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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

18 Luglio 2009

A RAFFAELLA

L’amore era già in te,
allora:
tra i fiori seduta,
gli occhi muovendo alle cose,
ridevi.

20 gennaio 1967

MI GIRI ATTORNO
(passeggiando alla pieve di Santo Stefano)

Insieme andiamo per questi colli
all’ombra degli ulivi
che, bassi, ci carezzano il capo;
tu allunghi la mano
e cogli il nero frutto asprigno.
Dalla fattoria vicina,
un po’ più in alto, cintata,
viene l’odore della stalla
e il muggito del bue,
re di quest’aria.
Dove vanno i miei pensieri
mentre mi punzecchi con la tua allegria
e mi giri attorno?
Saliamo ancora…
e tornano i segni del tempo andato
su quell’altra villa
ancora splendente di alberi secolari,
di giardini
e di mura alte intorno
ad incastonare la gemma degli archi
che da lassù dominano Lucca intera.
Il sole sorridente
d’un mezzogiorno che non ha eguali
su questa collina,
caldo, confidente,
guida il mio passo di camminatore
e sciolgo i miei pensieri,
il viso distendo contento
d’una serenità che m’allieta la vita,
e tutto sembra apparecchiato
per i miei occhi e il mio cuore.
Tu intanto ancora mi punzecchi
e mi giri attorno
ed io ti intravedo fra i miei pensieri,
ti tendo la mano
e tu me la offri
ignara di riempire la mia lontananza.
Oh, questo tepore della natura
che non ammette il trascorrere del tempo!
Tepore che viene da lontano
e sempre è stato eguale
in quest’ora.
…Tuffarci lì dentro
e rimanervi
mentre tu mi giri attorno
e con la tua allegria
dai splendore alla mia
esistenza.

20 marzo 1988

A Raffaella
TU MI RIMPROVERI

Tu mi rimproveri
perché non ti dico più spesso
ti amo,
ma nessuna cosa al mondo
amo più di te.
Quando coi tuoi giochi
mi tratti da bambino
o quando ai nostri figli,
indicandomi, dici:
ecco l’orso della casa;
quando, fuggita dai tuoi,
troppo brontoloni,
vieni a sederti accanto a me
e parli della tua Inghilterra,
del Galles o della dolce Scozia selvaggia,
o quando, mentre ascolto il telegiornale,
invadi la stanza con la tua voce
e più non sento nulla
e ti faccio il gesto supplicante
di tacere,
oh sì, io ti amo
e nessun amore è così ficcante,
così caldo,
così odoroso;
o quando nuda giri per la casa,
ma nuda per davvero
come un’eterna diciottenne,
e vieni a servirci la colazione
e i nostri figli ti guardano e sorridono,
oh potessi donarti il mondo
per questa tua allegria!
La mia mente ritrova te, sempre;
nei momenti di smarrimento
sei tu che mi fai risorgere:
quando ti conobbi giovane e bella
e mi apparisti all’improvviso
davanti al negozio di fiori,
tu la rosa più splendida,
ed io sentii di averti trovata,
donna dei miei sogni,
della mia adolescenza felice.
Tu mi rimproveri
perché non ti dico più spesso
ti amo,
ma nessuna cosa al mondo
amo più di te,
ed il mio è l’amore senza parole,
quello che leggi negli occhi,
che vibra nel corpo
quando sento la tua voce,
nelle mani calde
quando le stringo a te.
Nessuna cosa al mondo
amo di più,
e lo sa il vento
che ci carezza sulla collina
a sera
e noi nel silenzio ascoltiamo
l’usignolo;
lo sa il bosco che ci conobbe
coi nostri figli vocianti,
e i grandi pini odorosi
che ci aspettavano,
i nostri visi all’insù,
rivolti alle chiome giganti.
Non potrei vivere senza di te,
se mi lasciasse la memoria
di ciò che sei stata e sei
ancora oggi.
Tu mi rimproveri
perché non ti dico più spesso
ti amo,
ma nessuna cosa al mondo
amo più di te.

