dei.
Una vita che non è la mia,
io vivo sull’orlo dell’abisso
là, dove è più forte
il richiamo dell’ignoto
e più insistente l’invito
a deporre
il pesante fardello
della ingratitudine.
Fiore reciso e dimenticato
senza più colore né profumo
io sono
ormai.

Luglio 2004

A STEFANO

È bello
sentirti cantare
la sera,
figlio mio,
nella tua stanza
prima di addormentarti.
Entrare vorrei,
ma rimango sulla porta socchiusa
per non turbare questo magico momento
che nasce dalla spensieratezza
che ci accomuna.
Conserva sempre
questa serenità d’animo
e fiducia porta ovunque
con la tua grande capacità d’amare.
Diffida di coloro che
vogliono cambiarti
con il pretesto
di renderti migliore
e che fanno di ogni tuo difetto
il loro vanto:
genera insicurezza e
smarrimento l’intelligenza
ostentata
e crea il vuoto intorno.
Non ascoltare
chi ti indica una via già percorsa;
segui senza esitare il tuo sentiero,
ti condurrà ugualmente alla meta.
Non avere fretta, ascoltati!
Lascia che l’amore per la scoperta
e lo stupore
guidino
i tuoi passi.
Così non ti sentirai mai solo.

28 Luglio 2004

SOGNI

Una piccola casa
sulla scogliera
vorrei,
dal tetto di paglia
e imbiancata a calce,
con un comignolo fumante
e una finestrella
da cui osservare le isole lontane
e il passaggio delle balene;
e un uomo da attendere
in dolce trepidazione;
Per lui accesa terrei
sulla finestra
la lampada
a sera;
erica e fucsia
sul sentiero che porta al mare
coglierei
tra gabbiani festanti
e per lui sarei
in una sola notte
tutte le stagioni.

29 Luglio 2004

AL GRANDE FEDERICO II

Tutto è pronto per la caccia.
Impazienti ti attendono i cavalieri;
ecco, lo squillo di tromba annuncia il tuo arrivo
e già da parte si fanno per lasciarti passare.
Lo scalpitio del cavallo
risuona tra le alte mura del castello,
ancora avvolto dall’oscurità
mentre superbo avanzi,
il fedele falco
posato sul braccio, immobile.
Ti osservo dalla piccola finestra.
Indossi il mantello da me tessuto;
la fulva chioma ricciuta e gli occhi chiari
tradiscono le tue origini,
ma è il sole di questa mia terra,
dal destino scelta per i tuoi natali,
che vigore ha dato al tuo corpo
e colorito ha il tuo incarnato
quando sporco e lacero
correndo tra i vicoli
gli odori e i profumi ne respiravi.
Essere stata vorrei la tua preferita
quando ancora bella ero e prosperosa
come questa terra di Puglia.
Il mio corpo offerto ti avrei
e con te condiviso,
non più serva
i tuoi audaci sogni…
Stanno per aprirsi le porte.
Avverte il falco
l’aria pungente dell’alba;
giungono alle sue narici
gli odori del bosco
e muove la testa
irrequieto
pronto a spiccare il volo…
Il tuo brumoso paese
hai lasciato
e di questa terra di abbondanza e di luce
hai fatto il cuore di un Impero nuovo.
Arrivare qui hai visto dal mare
molte genti e tutte le hai accolte
alla tua corte
crogiuolo di razze e culture.
Argomentare ti ho sentito
stanotte
con i commensali
mentre di novello vino
il tuo calice riempivo.
Oh quale donna
non condividerebbe i tuoi ambiziosi sogni
di libertà, audacia, sapienza, saggezza
determinazione, giustizia
e qui non vorrebbe giacerti accanto
e sentire il suo corpo tremare
al tocco delicato delle tue forti mani
mentre all’orecchio
le sussurri
le tue canzoni d’amore…
Alla corsa ora spronare ti vedo
il cavallo
e allontanarti al galoppo
alla testa dei tuoi fedeli,
giù per la collina
e scomparire nel bosco.
Troppo debole, ahimè,
è il mio corpo
per cavalcare al tuo fianco
ma con lo sguardo ti seguo
finché anche l’ultima
aquila imperiale
tra il fogliame scompare.
Interminabile sarà questo giorno,
mute e fredde le stanze
senza la tua presenza.
Un sontuoso banchetto
per te preparerò
e per te sceglierò il vino migliore.
Ritorna presto
e riporta la luce
tra queste buie mura.
Solo tu
tenere viva puoi
la sete di conoscenza
che come fiaccola inestinguibile
tu
hai acceso
nel mio cuore.

20 Luglio 2004

ABBANDONO

Lasciati guidare
se sei stanco,
seguimi.
Una terra io
conosco
dove l’erba
cresce ogni giorno rinnovata
e dove il sole non conosce tramonto;
antichi fiumi scompaiono nelle sue viscere
e nuove sorgenti
riaffiorano zampillanti
in un ciclo continuo.
Vieni,
alberi secolari rifugio sicuro ti offriranno
sotto l’ampia chioma,
perenni frutti maturi
ti sazieranno, innumerevoli.
Non indugiare, vieni!
Questa terra è il mio cuore!

9 Settembre 2OO4

CALORE

Ti amo uomo della solitudine
e della jahiliyyah;
la tua protezione
mi hai offerto
e te ne sarò
grata
per sempre.
Vieni.
Riposa ora.
Ho per te
sotto la tenda preparato,
focacce
e tè per dissetarti.
Seduti già sono,
accanto al fuoco,
gli ospiti
di conoscere ansiosi,
il nuovo sajib,
pronti
dalla ciotola il dattero a prendere,
per suggellare cosi
il vostro patto.
Il poeta
presto
in piedi
si alzerà
e
degli attacchi a sorpresa,
delle razzie
canterà,
delle sanguinose
interminabili vendette
secondo l’inesorabile legge della monrua.
Entra,
distenditi
ora.
Una giornata dura
ci aspetta
domani,
alla ricerca
di nuove sorgenti
e nuovi pascoli.
Ti aiuterò a levare le tende,
prima dell’alba, e
a legarle ai cammelli pazienti.
Ti seguirò
ancora una volta,
in silenzio,
attraverso le dune,
in un avanzare
che sembrerà senza fine,
lento
come
lo scorrere del tempo
che qui,
per compiacere noi due soltanto,
pare
si sia
fermato per sempre.

Luglio 2017

AL MIO AMATO

Il mio grido
hai udito
e a me sei giunto
da terre lontane,
e come già
Dio
con Adamo
agli albori del tempo,
hai alitato
in me la
VITA.
Racconta
come
ho amato
di te
ogni cosa:
il tuo corpo
armonioso
e forte,
da sherpa dell’Himalaya,
il tuo volto
bruno,
da rughe profonde
solcato,
che narrato mi hanno
la storia di un uomo
che la fatica
ha conosciuto
e lo sforzo estremo
nella estenuante lotta
per la sopravvivenza
in terre insidiose e inospitali;
di un uomo
che dentro di sé porta
la fierezza di antichi
popoli guerrieri,
che ha lottato
per la libertà
e per difendere
ciò che era suo,
di un uomo
che
spinto dal fascino dell’ignoto
e dalla insaziabile sete di conoscenza
non si è mai arreso,
ma in avanti ha guardato
sempre,
con orgoglio e determinazione.
Racconta
come la tua bocca
ho amato,
il tuo rassicurante sorriso,
le tue labbra,
dal sapore di salsedine
alle quali
ho placato
la mia inquietudine,
i tuoi denti
bianchissimi
saldamente incastonati
in una bocca carnosa,
come diamanti
nella roccia.
Racconta
come
i tuoi capelli
color d’ocra
ho dolcemente accarezzato,
d’incenso profumati
e di spezie,
leggeri e fluttuanti
come criniere di cavalli selvaggi
in fuga, ora raccolti
in turbanti
dai colori sfumati, ora sciolti
e dolcemente ricadenti
su ampie spalle brune.
Racconta,
amore,
come liberata mi hai
dal grigio demone
dell’isolamento
e come spezzato hai
le catene dell’ignoranza e della paura
che prigioniera
mi tenevano,
lasciando
che nei tuoi occhi profondi
stupita contemplassi
gli abbaglianti colori
e di pesci e di uccelli e di fiori e di piante
a occhio umano sconosciuti
e
lasciando
che al dolce suono del tuo narrare
l’ignoto
prendesse davanti a me
forma
di terre ancora vergini, di deserti sconfinati,
di lussureggianti isole
immerse nella vastità degli oceani,
di montagne invalicabili
che
insieme a te ho superato
seguendo l’armonioso volo
delle eleganti damigelle di Numidia,
delle farfalle monarca,
delle oche tibetane in migrazione.
Racconta ancora,
amore mio,
come amata
mi hai,
interamente,
e così come sono:
inopportuna,
pusillanime,
stupida,
incapace,
arida,
inaffidabile,
così
poco intelligente,
così
poco chiara nell’espressione,
così selvaggia, cosi idiota, così rozza.
Solo tu leggere hai saputo
nel profondo del mio animo;
non più né tu né io
e neanche noi:
non ci apparteniamo più.
Scorre dentro di noi, ora,
la linfa che in vita tiene
ogni cosa,
i nostri cuori
battono all’unisono
con l’immenso cuore dell’universo.