13 marzo 1988

LA MAMMA MI COLSE

La mamma mi colse nella steppa,
così mi hanno detto;
c’era il sole e una capra
mi stava mangiando.
Ehilà,
nacqui nella steppa
e il sole mi tenne a battesimo;
per questo sono bella e irrequieta
e gli uomini mi corrono dietro.
Ti sei innamorato di me,
si vede dagli occhi che ti piaccio.
Ma bada, non avvicinarti,
ho gli artigli dell’aquila.
Hai gli occhi lucidi e rossi,
segno che sei cotto di me;
posso fare di te quel che voglio,
se mi va.
Mi piace la vodka come agli uomini
e qualche volta ho bevuto
e mi girava la testa.
Ehilà,
guardate come ballo
e come sono agile.
Prendimi tu, se sei capace.
Ci hanno provato già tanti,
ma son rimasti a bocca asciutta.

1964

SE AVESSI

Se avessi una bicicletta
nuda così me ne andrei.
Gli uomini mi verrebbero dietro
ed io sarei contenta.
Oppure nuoterei nel lago
ora che il sole è già alto
e aspetterei che gli uomini
si radunassero qui.
Staresti affondato nell’erba
a ridere.

6 dicembre 1968

Al professor Guglielmo Lera
LUCCA

Sotto le mura
della mia città
in Primavera e in Estate
schiamazzano i ragazzi
e le loro risate
sul verde dei prati
rimbalzano intorno.
Li osservo dal viale
e mi ricordo
le grida di allora
coi compagni.
I turisti sciamano a frotte,
l’ammirano incantati,
la magica bellezza
riflettono negli occhi;
la sognano al Nord
tra boschi di neve,
la misurano ai castelli;
ma queste mura
che nascono dal verde
così massicce
e così gentili
con la corona degli alberi
fioriti
solo qui
si possono trovare
e, dentro,
gli uomini antichi
rievocare
sui selciati d’un tempo!
I tetti vicini,
il piccolo anfiteatro,
l’orologio della Torre,
il leccio dei Guinigi…
È davvero bella la città
e più bello ancora
è sentirla nella voce,
nei rumori
delle notti,
nel respiro
delle ombre,
nell’odore
dei suoi anni
come la sento io
che l’ho qui
dentro la carne,
dentro il mio cuore.
Oh, i portoni
consunti,
le logge
buie
dove mi nascondevo
col terrore
giocando,
quelle corse nelle strade
di sera
quando l’Estate era calda
e il Maggio aveva
il profumo delle rose!
Ogni pietra ha visto
i miei passi,
udito la mia voce
ed ogni volta
che varco le sue porte
lo sento che mi accoglie
contenta
la città,
mi riconosce
ed apre quelle braccia
così tenere,
così dolci.
I suoi rioni ricolmi
di umanità
di amicizie sconfinate
di faide efferate
di rancori
mi hanno fatto uomo.
Il turista non sa
di Cittadella e Pelleria
di Piazza e del Bastardo,
di ciò che pullula
nella via
dei suoi terzieri.
Se potesse sentire
anche questo
come lo sente il mio cuore
oh, certo rimpiangerebbe
il mio amore
e di non esser cresciuto
qua.

10 giugno 1988

Alla mia Raffaella
AMORE NOSTRO

Suona l’oceano quieta musica d’acque
e si solleva il canto fino agli antichi
crateri dello spazio
dove tesse l’andare e il venire il tempo.

Si colora di Primavere nuove
e sparse nell’infinito,
l’aria del nostro desiderio
e spiriti folli

danzano leggeri le nostre parole
svelate nell’improvviso abbandono
come un libro che si apre a narrare
le nostre storie senza giorni.

Corre la nostra eternità,
imprigionata nell’intreccio
azzurro dei nostri occhi
marini

sul tremolante filo delle onde
dove abbiamo distese le nostre braccia
smisurate,
alla conquista di noi stessi.

20 febbraio 1966

ANALISI

(scena di sinistra)

un uomo e una donna
scendono la collina
li scuotono
scoppi di riso convulso
Alzando lo sguardo
la vede correre e i suoi
occhi non danno alcun segno

(scena di destra)

si alzò dicendo
che ci lasciava soli Avremmo
dovuto notare come tutto
torna alla normalità
Guardava dalla finestra
La macchina continuava
a correre e provava
un’ebbrezza

(conclusione)

desideravano che
me ne andassi
Una specie
di ombra si mosse
tra i castagni e pensai
che una sola
creatura mi ha amato.