13 Febbraio 2014

RITORNO

Neppure il mio amore
è riuscito a trattenerti.
Sei lontano; né so dove
condotto ti ha,
questa tua inestinguibile
sete di conoscenza.
Ma l’improvviso, insistente
cinguettio del l’usignolo
alla mia porta
mi annuncia
il tuo imminente ritorno.
Se mi cercherai,
lassù mi troverai
sulla scogliera,
tra il misterioso richiamo dei gabbiani
e il mormorio delle onde;
tra il profumo delle erbe selvatiche
e l’odore del mare; incontrarmi
di nuovo
potrai
là, nell’immenso fiume
che, ricordi?, solo per noi
il suo grembo
spesso ha aperto
per lasciarci, come foche,
dolcemente scivolare
tra ondeggianti alghe sinuose;
nella foresta più profonda
ritrovarmi potrai
dove l’uccello del paradiso,
il segreto, un tempo solo a noi
ha svelato,
della sua superba, magica, misteriosa, danza;
e ancora mi troverai
là dove il vento incessante solleva
e disperde la sabbia,
per ricomporla poi
in paesaggi
sempre nuovi
e sempre diversi;
laggiù,
dove ci siamo amati
in palazzi
per noi,
nella roccia rossa di falesia
scolpiti e decorati
da civiltà millenarie,
dove da te ho appreso
delle nostre origini astrali,
laggiù dove mi hai insegnato
che l’amore
è
energia che si rinnova
e mai si disperde,
e dove da te
ho imparato
e l’armonia della mente
e del cuore.

Marzo 2014

A DIO

Afferra le mie mani
e guidami
per questo sentiero interminabile,
stretto e tortuoso;
taglia i rovi che
intralciano il mio cammino
e quando il passo
si fa lento
e incerto,
lascia che
mi aggrappi a te,
TU SEI MIO PADRE.
Asciuga
il mio sudore,
medica le mie ferite
in modo che
possa continuare
il cammino,
e
quando
al fiume in piena
giungerò, fa
come un padre con la figlioletta,
sollevami
con le tue braccia forti
per non farmi travolgere
dalla forza impetuosa dell’acqua
e sulla riva asciutta,
al sicuro,
deponimi.
Perdonami
allora
se molte volte
ti ho disobbedito
e non ho ascoltato
i tuoi consigli.
È il momento
di fare pace
questo:
rendi allora inerti
le mie membra
ad ogni umana azione
e ciechi
alla luce del sole i miei occhi.
Lascia che
essi si aprano
soltanto
per contemplare
il tuo volto
in modo che,
con rinnovato vigore
io possa vivere
nella pace
per tutto il tempo a venire.

3 Agosto 2014

L’AMORE

Oh tu che bene conosci
il profumo intenso
delle sere d’estate,
quando
l’usignolo
insistente ti chiama
dal profondo della radura
laggiù,
al limitare del bosco
e il suo canto
ti stordisce
insieme al profumo dolce
del fieno
appena tagliato
e alla fragranza intensa e fruttata
della rosa muscosa.
Ebbene,
ancora più inebriante
e più travolgente
e più dolce
e più tenero
è l’amore.
Ed è bello
lasciarsi andare in questo vasto mare
di aneliti e di sospiri,
di dolci, struggenti interrogativi
che l’animo
piacevolmente logorano
e ai quali non
c’è risposta alcuna.

10 Febbraio 2016

AL CORMORANO

Ti ho osservato
stamani,
mentre
in alto
lassù
sul ramo
spoglio del pioppo,
le ali dolcemente spiegate
asciugare
facevi
le tue piume
che nerissime
si stagliavano
contro
le nuvole grigie
e il bianco spettrale dell’albero spoglio.
E
quaggiù
mi lasciavi
sgomenta e smarrita.
Ma, sappi, che amo
stare qua,
affondare le mie mani nella terra, alle narici portarmi la sua zolla
calda e fumante,
sentirne tutto il profumo.
Tu
non sai
dove il tuo volo possente
ti porterà,
mentre
io
sono sicura
che questa terra,
dal sangue bagnata di tanti uomini
che impavidi hanno combattuto per difenderla,
pietosa si aprirà un giorno
per accogliermi;
come seme prezioso
mi custodirà
e quando
verrà il momento propizio,
il suo ventre di nuovo aprirà
fecondo,
per darmi nuova vita.
Ogni barriera
oltrepasserò allora
e di spazio e di tempo e avrò vinto
con te
la sfida.

10 Febbraio 2016

ADDIO

In posizione fetale
su una grande foglia di ninfea
raccolta, scivolo sull’acqua dell’immenso fiume;
lentamente trasportata
vengo,
là dove
cielo e mare
paiono toccarsi
nell’immensa e vuota distesa
dell’oceano della morte e del silenzio.
Nulla ricordo,
niente ho con me,
e questa foglia, quasi secca ormai,
che odora di piante e di radici
in decomposizione
resta
l’unico mio legame
con la terraferma.
Non più stridio
di gabbiani
né starnazzare di oche
che si alzano in volo
tra i canneti, non fruscio di vento
né battito d’ali.
Tutto tace e tutto immobile ora appare.
Anche le rive,
sottili lingue di terra
ondulanti come nastri leggeri,
sono lontane
ormai.
Non ricordatemi;
sola voglio rimanere
con questa mia anima
che, unica, conosce
il tormento
di chi ad ogni costo
scoprire
vorrebbe
ciò che è al di là
di ogni umano legame.
Mille cose potrei perdonarti
ma non di aver lasciato
che mi isolassi così.

28 Febbraio 2013

INCANTESIMO

In zolle fumanti
si apre
la terra al taglio deciso della vanga
sotto i miei piedi
e un profumo antico
come di pane
appena sfornato,
sprigiona.
E per incanto,
Ciucia, rivedo,
la mia gatta
bianca e nera
al focolare della vecchia casa
accovacciata; gli occhi socchiusi,
la coda raccolta tra le zampe,
affonda il musetto
tra la rada peluria
del ventre
e la piccola lingua ruvida
con tocchi leggeri passa e ripassa
tra le piccole rosee mammelle.
La osservo ammirata.
Ora la zampetta
passa sull’orecchio
e gli occhi gialli socchiude.
Mi scorge.
Tutto abbandona
all’istante
e leggera,
sinuosa come donna in amore
verso di me avanza,
alle mie gambe
si struscia
mentre in un dolce miagolio
si scioglie che strappa una carezza.

Poi scontrosa,
con un balzo improvviso
si allontana
come pentitasi
per essersi lasciata andare.

2010

(Giudizio di Vincenzo Pardini del 28 settembre 2018: “Bella poesia; ci ho respirato anche una vaga atmosfera pascoliana. In poche righe racchiude immagini ed emozioni. Ne avesse diverse, di queste poesie, potrebbe farvi un libro. Forse l’hai contagiata o è lei ad aver contagiato te. Ora capisco la vostra felicità. Siete complici anche in poesia. Cosa assai rara. Buona giornata e grazie del pensiero.”

Gli avevo inviato un’ora prima questa e-mail: “Caro Vincenzo, stamani a colazione mia moglie mi ha letto una sua poesia composta nel 2010: “Incantesimo”. In essa vi è la descrizione della sua gatta “Ciucia” che mi è parsa molto bella. Le ho detto: La invio a Pardini che ama gli animali. La metterò anche su FB.
Buona giornata.)

ADOLESCENZA

Ancora sogno
bianchi cavalli selvaggi;
criniere al vento
lucenti le narici
per la sfrenata corsa
lungo la scogliera.
Sogno ancora
petali di rose
sul cuscino sparsi,
quando nel letto
mi distendo
a sera
e mi perdo
nei superbi labirinti
di cristallo
per me disegnati
dal riflesso della lampada
sul soffitto.
E sogno, sogno,
e ancora sogno di te
e del tuo profumo, uomo,
di come eri agli albori del tempo,
nella mitica età dell’oro
pima che
la spietata conoscenza
dal tuo cuore
cancellasse
ogni traccia
di umana innocenza.

Ottobre 2012

SPETTRI

Ogni sera appaiono
i fantasmi della vita:
ombre cinesi in fila
avanzano muti,
sulla nuda parete.
Il tempo tiranno li guida,
la solitudine e l’illusione
lo seguono,
l’amarezza del rimpianto
chiude il corteo.
Li osservo
sgomenta
e veloci scorrono
davanti a me
le tappe tutte dell’esistenza;
ogni “ma…”, ogni “se…”,
ogni “forse…”, ogni “perché.”.
Alla fine precipita
la mia corsa
nel pozzo dell’angoscia,
in una caduta continua
senza mai toccarne il fondo.

19 Ottobre 2012

RINNOVAMENTO

Ti ho chiamato
e subito
da me
sei corso
così com’eri, nudo.
Rapita mi hai
e vivo
tra gli elfi e i fauni
ora,
laggiù
dove il bosco è più profondo.
Arcobaleni di rugiada
diventate sono le mie lacrime;
e i miei sospiri
dolce voce di vento
che leggero
le foglie del sottobosco carezza,
là dove
sorgenti di acque cristalline
sgorgano, là
dove si abbevera il cervo
nel primo mattino.
Tra il soffice muschio
che modella il mio corpo
mi distendo
rinnovata,
al tuo fianco.
Si perdono gli occhi
tra sprazzi di luce
che filtra tra i rami più alti.
Mi addormento
tra profumi inebrianti di terra
e calpestii leggeri di foglie.
Presenze rassicuranti
il mio sonno sorvegliano.
Più non cerco la mia pelle di foca
per ritornare al mare.

Novembre 2012

PREGHIERA

Irrompi come tuono
nel mio cuore, o Dio,
e frantuma
la granitica roccia
che lo avvolge.
Inondalo
come fiume in piena
e fa che a nuova vita
si apra
come il fiore di cactus
dopo la pioggia torrenziale
che
improvvisa
si abbatte
sulla terra
arida e screpolata
del deserto;
fa che io
sia come l’albero
che dona frescura
nei giorni assolati dell’estate,
come il fiore
che dà colore ed allegria
ai lunghi e grigi
giorni dell’inverno,
sia acqua zampillante di sorgente
la sola in grado
di placare l’arsura del viandante
che potrà, così rifocillato,
riprendere
con rinnovato vigore
il lungo cammino.

A TE, PADRE MIO

E corre la mia anima
tra albe e tramonti
luce e oscurità
come nei primi giorni
della creazione,
barlumi di rosso e nero
ai confini dell’universo.
Sgorga copioso dalle ferite
il sangue,
zampillante
come acqua dalla sorgente;
strozzato in gola
il grido in una bocca
che non ha lingua
né labbra.
Volti senza occhi,
corpi senza braccia
ruotano intorno,
sghignazzano avidi
in movimenti frenetici.
Ricordi come sul ramo
vezzosa danzava
la ballerina
a primavera?
Non dimenticare il nostro patto.
Vieni a prendermi.
Non posso più aspettare.

11 ottobre 2004

L’AMORE

Tenero e indifeso
è l’amore
come un bambino,
e come un bambino
va nutrito, curato, vezzeggiato;
è un frutto maturo
l’amore,
da assaporare piano piano,
come una rosa
che trae vita
anche dalle spine;
è come un libro
l’amore,
che letto più volte
sa dare nuove emozioni;
è un prato
l’amore,
che si rinnova
a primavera.
Ci siamo persi io e te,
impigliati nelle reti
della quotidianità e dell’usura;
le parole e i gesti
hanno perso
il loro valore.
Su binari paralleli
camminiamo
senza incontrarci.
Con violenza nella mia anima
sei entrato,
spietato
me l’hai strappata.
Sono diventata te
e ho perso me stessa.
La razionalità
è misura
del mio animo
ora;
la tristezza, come pelle
mi si è attaccata addosso.
Vorrei raggomitolarmi
e ritornare feto
nell’utero materno
e diventare piccola,
più piccola,
più piccola,
sempre più piccola,
fino a scomparire nel nulla,
diventare nulla
così come ero
prima del concepimento.

4 Settembre 2010

VISIONI

Di addormentarmi
ho sognato
dolcemente abbandonata
tra i possenti rami
del grande Albero dell’Universo;
innumerevoli stelle mi roteavano intorno
luminose e calde,
mentre una musica soave
il mio riposo cullava.
Nel sonno ogni essere vivente
ho visto
trovare rifugio negli anfratti delle sue robuste radici:
interminabili alghe,
tentacoli di una gigantesca medusa
fluttuanti nell’immensità dello spazio…….
e bisbigli… sospiri…,
ho udito,
un sommesso, dolce, intimo parlare…….
E tra tante,
le vostre voci ho riconosciute
o miei cari,
ad una ad una le ho distinte
e ne ho compreso il messaggio.
Ora, non ho più paura.

(Quando ho scritto questa poesia, ci tengo a sottolineare, non sapevo niente dello Yggdrasil della letteratura norrena, di cui sono venuta a conoscenza solo più tardi, dopo aver ascoltato il documentario: “Enigmi alieni” nel Gennaio 2014).

Febbraio 2013

NORVEGIA

Abbagliante spicchio giallo – rossastro
dai netti contorni
all’improvviso
nel crepuscolo
o luna,
dolce messaggera,
appari,
lassù sospesa,
superba compagna dei monti
poggiati dolcemente sul fiordo,
rotondi, compatti seni
di giovane donna
che nell’acqua lentamente
si immerge.
I miei occhi ti ammirano
increduli,
batte forte il cuore
per l’emozione.
Poi all’improvviso
le montagne
si chiudono
gelose
su di te
per nasconderti all’occhio umano.
Sarò riuscita ad affidarti
il mio messaggio?

29 Luglio 2012

PAESAGGIO

Cieli lontani e alte montagne
capovolgersi ho visto
nitide,
nelle acque profonde
del fiordo.
Un’altra me,
un altro te,
un’altra storia abbiamo vissuto:
due corpi
nel soffice muschio affondati,
da occhi indiscreti al riparo,
il profumo respirano
dell’asparago selvatico,
e storie si raccontano
di antiche battaglie
e gesta di indomiti eroi,
mentre gli spiriti delle rocce
ascoltano
fieri.
Poi, dolcemente
scivolando sull’acqua,
il vascello
ci ha portati via
scomparendo silenzioso
nella luce grigiastra
del crepuscolo di un giorno
che non finirà mai.

29 Luglio 2012

AL MARE

Un vento leggero
alle narici porta
profumi sconosciuti
di mondi lontani;
veloci corrono davanti agli occhi
chiusi per la calura,
i millenni, come immagini
in un film in bianco e nero.
Visioni antiche
si mescolano
a voci stridule di bambini
che festanti si rincorrono.
Odo lo scalpitio
di cavalli
lanciati al galoppo per la battaglia
e lo starnazzare di oche
che all’improvviso
in volo si alzano,
impaurite.
Lotta ancora l’uomo
per un pezzo di pane
e per la libertà,
come gazzella
invano ancora si dibatte
nelle fauci del predatore,
affrettando così
la sua morte.
Scorre il magma incandescente
in gole profonde,
giù, sempre più giù
nelle viscere della terra;
mentre alte montagne di ghiaccio
nel mare si inabissano
minaccioso e profondo.
Il corpo è caldo e sudato
come nell’amplesso d’amore.
Se mi ami,
non cercare di plasmarmi
come creta,
con le tue mani d’ uomo:
sono come l’acqua che non ha forma,
come il vento sono,
che imprigionato, più forte sibila,
come l’universo di cui non conosci
né dove inizia né dove ha fine.
Se tu vuoi davvero amarmi
amami allora
come la terra ama il sole
e come l’uccello l’aria;
amami come il pesce
ama l’acqua.
Solo così
potremmo davvero perderci
noi due soli
in questo
nostro
infinito
universo,
per rinascere
nuove,
immortali,
essenze.

Agosto 2010

TESTIMONIANZA

Nel campo sconfinato,
su di noi
ondeggiavano
le piante di granturco,
dal vento caldo
dell’estate
piegate,
mentre
giovane e bella
con te
l’amore
conoscevo.
Il tuo volto
contemplavo,
d’azzurro incorniciato
ed il tuo ansimare
sentivo,
mentre
alto sopra di noi
il falco
fermato aveva il suo volo
in religioso rispetto.
All’improvviso,
come rombo di tuono,
veloci e possenti
destrieri
lanciati al galoppo,
eccitati per l’imminente battaglia,
travolti
ci hanno;
nuvole di terra
si sono alzate
oscurando il sole;
possenti zoccoli
i nostri volti hanno schiacciato,
affondandoli nella nera zolla
che reso ha
mute
le nostre bocche
per sempre;
per sempre
l’odore acre
della terra
nelle narici
e nei nostri occhi atterriti,
terrificanti visioni
di lupi ululanti,
pronti alla battaglia più cruenta.
Ma tu,
che sai osservare,
tu, viandante accorto,
tu, ancora,
puoi vederci
qui, dove il vento d’estate
apre
sulle lucenti foglie di granturco
lunghe, argentee strade,
qui,
dove
innumerevoli
girasoli,
testimoni del nostro amore,
da noi
lo sguardo
distolgono,
vergognosi.
Racconta
del nostro amore.
Guardaci,
a te solo
mostrarci vogliamo.
Il tuo cuore
conosciamo
e sappiamo
che sa

ancora
sussultare
a dolci
parole
d’amore.