13 aprile 1969

SPIRALE

Lungo il viale
ecco i corvi invernali
scendere
sperdersi o tuffarsi
Sdraiata prendi
tra le mani
la sabbia dorata e sento
che nulla ti pesa
tra le dita
per celarti
appena ridendo non
ti sento ormai più qui

28 giugno 1969

INCONTRO

lasciati i cavalli
le donne si sono sedute
Incominciano i violoncelli
con attacchi di estrema difficoltà
L’archetto scivola sulle quattro corde
Mi sono mischiato alle ombre
nell’ora che precede l’alba

16 settembre 1969

DISCORSO

Sull’erba ti sei seduta per improvvisazione
ti guardo e penso che sei stata
un fermento sublimale
All’intorno tutto è naturale all’infuori di te

(Ideale sarebbe che questo paesaggio
fosse dipinto da un innocente
nonostante ciò proprio noi
siamo nella condizione felice)

Divento libero grazie a un’astrazione
mi copro del colore multidimensionale

19 settembre 1969

ROMANZA

Voglio che tu viva
come se dovessi morire domani
lasciamoci portare addormentati
Al nord sopra una bianca vetta
dammi gioia
dove oscuri abeti s’ergono
Risponde la graziosa in fretta
«A te così pallido io no non mi darò
fin qui tu sei venuto
ma io ne partirò »
Dammi tutta da vita
Nella tomba mi vorrei adagiare
mi baciavi mi cingevi
al florido petto

12 ottobre 1969

COMMOZIONE

dentro l’albero io
sottoterra tu
giocavamo con gli elfi
quando all’improvviso
dimmi se non è vero
qualcuno alla porta bussò
Ero nella mia casa
e brevemente allora a bassa voce
udii che domandava: dove saranno
È venuta la primavera
eccoci ancora
con passi lenti invocare i giorni
Nascono e s’alternano
ai margini del bosco

2 novembre 1969

SCRITTURA

Già più volte
mi sono trovato seduto con gli occhi chiusi
Cosa avrei dovuto fare quella mattina
O quel pomeriggio
quando con gli abiti svolazzanti
deponesti le gabbie ai miei piedi
In una stanza
mi distesi lungo la parete
e mi credesti finalmente morto

8 novembre 1969

TRISTEZZA

â— È suonato il terzo squillo
e ancora non vedo tutti i morti
radunati qui

â— È che l’umanità, Signore,
ora li seppellisce
nel cemento e non possiamo
con le nostre braccia d’aria
abbattere i muri
Così portiamo soltanto
i morti della terra

18 dicembre 1969

COMPOSIZIONE

1a parte

Il tronco degli alberi è nero
vi penetra il sole ma il gruppo
sta nell’ombra
Un putto sulla fontana
si pettina le donne
quasi nude una s’è addormentata
scopre il seno conversano
nascosto
un saltimbanco sta provando
Indossa un abito rosso
una collana di sonagli
un cappello di paglia

2a parte

Alto volo
silenzioso battito d’ali
veniamo di sera allegri
Ci tocca saggiare
l’acqua
nuotare
Fermata la barca
completamente
calvo si calò e la spinse
a riva
dopodiché

3a parte

Scendiamo la collina a
d un tratto
rotolando
solleviamo polvere
Un mattino d’autunno
andiamo con la speranza
una sera nascosti i libri
tuffàti nel fieno
abbiamo

12 giugno 1969

CONDIZIONE

Dico a me stesso
quale forza per le mie
catene piango e rido eppure
un modo per l’uguaglianza
â— sacrificare o distruggere â—
un punto di muoversi
e amare liberamente
Qualcuno che aspetti
non verrà sei bella
solo io spettatore
a che servi Immagina
quel prato ed io diverso
allegro e forte nella mia mano
chiusa Ridi ridiamo stringiti
a me sogno-realtà carne d’erba
Un punto contro cui s’infrangono
egoismo avidità superbia
Si sbriciolano
come cristalli Hanno osato
passato il confine rido
rido a crepapelle e calpesto
calpesto distruggo Immagina
una barca tu ed io
a remare chi ci toglie
la libertà Chi ci riduce
così Hai trovato l’amante è bello
è forte è allegro
Andiamo lentamente l’acqua anche
è lenta nessuno ha fretta