Luglio 2016 Romania

SFIDA

Come aquila le ali possenti
distendere vorrei
nel vento abbandonata.
Così conoscere potrei
dove il sole sorge
e dove scompare
e come l’universo
ha principio
e come ha fine.
Con occhio sempre vigile,
lo spazio e il tempo
sfiderei
in un volo senza posa.
Al vento così
ruberei
il segreto
per non invecchiare mai.

25 Settembre 2004

ARMONIA

Nella notte più profonda
quando gli occhi
spesso
si rifiutano di chiudersi
al dolce tocco
di Morfeo,
come naufrago
su una zattera
abbandonato,
mi lascio
dolcemente
dalle onde cullare
nella silenziosa vastità
dell’oceano.
Ecco
che al mio orecchio
allora giunge lieve,
il fruscio
delle candide vesti
di dervisci
che in punta di piedi
in cerchio
danzano,
leggeri
roteando su se stessi
come ballerine su un carion.
I loro piedi
osservo,
che sollevarsi
sembrano
da terra,
piccoli,
delicati,
eppure così sicuri e decisi
al ritmo incalzante
di cembali e flauti;
le loro gonne
lunghe quasi fino a terra
osservo ammirata,
che nel movimento
sempre più
veloce
immobili rimangono
ed allargate,
a formare
un ampio cono armonioso;
gli alti, rossi copricapo cubici
osservo;
quasi del tutto
il volto nascondono
che inclinato da un lato, immobile rimane
per tutta la durata della danza
e delicatamente appoggiato alle braccia
che, aperte sul capo in un semicerchio,
e verso il cielo
sollevate
volere
sembrano accogliere
l’intero universo
e offrirlo,
come una preghiera
di ringraziamento
al Dio creatore.
Da questo armonioso roteare
di forme e di colori,
da questa antica musica,
rapita
mi lascio trasportare
finché mi addormento
appagata
per aver appieno colto
l’essenza dell’essere:
una costante trasformazione
che è in se stessa
completezza.

11 Settembre 2017

ABBANDONO

Sono come un sasso,
come un sasso sono
abbandonato tra l’erba
dall’ultima piena del fiume,
piatto, levigato,
asciutto.
Non ho più nulla
dell’aspra montagna
da cui provengo.
La pioggia scivola
su di me
senza alcun rumore
e il vento soffia
e mi asciuga.
Immobili rimangono
i fili d’erba intorno
e nell’aria si respira
l’odore acre
di fiori
appassiti.

Una mano invano
aspetto
che pietosa
sulla montagna
mi riporti
lassù dove il vento,
dove il lampo e dove il tuono
tutta la loro rabbia
sfogano
contro
l’uomo.

Settembre 2012

L’AIRONE

Fermati, almeno stasera,
appaga questo mio
stremato desiderio
di conoscenza
e
raccontami.
Non lasciare
che il mio sguardo
sgomento
si perda
nella perfezione armoniosa
del tuo volo
e che il cuore
si smarrisca
al battito ritmico
delle tue ali cinerine,
mentre alto
sopra di me
superbo
avanzi
verso il rosso infuocato
dell’orizzonte,
tu solo sai
dove
tu solo
impenetrabile, silenzioso
superstite testimone
di un mondo che sta
per scomparire.

2011

ARSURA

Avrei voluto dirti
come già il poeta
che
sei il mio giorno e la mia notte
il mio sole e la mia luna
che sei l’alba e il tramonto
il mio ieri e il mio domani
ma siamo due rapaci
tu ed io
che sbattono le
ali contro
infuocati
grattacieli di cristallo,
rostri e artigli
il vetro
graffiano
ostinati,
nel vano
disperato tentativo
di trovare
un appoggio;
esausti,
da una luce
accecante
abbagliati
infine
precipitano
sempre più in basso
in una caduta vertiginosa
che sembra non finire mai.

2 ottobre 2014

CORSA

Di tristezza mi hai fatto vestire;
sola
ora cavalco
un indomabile destriero
in questa notte di bruma
senza luna né stelle;
oceani di nera pece
attraverso
e deserti infuocati
di sconfinata solitudine.
Un dio crudele
sogghigna divertito
alle spalle
e il piacere pregusta
di vedermi cadere
mentre
nuove trappole
e nuovi falsi miraggi
per me prepara.

Maggio 2013

VIA HO GETTATO

Via ho gettato
la chiave
dello scrigno del cuore
e aspetto.
Aspetto che come un amante
in punta di piedi
nel mio letto
tu entri
e liberi
la mia mente
dai pensieri
che vi si affollano
e si rincorrono:
minacciose nuvole nere
che annunciano la tempesta.
Trova quella chiave
e
restituiscimi alla vita.

Gennaio 2012

TRAMONTO

Mi sei sempre
più vicina
e presto
mi raggiungerai
lo sento:
non amo
non prego
non osservo
non piango
non ascolto
né parlo.
Aspetto
di cadere
dal ramo
come prugna rinsecchita
in una caduta breve
come un battito d’ali,
una folata di vento
che spazza via per sempre
foglie ormai morte.

17 agosto 2014

TRAMONTO

Mi sei sempre
più vicina
e presto
mi raggiungerai
lo sento:
non amo
non prego
non osservo
non piango
non ascolto
né parlo.
Aspetto
di cadere
dal ramo
come prugna rinsecchita
in una caduta breve
come un battito d’ali,
una folata di vento
che spazza via per sempre
foglie ormai morte.

17 agosto 2014

LE MIE OCHE

I

Come quattro batuffoli
di candida lana
laggiù,
nella verdeggiante distesa
del prato
passeggiate una
dietro l’altra
mirabilmente
equidistanti;
mi fermo a guardarvi,
ammirata.
Si scioglie
il mio animo
e di me s’impossessa
una dolce-amara
nostalgia
di una comune appartenenza.
Libellula sono stata
o damigella, chissà
e le vostre danze
ho accompagnato
festose
sull’acqua di antichi stagni
acquitrinosi
pullulanti di vita
o forse
la mia brevissima esistenza
da effimera ho vissuto:
nata e morta
nello stesso giorno.

II

Ecco, mi avete visto.
Del vostro festante
vociare
si riempie l’aria.
Sfiorando l’erba,
volando quasi,
da me accorrete,
colli allungati
ali spiegate:
ventagli di seta
impreziositi
da una trama
di candide piume
finemente lavorate,
diverse
per forma e consistenza.
Morbidi ciuffi di piume
separati da piccoli solchi
profondi
esaltano
del collo allungato
bellezza e mobilità.
Soddisfatte
del cibo che vi ho offerto
sull’erba vi accovacciate
lasciandovi riscaldare
dal tiepido sole
invernale.
Le robuste zampe
scompaiono sotto le piume,
il collo
ripiegato all’indietro
mollemente affonda
nel morbido piumaggio
e la testa,
sotto l’ala nascosta,
lascia intravedere
una parte
del becco il cui colore arancio
contrasta
con il candore delle piume.
Ogni tanto la palpebra
si abbassa
e l’occhio,
blu intenso la pupilla
in un mare azzurro,
spicca vigile
luminosissimo
interamente contornato
da una rete arancione
di cordoncini finemente
intrecciati.

III

Il vostro bagno,
poi,
è un rito ancestrale.
Delicatamente
vi lasciate scivolare
sull’acqua;
rimanete ferme
per un po’,
abbandonate
e leggermente aperte
le zampe palmate.
Poi,
all’improvviso,
tutto si mette in movimento
e preannuncia l’arrivo
dell’uragano:
frenetiche sbattono
le ali
come mosse da un vento
impetuoso
simili a nuvole che
all’avvicinarsi della tempesta
vengono spinte
le une sulle altre e s’ingrossano
e si muovono
e cambiano direzione,
cosicché
si gonfiano le piume
e s’arruffano in attesa
della pioggia.
La testa
s’immerge nell’acqua
e un movimento
scattante del collo
la solleva.
Il becco
possente
spinge
il getto sul dorso.
Il collo,
allungato all’indietro,
inizia a muoversi
e a roteare
in ogni direzione:
ogni parte raggiunge
del corpo e il becco
seghettato affonda
tra le piume
e porta via le sporche
e le più deboli.
Poi,
la testa s’immerge
di nuovo
e si rialza
e s’immerge ancora
ed ancora.

IV

Amo
queste frenesie
di movimenti,
di suoni,
di battiti d’ali,
di piccoli getti d’acqua
che si sollevano
in aria
per ricadere poi
sul dorso e sulle ali
sotto forma di lucentissime
trasparenti
tremolanti
piccole perle.
Giosuè, Rachele, Agar, Ismaele,
del mio giardino
siete voi
i fiori più belli.
Voi,
siete le padrone indiscusse
del mio cuore.

21 gennaio 2022

AL MIO MUHIBBI

Scelta mi hanno
i tuoi eunuchi
fra tante
al grande mercato
di schiavi
di Istanbul
per i miei piccoli
acerbi seni
visibili appena
tra i lunghi capelli.
Forte batteva
il mio cuore
quando
tremante varcavo
la soglia dei tuoi
alloggi quella sera
all’imbrunire.
Ben lavato avevano
il mio corpo
all’Hammam
e massaggiato
con oli profumati.
Avrei baciato
così mi avevano detto
il lembo della tua
veste
senza alzare lo sguardo
e… poi?
Ma ogni mia paura
il tuo amore
ha allontanato
e ha fatto riemergere
la mia natura gioiosa
che temevo
di aver perduto
ormai.

Così Hurrem
mi hai chiamato:
“L’Allegra”.
Hai fatto venire per me
lucenti broccati dalla Persia
e sete dall’Oriente
e boccette di profumi
in cristallo di Boemia.
Di preziosi gioielli
di orafi esperti veneziani
mi hai fatto dono.
Ma sono le tue poesie
d’amore
il regalo più bello.
Ricordi?
Quella notte… Ricordi?
Nelle tue braccia
abbandonata
rapita
ascoltavo dalle tue labbra
le parole d’amore più belle
mai scritte.
Non eravamo soli:
una luce calda
soffusa
aveva invaso la stanza.
Rilucevano le nostre vesti
di raso intessute
d’argento,
le spille d’oro
tra i miei capelli
adorne di rubini
e di diamanti,
e le tende damascate,
e i cuscini e il soffitto
dipinto e intarsiato
di madreperla.
E… i tuoi occhi!

Era tra noi
la luna.
Le solitarie torri
del minareto
annoiata
aveva abbandonato
ed era qui ad esaltare
la nostra passione.
Al suo tocco
vita avevano preso
i fiori
sulle piastrelle di Iznik
alle pareti
e tulipani, rose,
giacinti e gigli
riempivano l’aria
intorno a noi
di colori
e profumi inebrianti.
Oh mio Muhibbi!
Per amore hai sfidato
consolidate tradizioni:
hai fatto di me
la tua sposa,
la tua consigliera più fidata,
e più di un figlio
ti ho dato.
Mi hai tenuta con te
fino agli ultimi giorni
quando
per non turbare il mio riposo
ogni suono di tamburello,
di violino,
ogni canto e musica
hai bandito dal palazzo.
Guarda!
Siamo ancora vicini.
Guarda i nostri mausolei superbi!
Dall’Oriente e dall’Occidente
accorrono
le genti
a renderci omaggio.
Davanti a te
s’inchinano,
Solimano Kanuni ,
e a me
la prima Haseki Sultan .

9 febbraio 2022

VECCHIAIA

Che siano banditi
tutti gli specchi
dalla mia casa;
né più giungano
al mio orecchio
dolci suoni
di oboe e di sistri,
né belati degli armenti
che lieti pascolano
nei campi verdeggianti.
Possano i miei occhi
non più riflettere
la luce del sole,
né i colori dei fiori
o l’intenso azzurro
del mare.
Che le membra
e la memoria,
deboli entrambe
ormai,
si accompagnino,
cosicché
da me
si allontani
ogni ricordo
di giovinezza.
Sola
aspetterò
nel silenzio,
nell’oblio,
che Atropo
il filo
recida della vita.
Rimpianti non avrò,
né nostalgia
alcuna.
Né oggetto di scherno
sarò,
di giovani irriverenti
che dei saggi consigli
di vecchi
si burlano
e ridono del desiderio
d’amore che spesso
arde ancora
nel petto di chi
a lungo ha vissuto.
Ecco, appoggiata a un bastone,
di nero vestita
la cupa figlia della Notte
mi è sempre più vicina.
Con un cenno della testa,
a guardare davanti a lei
mi invita:
la tomba aperta;
appoggiata a terra
la clessidra;
la sabbia scorre,
scivola…,
sta per esaurirsi.

18 febbraio 2022

LA MADRE

Soltanto sulla mia tomba
fra tante
è scritto il mio nome.
In questo modo ha inteso
il Consiglio degli Anziani
all’eternità affidare
il nome di colei
che
un così indomito guerriero
ha generato.
Figlio!
Di tua volontà
la morte gloriosa
hai cercato
impavido,
e distinto ti sei
in un combattimento
corpo a corpo
da pari a pari
sul campo di battaglia.
Ho io stessa
contato
le ferite mortali
sul tuo petto;
i tuoi lunghi
capelli ho pettinato
e lavato il tuo bellissimo
corpo
per poi cospargerlo
di balsami e oli profumati.
Infine
come si addice agli eroi
nel drappo rosso porpora
l’ho avvolto
sul quale ho poggiato
ramoscelli di ulivo.
Con me sei rimasto
soltanto
per un periodo assai breve.
Bambino ancora,
alla comunità ti ho affidato
orgogliosa
affinché alla tua educazione
provvedesse
per fare di te un valoroso
soldato.
Negli anni del lungo
estenuante addestramento
hai così affinato
quelle qualità
che già io
sin dal concepimento
e nella primissima infanzia
trasmesso ti avevo.
Da giovinetta
ho anch’io
il mio corpo
allenato
al duro esercizio,
alla fatica, alla resistenza:
generare figli
sani e forti,
ecco il dovere di una donna
di Sparta.
Figlio!
Una morte
più gloriosa
non avrei potuto
augurarti.
Ricordato sarai
per sempre
e onorato
come simbolo
di coraggio e dedizione.
In ogni città e in ogni paese
canteranno di te
gli aedi
come di un soldato impavido
che la sua vita ha dato
per la collettività
e come di colui che
le tenebre degli Inferi
ha vinto
con il suo valore.
Figlio,
la vita ti ho dato
ma tu
con il tuo estremo
sacrificio
a cui non ti sei sottratto
l’immortalità mi hai
regalato!

21 febbraio 2022

A UN GIOVANE GRECO

Sei bello e giovane.
Fino a quando
superbo
continuerai
da me
a fuggire?
Lasciati amare,
ti prego,
ora
subito,
non respingere
i miei regali,
e leggi i versi
che per te
ho scritto.
D’amore
ogni arte
t’insegnerò
e se soddisfatto
non sarai
i lacci allenterò
d’amore,
te lo prometto,
e lasciarmi potrai
in ogni momento.
Vieni, presto.
Domani stesso,
Afrodite la Bella
cinta di viole
potrebbe,
offesa,
i doni riprendersi
che a te
a piene mani elargì,
e Eros,
il dolce dispettoso
fanciullo,
che tu ora
sconsiderato
respingi,
potrebbe colpirti
quando rughe profonde
il tuo viso ora liscio
solcheranno
e ahimè nasconderle
non riuscirà la rada peluria
sul mento e sulle guance
ormai scarne.
Allora bersaglio sarai
dei giovani che scherno
di te si faranno.
Ti tormenterà il ricordo
dell’amore
a me negato
e ti consumerà
l’amaro pensiero
che il tempo d’amore
per te
è finito
ormai.
L’ira degli Dei
ti perseguiterà;
minaccerà Persefone
di portarti via.
Meschino,
sperimenterai
quanto sconveniente
e amaro
sia a 60 anni
parlare d’amore.