26 novembre 1967

RADICE

Le mani sollevami sui verdi platani
Prendile e guardami sempre più salire
C’è riunione nella mia città
brava gente con loro nel viale
parleremo di Fabrizio uno cresciuto qua
gioca con esse gonfie d’acqua
mi son lasciato cadere
nessuno sa del freddo del vuoto
Prendile molli violacee
avvolgile al collo
è freddo è autunno
i passi nel viale furono i miei
Parleremo del verde piazzale
dove mi sotterrai radice

23 dicembre 1967

TI CHIAMO

Rotoliamo sulla sabbia;
Abbiamo sul corpo i segni bestiali.
Me ne vado nel mare
nel mare solo,
acqua di cristallo.
Giù la falcata del braccio
dura e forte.
Te ne stai quieta;
batte il sole il corpo saziato
(scivolo dolcemente).

25 settembre 1967

IL GENERALE DEI GIORNI

Volto umano, sei tu?
Sissignore io sono.
Di te mi hanno narrato storie.

Passa il generale con quattro stelle
il suo cavallo ha zampe d’aria
batte gli zoccoli sui tuoi pensieri.

Accorrete squadroni di nuvole!
Gridate divise di speranze!
mentre passa il cavaliere
dal viso di orizzonti marini
con gioia
con fede
con entusiasmo
cerco lo spazio in cui hai nascosto
il giorno dei giorni
la mia corda musicale
m’intonerò di nuovo
all’armonia dell’arancia e dei mandorli.

Volto umano, sei tu?
Sissignore io sono.
Di te mi hanno narrato storie.

21 maggio 1966

CERBIATTO DALLA ROSA NEL CUORE

Sei stanca di aspettare
stanca di piangere
stanca di pregare
stanca di ricordare.
Ho visto il tuo ragazzo l’ultima volta
mentre le nostre strade si dividevano:
lui a Nord ed io ad Est;
poi sono stato in trincea per mesi
e ho parlato solo con me stesso;
il mio amico era il fucile
e l’ultima lettera da casa mia.

Cerbiatto dalla rosa nel cuore
mi parlavan di te un giorno, lungo la strada
e quella voce era giovane e tremante
come la tua età.
Dai boschi correvi per abbracciarlo
dai prati sorgevi per salutarlo
dai fiumi nasceva il tuo amore puro.

Dimentica;
è difficile dimenticare;
corri pei boschi
sali sulla montagna
tocca col tuo sorriso il cielo azzurro
tuffa nel mare le tue braccia
smisurate d’amore.

14 marzo 1966

LA CITTí€

Non conosco niente di questo luogo
eppure preso il volo
dalla collina m’innalzo sulla città.
Sotto l’enorme quercia
i falchi gli avvoltoi
le anatre gli usignoli
schiamazzano.
(Si leva il falco
e con ampio giro domina la città).
Cavalcavo lontano
con la mia antica armatura
e godevo il rispetto dei re.
Ti ho raccolta nel bosco
e parevi morta
e tutto pareva morto
e giunti a una radura
scoprimmo la città immensa
deserta e vuota.

9 agosto 1970

I PICCOLI UOMINI

Dai sotterranei della mia città
escono a volte
numerosi
i piccoli uomini
a notte
e invadono la piazza
strepitano
vuotano i bar
Li odo nei mesi di giugno
agosto e gennaio
e nella neve lasciano
tracce di punti neri
Non li ho mai incontrati
seppure affannosamente
appena odo il loro fracasso
mi affretti

10 agosto 1970

LE ETí€

La memoria ci coglie
sospesi in una strana ora
e prendono forma le molte età
in una lenta danza;
nulla riconosciamo,
eppure tutto ci appartiene
per un brivido, una frenesia
secolari.
Le mani stendiamo
dentro castelli antichi, fiumi
e uomini che si agitano,
si muovono come prigionieri
di un’aerea città perduta:
è esaltante pago e misterioso
il contatto.