(Ispirata dall’ascolto della conferenza “Eros e Amore nell’antichità” della bravissima, bellissima, dolcissima Eva Cantarella)

16 marzo 2022
A DIO

Non lasciarmi
vagare
tra le pallide ombre
nella notte perenne
e funesta
dell’Ade.
Non consentire
che alle mie orecchie
giungano
i gemiti, i sospiri,
le amare
parole di rimpianto;
concedimi
invece
di ritornare
nel mondo della luce
con possenti ali d’aquila.
Dopo interminabili
giorni di tenebra
dovrò di nuovo
allenare tutti i
miei sensi
prima di partire
per il lungo viaggio.
Liberarmi
dapprima
dovrò
da ogni impurità.
Per questo
lassù volerò
sul monte Fanjing
dove cielo e terra
si toccano,
dove l’uomo si fa Dio
e Dio uomo;
lassù dove
i templi di Buddha e di Maitreya
appaiono sospesi
nell’aria
così che sembrano toccarsi
sulla cima di due
superbe rocce colonnari
equidistanti.
Placherò poi la mia sete
nelle acque
impetuose e cristalline
della Grande Madre
Amudaria
là dove già
i possenti cavalli Bactriani,
immergendo il loro
corto e robusto
tozzo collo
si abbeverano
nelle acque scroscianti
tra massi scagliati
qui
da chissà quali possenti
creature;
qua dove
il Grande Alessandro
fondò illustri città.
Affinerò la mia vista
osservando
la sconfinata spiaggia
rossa di Panjin
e in volo
i meandri del fiume
Liao seguirò.
Con ali spiegate
planerò
sulla immensa distesa
di foreste inesplorate,
sui verdi terrazzamenti
da mani
laboriose ed esperte
curati,
dove le esili pianticelle
di tè,
mosse dal vento,
ondeggiano luminose
in un mare di smeraldo.
Sul dedalo di canali
planerò
disegnati dal fiume
dei nove draghi
prima di gettarsi nell’oceano,
laggiù dove
agili imbarcazioni
scivolando sull’acqua si aprono
lentamente
la strada tra lussureggianti
distese di ninfee dai tenui
colori.
Osserverò ammirata
le numerose barche
che affollano i mercati
galleggianti
stracolme di frutti
d’ogni specie,
d’ogni forma,
colore e profumo.
A pieni polmoni
ne respirerò gli aromi.
Infine,
così rinvigorita,
inizierò il desiderato
viaggio
a ritroso nel tempo
e nello spazio.

7 agosto 2022

APPARENZE

Davvero bella
sei,
ragazza dalla pelle vellutata
e dalle guance
bianco-rosate,
delicate come il fiore
del Melo-Cotogno.
La primavera scoppia in te
e al centro dell’universo
ti senti,
ma da sola non sai stare,
la noia è la tua
inseparabile compagna.
Vuoi apparire la più bella
e non avere rivali.
Essere corteggiata
ti piace
ma ancora di più
veder soffrire chi di te
si è perdutamente innamorato.
Mi vedi passare
con la mia avanzata età
e all’orecchio dell’amica
qualcosa
che suscita il vostro riso
sussurri.
Ma chi può dire,
giovane ragazza,
che l’autunno meno bello sia
della primavera:
forse i colori
giallo-oro aranciato
del millenario Ginkgo Biloba
in bellezza non uguagliano
i tenui fiori
della Rosa Canina?
O forse l’alba è più suggestiva
e più misteriosa
del tramonto?
Tu una sola sei,
ed io mille e mille essenze.
Ogni giorno,
ogni ora
in epoche e luoghi diversi
io vivo
tra civiltà millenarie
dall’Asia all’Europa,
dall’Estremo Oriente all’Africa,
dal Pacifico al Mediterraneo.
Batte forte
il mio cuore;
antiche genti
mi hanno forgiata.
Ecco:
alba e tramonto
io sono,
e tu,
soltanto la tua
vanità.

20 agosto 2022

INGANNI

Sono la foglia
che nel brumoso mattino d’autunno
attende la mano pietosa del vento
che l’aiuti a lasciare il ramo
ormai spoglio.
Sono il pesce
che, ignaro, nuota
verso la trappola mortale
tesagli dalla spietata
tartaruga Mata-Mata.
Sono il pinguino Salta Roccia
che per amore
il mare in tempesta
sfida
e paziente attende l’onda propizia
per risalire la ripida,
scivolosa,
alta scogliera
dove forse troverà la morte.
Sono una madre Herero
costretta ad abortire
nel deserto di Omaheke;
sono una piccola Nama
morta di stenti
nel campo di Shark Island;
sono una giovane sposa Hasara
dei suoi seni mutilata
e ridotta in schiavitù;
sono una ragazza di Nanchino
gettata viva
nel fiume Yangtze.
Sono una bambina
Yazida,
Curda,
Rohingya,
Armena,
Ebrea
nata morta
e insieme alla madre
in fretta sepolta
lungo l’estenuante cammino
della morte.
Tutte le donne io sono
che in catene affollano
il cortile della casa degli schiavi
a Gorée
in attesa di chissà
quale destino.
Eppure mi avevano detto
che per amore
Tu mi hai creata
e dalla costola dell’uomo,
quella più vicina al suo cuore
per essere maggiormente amata.
Così ci hanno detto
per consolarci
di questa subalterna posizione:
noi create dall’uomo per l’uomo.
Burattinaio capriccioso
chissà quanto divertito
Ti sei
a tirare i fili
del nostro destino:
amare incondizionatamente
era la più sublime
forma di amore.
Questo ci hanno fatto credere,
questo ci hanno insegnato
e che TU SEI AMORE.
Eppure, proprio Tu
hai lasciato che
la stirpe di Caino
sopravvivesse
e ci hai abbandonati.
Dov’eri TU DIO
quando sin dagli albori
della sua comparsa sulla terra
l’uomo era costretto
a fuggire,
a lottare,
a nascondersi,
a uccidere
per non essere ucciso.
TU SEI STATO
SEI STATO TU
AD ESSERE CREATO DALL’UOMO
quando egli sulla sua pelle
era costretto ad imparare
a sopravvivere.
Ecco, finalmente
mi sono staccata dal ramo
e leggera
danzo tra le braccia del vento
che infine
delicatamente
mi depone
sulla terra,
che nel suo ventre
pietosa
mi accoglierà.

27 agosto 2021

INNO A KHA

Sentire mi hai fatta
davvero
come il mio
nome, Merit,
dice:
“Amata”.
Il tuo amore:
Silenzio;
Ascolto;
Scoperta;
Meraviglia;
Rinnovamento,
entrambi
i nostri cuori
leggeri
ha reso
ed ora
sereni
avanziamo,
tenendoci per mano
verso il Tribunale
del Divino Giudizio.
Ecco,
per noi spalancato
ha già la porta
sui Campi Jaru,
il Guardiano
Anubi.

Andiamo.
Bagliori accecanti
la tua collana – shebyu
e il mio collare – usekh
mandano;
e i bracciali
e i nostri orecchini.
Guarda! Perfino
la mia cintura
di conchiglie!
È Ra, il dio sole
che si compiace
della nostra presenza.
Vieni… Senti
come delicatamente
i nostri piedi
affondano
nel muschio
che soffice
lambisce
le sponde del lago.

Guarda!
Di aironi e rondini
uno stuolo
in volo si è alzato
laggiù
dall’isoletta di papiri
e di giunchi
e lì vicino
pesciolini di vario colore
festanti
guizzano
fuori dall’acqua
sui fiori di loto
che si chiudono
e si aprono
per trattenerli.

Vieni mio sposo,
abile supervisore
delle opere del
faraone;
tra poco
rinfrescarti potrai
all’ombra
degli alti palmizi
laggiù, oltre
i campi di grano;
là, dove
i nostri cari
“giustificati”
già stanno per noi
allestendo
un banchetto
ricco di offerte:
carne e focacce
datteri, mandorle,
uva e noci di palma;
e vino e birra
per i nostri Ka;
acqua in abbondanza
ci offrirà
la Dea del Sicomoro.
Riposare potrai poi
di nuovo
nel tuo letto
e Tanit,
la nostra amata gattina
dormirà
come sempre
ai tuoi piedi.

Oh, mio amato Kha,
tu,
che sempre
ogni mio sogno
hai assecondato,
con la tua bocca
sulle mie labbra
imprimi
il sigillo
di un amore
eterno
che tenga uniti
i nostri Ka
e i nostri Ba,
per sempre.
Lasciamo che il vento
leggero del Nord
le nostre immacolate
vesti
trasparenti
sollevi,
e che i “giusti di voce”,
ogni pianta, ogni insetto
ed animale,
gli Dei tutti
godano
della visione dei nostri
due corpi
rinnovati,
uniti in un unico
luminoso spirito,
Akh,
testimone
dell’armonia
e dell’ordine
di Maat.

20 dicembre 2022

IL VIAGGIO DELL’AQUILA

D’ocra si tinge,
dai primi raggi di sole
colpita,
l’alta parete rocciosa
sovrastante il Monastero.
È il momento:
con un balzo
i possenti artigli
e le ali distendo
e nel vuoto
mi lancio.
Riecheggia nell’aria
il mio grido d’addio
al Buddha Dormiente
e alle Grotte di Mogao
dove rifugio ho trovato.
Con giri concentrici
sempre più ampi
ai monaci porgo, commossa,
l’ultimo saluto.
Forti correnti
ascensionali
il mio volo guidano.
Già vedo scorrere
tra aspre montagne
desertiche
la Grande Madre
Amudaria;
i possenti cavalli Bactriani
riconosco
mentre si abbeverano
alle sue acque che scorrono
impetuose e gorgoglianti
tra grandi massi levigati
portati qui
da chissà quali
creature aliene.
È su questo suolo
che il Grande Alessandro
i suoi piedi ha poggiato,
lui che per primo ha creduto
nella pacifica convivenza
tra popoli di culture
diverse.

Il “sadhu” ora seguo
che con i fedeli di Shiva
nelle acque del Sacro Fiume
a Dev Ailat
si purifica.
Sul volto rugoso
di cenere cosparso,
nella folta barba bianca
e nei sandali
usurati e scoloriti,
gli indelebili segni
leggo
di una vita fatta di
rinunce
privazioni
digiuni
veglie.
A gambe incrociate
seduto,
il palmo delle mani
rivolto verso l’alto
inizia
la sua lunga
monotona
preghiera.
Poi l’incontro con Dio:
sulla fronte ora più distesa
chiaro appare
il Tridente di Shiva;
si aprono gli occhi
nerissimi e lucenti
immobili
guardano lontano.

Troppo mi sono avvicinata;
l’odore acre
che la combustione dei corpi
sprigiona
impregna l’aria
e il fumo che sale
dalle pire accese
gli occhi
brucia.
Con un battito d’ali
mi allontano.
Vacillo
investita da un folto
stormo di avvoltoi,
i divini messaggeri
tra la terra e il cielo
che ad adempiere
si apprestano
il pietoso compito:
scarnificare
i nudi corpi impuri
dei defunti
e trasportarne in cielo
l’anima.
Li osservo
mentre famelici
ne attendono l’arrivo
appollaiati ai bordi
delle Torri del Silenzio
che l’altopiano desertico
di Yazd
dominano
e mi domando
commossa
quale sia il mio compito;
forse scoprirlo potrò
alla fine del viaggio.

Ecco in basso
lunghe carovane
di cammelli
avanzare lentamente
vedo,
sotto il pesante carico
di merci.
Stanno entrando nella città,
“la variopinta”,
così la chiama
l’industrioso popolo
che l’ha costruita.
Il vociare dei mercanti
sento
intenti
ad abbeverare gli animali.
Eccoli raccolti in preghiera
dopo le abluzioni,
inginocchiati in direzione
della Città Santa.
Lunghe file
di capi incorniciati
da scuri turbanti;
tutti insieme
si piegano
fino a terra
più volte
e insieme tutti, di nuovo
si rialzano
in segno di devozione.
Perché la preghiera?
L’uomo così orgoglioso
il divino riconosce
o forse è un modo
per mettere a tacere
la coscienza?
Chissà?

Affrettare il mio volo
devo.
Ecco finalmente
il Fiume che il paese
delle Due Terre bagna.
Il blu intenso
delle sue acque,
il verde lussureggiante
dei palmizi
che ne costeggiano le rive
contrastano con il colore
del deserto vicino.
La barca
del Dio Amon
lentamente avanza
in direzione di Karnak.
Solo a me dall’alto
è dato vedere il suo carico
sacro:
la statua di Mut
sua sposa
e quella di Khonsu
il loro figlio;
ognuna nel proprio
sacro sacello.
Sacerdoti
a capo rasato
e di pelle di leopardo
vestiti
portano le insegne regali
e i flabelli processionali.

Si snoda lungo la riva
il corteo festante
di danzatori nubiani
che ballano al suono
di tamburi;
le sacerdotesse
i sidri agitano
e il popolo tutto,
numeroso
canta e formule magiche
recita
per ingraziarsi il Dio.
Nell’aria
l’odore del sangue
degli animali sacrificati
si mescola
al profumo dell’incenso
sparso dai sacerdoti
per purificare la terra.
Riposare vorrei,
ma ho fretta di attraversare
il mare
prima che sopraggiunga
la notte.
Al di là un popolo vive
che crede in me,
nella mia capacità
di guardare il sole
senza esserne
accecata.
Un popolo che,
primo fra tutti,
la mia effige
porre ha voluto,
quale simbolo
di autorità e di regalità,
sullo scettro
del suo Lucumone.
Quella terra
intendo raggiungere
e là restare
e riposare per sempre.

23 dicembre 2022

AL MIO AMATO ISMAELE

Nel tuo
sempre più frequente
isolarti
dalle compagne,
la stessa lacerante
angosciosa sensazione
di solitudine,
il senso
di non appartenenza alcuna,
e del non essere,
in te ho riconosciuti
e ancora mi attanagliano
ad ogni risveglio.
Poi il tuo ostinato
rifiuto di cibo,
il passo sempre più incerto,
il tuo lasciarti prendere
senza mostrare
alcun gesto
di ribellione,
nessun suono dalla tua bocca…

Infine la morte
tra le mie braccia.
All’istante
rigido è divenuto
il collo superbo,
fredda al contatto
delle mie labbra,
la tua bocca…
e le tue zampe…
una sotto le candide piume
raccolta,
allungata l’altra…
aperte le palme…
Così sei rimasto!
E l’occhio luminoso
si è spento
piano piano.
È stato straziante.
Di baci e di lacrime
ti ho coperto,
mentre perdono
ti chiedevo
per la tua sofferenza.

Ho adagiato
in un cesto di vimini
delicatamente
il tuo corpo
avvolto
in un panno di lino;
poi nella terra a me tanto cara,
dai miei antenati
con amore per secoli
lavorata,
darti sepoltura
ho voluto
con il corpo
ad oriente rivolto,
così che accoglierti
potrà
sulla sua barca solare
Ra-Khepri,
il sole del mattino,
quando ogni giorno
vittorioso sorgerà
sulle forze del male.
Ismaele
ti ho chiamato,
come il figlio
di Abramo
e della schiava Agar;
e non potevo scegliere per te
nome più bello,
capostipite
di un grande popolo,
al quale l’Occidente
un giorno
chiedere perdono dovrà
e tributargli per sempre
eterna gratitudine.

11 gennaio 2023

AI MIEI NIPOTI

Dell’abito più bello
vestitemi
e un mazzo di fiori di campo
fate in modo
che la mia gelida mano
stringa sul petto,
dalla parte del cuore,
su ciò che di esso,
misero,
resta.
Che nessuno veda i graffi
che la Padrona del Tempo
profondi
ha scavato
strappandone via
ricordi,
sogni,
illusioni,
e la bellezza
e l’amore.
E mentre trascorrevo
i miei giorni
nel grigiore
della malinconia
e della solitudine,
Lei godeva
di questo mio vivere
in esilio.

Miei amatissimi,
il dolce suono
delle vostre allegre risate,
il vostro bisbigliare
dolce e malizioso,
lo splendore
dei vostri occhi lucenti,
nell’altra mia mano
nascondete
e a pugno serratela
stretta,
così stretta
che nessuno
possa più aprirla.
Rimanete in silenzio.
Di essere stata ingannata
non si accorgerà
la crudele Padrona del Tempo.
Compiaciuta,
attorno mi girerà
e guardandomi
rimarrà lei stessa
stupita
della potenza
della sua Arte.

31 marzo 2023

SERA

Ombre
da indefiniti contorni
mi accompagnano;
insistente
al mio orecchio
dal bosco vicino
giunge
il lugubre canto
del cuculo.
Poi, la tua dolce voce…
i tuoi occhi…
Come melodia
si spande nell’aria
il mio nome.
Le tue braccia
mi tendi;
trattenermi vorresti
e accanto a me
distenderti
sul soffice muschio
del prato
sotto l’olmo secolare
adorno di antichi
licheni.
Ma il cielo purpureo
di affrettarmi
mi dice.
Ecate,
la vergine dai piedi rossi,
non può
più a lungo aspettare.

5 agosto 2023

A HYPNOS

Dolce è attenderti,
o possente Dio del sonno,
in questa calda
notte d’estate
mentre sul letto distesa
rapita ascolto
l’incessante canto dei grilli
e il gracidare delle rane
e il profumo respiro
dell’erba
da poco tagliata.

……….…

Un lieve battito d’ali
muove l’aria.

Ecco…
accanto a me ti distendi
leggero,
grato della mia devozione.
Tutta mi avvolge
il tuo giovane corpo;
nudo a te mi stringi
dolcemente.
Sul tuo petto,
di rossi papaveri
cosparso,
il mio capo
con una mano
poggi
delicatamente,
mentre con l’altra
il corno dei sogni
al mio fianco
deponi.
Da ogni afflizione,
da qualsiasi affanno
si libera,
allora,
l’anima mia.
Risanate sono
le mie deboli membra
da ogni
quotidiana fatica.
Con le tue ali
mi avvolgi.
Il tuo delicato respiro
carezza
il mio viso;
si schiudono gli occhi
a poco a poco
e tra le tue braccia
inerte e docile
mi abbandono.
Mi sollevi
e con te mi conduci.
Tutto ciò che mi circonda
scompare.
Veloci come stelle cadenti
nel tempo
e nello spazio
a ritroso voliamo.
Anni, secoli, millenni
e altri millenni ancora
con te attraverso.
Ecco… finalmente!
Sulle feconde
e torbide acque
dell’immenso
Oceano Primordiale
mi deponi.
Fluttuo leggera.
Nel profondo silenzio
in gioiosa trepidazione
attendo
che tutto
abbia inizio.