6 aprile 1971

TRA I MORTI

Vi era stata prima del giorno
una dura battaglia
tra i morti.
Usciti dalla notte
avean circondato il castello
quassù sopra il mare
innumerevoli:
milioni di bianche fiammelle
guizzanti nel buio
e qualcuna cadendo
si spegneva sulle rocce.
Sotto i miei occhi
piombati dal sonno
là fuori all’improvviso
gemevano nel turbinio;
ma era mio
il castello gridavo,
da molti secoli,
da quando le navi antiche
cariche di sale e di oro
ormeggianti alla rada
zeppe di briganti e cavalieri
di re e dame
eran calate giù nell’abisso.
Da lungo tempo costoro
affiorati tra i sassi
deposti gli antichi costumi
eran saliti quassù,
vagavano felici.
(Niente avrebbero dato in cambio
di questa gelida eternità).
Ogni notte dal mio trono
li guardavo,
e quando la mia rabbia
rotolava giù fino al mare
il brivido li scuoteva
d’un tempo;
piangeva a volte
la loro memoria.
È mio il castello gridavo
mentre i morti piombavano giù
e vacillava la torre
insieme col mare.

Calò il gabbiano…
e presto fu uno spegnersi totale
laggiù sopra i grigi sassi antichi
ove si genera da secoli il mio respiro.

3 agosto 1974

ANTICA NOTTE

Da un’antica nave
narra la leggenda
gettò un re questo cuore
tra i sassi del fiume;
tu ed io l’abbiam trovato
così piccolo essiccato
dopo mille anni;
tu ed io che ci muovemmo
d’una remota città
del mare
insieme.
Tanti cavalli festeggianti
la nostra partenza
ch’era un addio
nitrirono e scalpitarono
nella notte.
Accorrevano le donne
a quietarli
ed una anche
ch’io ricordo bene:
si fermò il cavallo
dinanzi a lei
e fu come un lampo
la sua inquietudine;
cadde morta
sotto la percossa
d’un grido
che squarciò la notte.
Poi partimmo…
e dei tanti secoli
s’è persa la memoria
da quel principio.
Questo cuore abbiam trovato
tra i sassi
nutrimento d’un girasole
immenso
signore del fiume.
Un re lo strappò nella notte
narra la leggenda
con insana ferocia
e dall’isola qui lo portò
per perderlo.
Toccarlo quel cuore
mi scuote…
Riaffioran nella mente
i ricordi d’una antica notte dolorosa
immensa.

17 agosto 1974

IL CASTELLO

Mi vedo chino
sopra uno specchio d’acqua
purissima
nel profumo di fresche foreste.
Debbo essere stato un giorno
costui o quel pensiero
che mi conduce sulla dolce sponda
di un fiume azzurro,
quieto…
Donne senza età
di pura bellezza
da me toccate
una notte, sopra un antico ponte
evocano
una lunga età di giovinezza
vissuta in un castello
erto sulla collina verde
cercato desiderato trovato.
Uscivano al fiume le castellane,
giocavano nell’acqua
chi nuotando;
e passavano sull’altra sponda
i cavalieri
alte le insegne:
lo squillo di tromba
risuonava tutt’attorno…

Dolce donna,
dal principio desiderata,
pei deserti cercata,
per mare e monti
ed ora qui sulla pianura bianca.
Dal deserto
mi giungeva la tua voce
dalle dune mosse dal vento
e forse sarei morto
se nella notte fredda
in un trascorrere fulmineo
di secoli
dentro di me
tu non avessi scavato
l’uomo eterno.
Caddero a pioggia
sul mio quasi cadavere
le ore e gli anni;
s’illuminarono i mille castelli
nell’aria
e tutti accorsero
gli spiriti della terra
tra le mie braccia.
Erano bruciate le loro voci
ed i miei occhi;
e tu parevi assottigliarti
come spasimo senza fine.

Su questa pianura
bianca di morte
bianca del tempo
fuggito sparito dai miei occhi
riuscirò a ricondurti
all’origine del mondo:
io sono l’uomo
che fu anche il primo.

15 agosto 1973

A DOK
(il nostro cane pastore tedesco morto la sera del 20 marzo 1980)

Anche la nostra vita
è un giocattolo.
Dopo un certo tempo
d’uso, ecco che viene
la morte.
D’improvviso si stende
su di noi
e sentiamo con dolore
d’essere stati niente.

Quale superbia nella vita,
quale orgoglio,
quale arroganza
di noi stessi!
Tutto tracolla
tutto si scioglie
della nostra potenza,
giunta quell’ora.

20 marzo 1980

L’ALLODOLA NON HA CESSATO

L’allodola non ha cessato di cantare
eppure è già l’Autunno,
nei campi si sente frusciare
l’Estate che se ne va
Sto qui,
sdraiato nel sole,
a contemplare chi verrà con me
ancora per un anno

17 giugno 1966

RICORDATI

Ricordati,
se il tempo non mutasse
le cose e gli uomini,
se tu ed io fossimo ancora
quelli di ieri,
volentieri ti amerei
come ti amai

1966

LA BELLA FAVOLA

La bella favola
io l’ho vissuta,
la mia famiglia,
la dolce sposa
ho qui con me,
la mia casa,
il mio giardino;
gli uccelli del mattino
nascosti dentro la magnolia
cantano per me.
Niente mi attrae di più
di questo mondo
mio.
So del ricco
che possiede l’areoplano,
palazzi
fortune immense,
di feste scintillanti,
di gente che attraversa
i continenti
da una città all’altra
e nello stesso giorno;
ma quale gioia
avrà nel cuore?
Il mio mondo
può sembrar piccino
angusto
stretto
ma nel mio giardino
tutto è apparecchiato
e non vi manca nulla
della felicità.
Qui crescono i miei figli
ed io li osservo
dalla mia panchina,
niente potrà turbare
la mia serenità.
Dentro le mura della casa
c’è il mondo mio
vissuto,
i sentimenti della gioia
vi ritrovo,
seduto
sulla mia poltrona
mi fanno festa
intorno.

marzo 1988

TRA LE MANI

Tra le mani
stringo il mio cuore,
voglio farne uscire
tutto l’amore
che provo per te.
Potrei dirlo coi versi
dei grandi poeti,
usare le scelte parole
ma non sarebbe l’amore
che sento per te.
Seduto nel mio giardino
la tua gonna sorprendo
sollevata dal vento
e la tua mano pudica
s’affretta,
ti volti a guardarmi,
sorridi,
ed io sento che siamo noi
tutti i viventi.
Da questa sorgente
qui tra le mie mani
sgorga l’amore
che nutro per te
ed è come un fiume
che sfocia nel mare,
come un oceano
che invade la terra;
piano piano
ne è colmo il giardino,
sino alla vetta dei pini
risale,
sopra il tetto
ti dovrai rifugiare
se vorrai liberarti di me.

Marzo 1988

MI VEDI SEDUTO

Mi vedi seduto
davanti alla finestra,
lo sguardo sperduto
sui pini
o sui monti
vicini
o lassù in alto
nel cielo
e ti domandi
chi è l’uomo
che vive con te.
Ed io vorrei essere
l’aria
che è in ogni luogo,
avvolgere il pianto
la gioia
il dolore,
il suono
la luce
il colore,
il vuoto
il tremendo
il perduto,
il profondo
tra il prima e il dopo
l’impossibile e il compiuto.
Dov’è Dio mi domando
mentre tu mi vieni accanto;
perché il suo silenzio
quando l’uomo lo invoca?
Vorrei essere fuori
da questa stanza,
occupare lo spazio del mondo,
che tu capissi la mia lontananza,
restassi qui vicino a me
mentre sono così
lontano.

Marzo 1988

IL CANE

Se t’innamori
ahimè
lasciami stare;
Cantano i grilli
nei campi
ed io voglio essere là:
conosco anch’io una bocca d’angelo
che mi fa girare
la testa
ma sai che le dico!
Se t’innamori
ahimè
lasciami stare,
non voglio più avere
a che fare con te.
Il mio cuore
è giovane e allegro,
se bussi alla mia porta
ti scioglierò contro il cane.

16 dicembre 1964

UNA BARCA VEDIAMO LAGGIÙ

Una barca vediamo laggiù
che sale e scende a ritmo di onde
e abbiamo sollevato le braccia
per formare nell’aria
una corona di amicizia.
Intorno ai nostri colli di madreperla
il respiro disegna
oceani di tesori corallini.
Sorridi anche tu
dalle braccia come pioggia
dagli occhi come mare.
Sale e scende laggiù a ritmo di onde
una barca dalla vela bianca
su cui riposa il sole in quest’ora
dopo aver scritto parole di uomini
e di cose nuove create dal nostro grido.
Ho indossato calzoni bianchi di lino
come candore non più contenuto
che si veste di spazio e di esuberanza
dentro cui ho imprigionato
la mia forza di uomo libero.
Sorridi anche tu
e solleva l’àncora della tua giovinezza
per correre il mare.
Inseguì quelle onde
che ci precedono a ritmo marino.