7 agosto 2023

CAMBOGIA

Nei tuoi occhi
nerissimi e profondi
la sofferenza
ho letto
di una dura
sopraffazione.
Ritrarmi
avrei voluto
e da te fuggire,
ma all’istante
al sorriso si è aperta
la tua bocca
dai contorni decisi,
carnosa e sensuale
come quella di un Deva
nella zangolatura
intento
dell’oceano di Latte.
Per primo
la mano mi hai teso.
Storditi
dall’insistente canto
di cicale
e inebriati dalle movenze
sensuali e ammaliatrici
di apsaras
voliamo ora
noi due,
inseparabili colombi,
su sconfinati campi
di un verde lucente.

Sotto di noi
estese costruzioni in pietra,
a tratti da possenti radici
di alberi secolari
tenute prigioniere,
imponenti appaiono
tra la folta vegetazione.
Le torri massicce
e superbe sfidano
il cielo
ed estesi specchi d’acqua
a tratti ricoperti di muschio
e fiori di loto
verso il cielo protesi,
frescura donano
e luminosità
ad ogni cosa.
Poi…
uno sbattere di ali… improvviso,
un forte vento…
Tremano
le delicate pianticelle
di riso
mentre una moltitudine
di uccelli
di ogni forma e colore
in volo si alza
e festante e rumorosa
a noi si unisce
in questo catartico
interminabile volo.
Ecco,
non siamo più soli.

30 novembre 2023

DOLCE METAMORFOSI

A correre iniziammo
sotto la pioggia monsonica
lungo il sentiero
di arenaria rossa
di grandi massi cosparso,
antiche vestigia
di un glorioso passato;
e il riparo ci accolse
sotto l’architrave di pietra
saldamente imprigionato
tra gigantesche radici aeree
che in ogni direzione
come tentacoli
si allungavano luminose.
Il profumo di terra bagnata
ci ha destati.
Come un grande sipario
si è spalancata
la fitta foresta tropicale,
ed ecco
davanti a noi
l’imponente tempio di Angkor.
Maestoso si rifletteva
nel fossato intorno
di ninfee rosa cosparso;
due palme ai lati
altissime, esili
ne alleggerivano il profilo severo.
Le rotonde torri-santuario
simili a fiori di loto
si alzavano dolcemente al cielo
a tratti solcato da lucenti bagliori
rossastri,
ultimi tentativi di un sole morente
di aprirsi un varco
tra nuvole nere.
Guarda! mi dicesti
tu ed io laggiù
su quella parete
anche noi scolpiti
al seguito del sovrano
trionfante!
Dall’emozione sopraffatti
ci siamo stretti uno all’altro
in silenzio.
Soffice muschio
dalla terra sui nostri piedi
umido e profumato
saliva;
sulle nostre gambe si attorcigliava
e su su fino al ventre,
e sui miei seni.
I nostri volti
ricopriva leggero
e i nostri occhi chiusi.
S’indurivano i corpi
piano piano,
le nostre membra tutte:
muschio e roccia
roccia e muschio
eravamo ora,
da possenti radici
abbracciati,
testimoni anche noi
del misterioso mondo
di Angkor.

29 gennaio 2024

LA VITA

Naufrago in una terra sconosciuta,
apri gli occhi e ti domandi
dove ti trovi.
Nulla ricordi,
ma non importa.
Bello è il cielo azzurro-
intenso sopra di te;
dolce l’onda che i tuoi piedi
bagna delicatamente
per poi ritrarsi
accompagnata al suono armonico,
ripetitivo,
della risacca che ti culla
come una ninna-nanna.
Il sole il tuo corpo
riscalda,
e a respirare riprendi.
Sarà bello addentrarsi
in questa terra sconosciuta
e scoprirne a poco a poco
i segreti.
Poi…
di nuovo l’onda,
altissima questa volta,
improvvisa ti travolge,
e non c’è scampo
ora.
Mai più ci sarà una spiaggia
dove trovare rifugio;
e mai più un luogo sconosciuto
da scoprire.

18 marzo 2024

NEW YORK

Leggera volo,
libera nel sole,
piccola
bianca farfalla
tra una moltitudine
di fiori
di ogni forma,
dimensione,
colore.
Un vento leggero
ne piega
gli steli:
dolci suoni
si diffondono intorno
e le corolle
ondeggianti
come in una danza
vivaci arcobaleni
di luci
sprigionano
e di colori.
S’impregna l’aria
di profumi fruttati
che eccitano
le mie sensibili antenne;
si fa più frenetico
allora
il mio volo
rapido a zig-zag
di fiore in fiore.
Si aprono le ali
e si toccano,
e rimangono chiuse
per un istante
mentre la mia esile lingua
affonda nel fiore
e ne gusta
la sostanza zuccherina.
Infine, sazia
e ancora stordita
da tanta bellezza e perfezione,
mi alzo in volo;
dall’alto osservo
quell’immensa distesa
di fiori multicolori
che nutrita mi hanno
e prolungato,
sia pure di pochi giorni,
forse,
questa mia,
ahimè,
troppo breve vita!

17 aprile 2024

AD ATROPO

Non tagliare il filo,
Atropo,
concedimi di godere
d’una primavera ancora,
questa.
Ascolta con me
il canto d’amore
del piccolo usignolo
che sale dal fitto cespuglio,
laggiù,
dove il bosco ha inizio:
un melodioso gorgoglio di note
che chiare e potenti
risuonano
magiche
nel silenzio della notte.
Guarda!
Anche la luna
rapita dal canto ascolta
stupita tra i rami del pioppo
immobile.
Passeggia insieme a me
nel giardino ricolmo
di piante e fiori,
proprio come la mia anima
inquieta lo è
di pensieri e di domande,
di sogni e sensazioni,
di dubbi e desideri.
Come farfalle
lasciamoci attrarre dai suoi colori;
i profumi respiriamone
come fa l’ape che ubriaca di polline,
intrappolata tra gli stami,
quasi non riesce a sollevarsi.
Lontani sono l’estate e l’autunno,
ancora più lontano l’inverno.
Ma cos’è una stagione
rispetto all’eternità?
Parlami.
Dimmi che un’eterna primavera
vivrò
e che finalmente placherò
ogni mia inquietudine.
Vieni più vicina.
In fondo il canto dell’upupa
non è poi così triste.

8 maggio 2024

DESERTI

All’improvviso
sei apparso.
Sul tuo dromedario
maestoso scendevi
l’ondulata, ampia distesa
di sabbia rossa.
Nitido
si stagliavano il tuo profilo,
l’ampio mantello scuro
e il tagelmust indaco
tra i caldi bagliori giallo-ocra
del cielo al tramonto.
Veloce e leggero
a me sei giunto
e sollevata mi hai con il tuo braccio,
e a te stretta dolcemente.
Rilucevano i tuoi occhi,
due isole blu in un mare perlaceo.
Hanno allora preso a tintinnare,
festosi,
al ritmo cadenzato
dell’animale spronato alla corsa,
gli anelli in oro del mio copricapo
e le campanelle d’argento dei finimenti.
Luccicavano le madreperle
e le pietre di luna che ornavano
la mia veste
mentre dal mio grembo
ad una ad una cadevano
sul tappeto di sabbia
i papaveri viola,
i fiori rosa e bianchi
della saponaria,
i ramoscelli fioriti
delle tamerici,
le erbe con così tanta cura
raccolte.
La grotta ci ha accolto
tra colline di arenaria punteggiate
di cespugli in fiore
e di piante aggrappate alla roccia
con radici possenti come tentacoli
di piovra.
Dove la sabbia era più fine
il tuo mantello di lana
hai disteso
ancora caldo del tuo calore
e lì adagiata mi hai
dolcemente.
Un piccolo grido
ho mandato;
con delicatezza allora,
il nijab mi hai sollevato
e coperta di baci e di carezze.
Sentivo il calore del tuo corpo
e il profumo della tua pelle
respiravo
cosparsa di sfumature bluastre.
Bande di arenaria bruno-rossastre,
gialle, verdi, biancastre,
di un marrone delicato,
hanno preso ad avanzare come onde
verso di me;
leggere mi cullavano
avanti… indietro…
avanti… indietro.
Ci osservava curiosa
la grande luna gialla da lassù,
all’ingresso della grotta.
Ho chiuso gli occhi.
Li chiudo sempre
ogni qualvolta intendo
sognare di te,
misterioso, dolcissimo
nomade cavaliere
della Valle della Luna,
mio unico per sempre
compagno
in queste lunghe
lunghe notti di buio
senza luna né stelle.

15 novembre 2024