24 febbraio 1966

MORIRE

Da dove vieni?
mi domanda una fanciulla,
dietro a lei il sole ancora incandescente,
io muto non so più ritrovare parole
e dentro di me
solo i piccoli selvaggi gridano: muori!
Sento l’anima disfarsi.
Oh, occhi che misuravano il tempo
e la bellezza delle cose,
ed oggi null’altro che la mia lontananza!
Mi siedo già vecchio sulla sponda del fiume
e tu siedi accanto a me,
mi offri una letizia inconsueta.
Guarda, mi dici,
dentro questo silenzio ritornano le immagini
e chi fosti un tempo
e chi furono quelli che amasti.
Tornare anch’io!
Oh, congiungersi l’aereo pensiero
con la mia vita!
Perché non posso afferrarvi immagini care,
farvi sangue ed ossa?
Che cos’è vivere
se non riesco a conservare il presente…

13 febbraio 1988

SEMPRE UNA FANCIULLA RITROVO

Sempre
una fanciulla ritrovo
d’agili foglie vestita:
in silenzio,
aperte le braccia
sul mare si leva,
si bagna,
l’onda raccoglie.
Poi viene, leggera
a cingermi
d’acque.

7 aprile 1967

UN FIUME NAVIGANDO

Lento andrò
un fiume navigando;
sul remo piegato
immagini coglierò
del mondo;
dall’acqua
agili balzando
ombre,
ad intrecciare memorie.

8 aprile 1967

ANCORA SARAI MEMORIA

Per riudire tornerai
voci di vento,
e il loro lieto piegarsi
in immagini.
E sulla spiaggia
Le antiche forme
sciogliersi
dei millenni:
e ancora sarai memoria.

18 maggio 1967

TI SCIOGLI

Alla tua voce mi formo
corolla e polline.
Sali al castello
ove giaccio ancor ombra
e grido;
e al soffio del vento
ti sciogli
e sei me,
uomo, bambino, pianta.

28 giugno 1967

CI SIAMO FATTI

Un giorno mi hai incontrato,
al sole hai domandato
la vita.
Ci siamo fatti
zolla nel campo,
acqua nel fiume
capelli ed erba
occhi e mare
donna e uomo.

28 giugno 1967

SALE LA TUA CANZONE

Sale la tua canzone
come conchiglia d’acque
per alte montagne.
Afferro la tua
leggenda nell’aria
e le risate chiare
nel silenzio di nevi.
Discese d’allegria
a denti aperti
mentre coglie il tempo
parole.

10 settembre 1967

HO VOGLIA DI SORRIDERE

Ho voglia di sorridere
quando mi levo al mattino
e il sole è già alto;
il passero viene al davanzale
e mi saluta.
Dalla mia finestra
m’inchino alla ridente Primavera,
con lei gioca il mio bambino
là nella pineta,
e mi pare di vederla la Stagione
che lo accarezza,
lo guida tra le margherite,
sull’erba ancora bagnata di rugiada.
Ed io ricordo la mia età di allora
quand’ero soltanto felice!
Coi compagni correvo le strade
antiche della mia città,
le sere già calde.
Dove sono quegli anni?
In quale parte dell’universo
sono nascosti quei giorni?
Insegnami la strada
ed io vi andrò.
Ho voglia di sorridere
quando nutro la speranza
di riessere bambino
o di accogliere quel tempo
qui nel palmo della mano,
riempirlo di baci e di carezze.
Oh, come vorrei spiare il mio destino
in quei lontani occhi di ragazzo,
scoprire se sono diventato quello che dovevo
o ho tradito la speranza!
Ho voglia di sorridere
mentre crescono i miei figli
ed io non ho più tempo
ancora.
Affrettami l’incontro,
rivelami il luogo,
anche se oltre quel cielo,
dove custodisci le cose mirabili
che sento nel cuore.
Sulle rive del Serchio,
ricordo,
correvamo felici,
il sole cocente,
e noi nell’acqua si rideva,
toccavamo il fondo inebriati.
Ho voglia di sorridere
quando apro la finestra
e vedo il giorno luminoso.
Là nella pineta
mio figlio gioca con la Primavera
ed io lo penso qui al posto mio
fra molti anni
a ricercare l’immagine ch’io vedo
e che oggi mi fa contento.

2 aprile 1988

STAMANI

Stamani,
nell’ora che prediligo,
intorno a mezzogiorno,
mi son seduto
sulle mura della mia città,
di fronte al laghetto
della leggenda.
Alcuni merli neri
grossi
han traversato l’aria
davanti a me,
si sono posati
sulle molte piante.
Ed io ho sognato
dentro i loro volteggi!
Gli occhi adagiavo
sulla città superba:
dietro i rami le torri antiche,
le altane,
i tetti che nascondono le vie
della mia fanciullezza.
Qui l’anima si addensa!
La percuotono brividi supremi
e l’occhio non crede
che tanta bellezza insieme
raccolta in così piccolo spazio
sia vera.
Quale incantamento
da qui godi
e ti inebria,
anima mia!
Non devi volare,
andare lontano
per esaltarti.

27 maggio 1989

CANTIAMO, GIRIAMO IN TONDO

Cantiamo,
giriamo in tondo.
Ho con me la mia ragazza
e la sua mano è ben stretta nella mia.

Leggo nei suoi occhi
la gioia di questo giorno.

Cantiamo;
muovo lesto i miei passi
per star dietro all’amore.
Lei sì che sa ballare!

La mia ragazza l’ho incontrata
in un giorno di sole;
voglio la tua bocca, le ho detto,
i tuoi capelli e i tuoi occhi
e d’allora
siamo stati insieme.

Cantiamo,
giriamo in tondo.
La giovinezza ci permette
questo e altro.

Sopra i campi si muovon
le nostre risate
e il sole di mezzodì
ci tiene compagnia.

25 ottobre 1964

HO SEMPRE PENSATO

Ho sempre pensato che fosse amore
quello che sento per te,
anche quel giorno che mi gridasti
di andarmene via
e la mia fantasia
ti tenne stretta a me.
Ti immaginavo per quella foresta,
ricordi?
che abbiamo sognato insieme
molte volte
e là ci dicevamo
le parole impossibili,
così dolci,
così leggere,
che non si trovano qui da noi
e tu mi capivi
ed io ti sentivo parlare
nel silenzio.
Su noi scendeva l’odore
delle foglie bagnate
e tu correvi via
perché t’inseguissi.
Ricordi?
Non ti raggiungevo mai
e tu dovevi aspettarmi
sebbene fossi leggero e veloce.
Pensavamo ai nostri figli,
di averli non qui sulla Terra
dove c’è rumore,
ma lassù nel bosco,
dove l’usignolo
li avrebbe addormentati
per noi
e divenuti grandi
nulla del nostro mondo
quaggiù
avrebbero saputo.
Ho sempre pensato che fosse amore
quello che sento per te,
anche quando mi gridasti
che ti facevo soffrire
ed io sapevo
ch’era solo un istante
della mia debolezza.
Ricordi?
le volte che ci siamo amati,
tenuti per mano in silenzio
su quel sentiero
così lontano da qui
ma che solo noi
possiamo trovare nel cuore.
Oh, non c’è dolore
che possa farti dimenticare,
nulla può cambiare
ciò che sarà sempre tra noi.
Ricordi?
Ridevi
e mentre correvi
ti voltavi a guardare
ed io non sapevo raggiungerti
sebbene fossi leggero e veloce.
Quella tua allegria
la porto con me
ormai per sempre;
sei la mia vita,
gli occhi, il sorriso,
l’anima mia.
Lo sento qui dentro
e porto il tuo volto
impresso nel mio,
le tue parole sulla mia bocca.
Ricordi?
C’è una foresta lassù
dove viviamo solo noi;
in ogni ora, in ogni istante
siamo sempre insieme.

9 aprile 1988

IL DOLORE

Porto su me il dolore
tutto ho fatto per lasciarlo
ma il dolore resta con me
ed io so cosa vuol dire.

Mi son seduto sull’uscio
mentre allegra venivi
mentre allegra cantavi
mi frustavano gli anni.

Sto qui
tra il ruscello e il prato
tu dici che son vecchio
ed è il grande dolore.

19 luglio 1968

RICORDO IL TEMPO

Ricordo il tempo ch’ero monello,
non mi lamento d’esser stato così;
correva pei boschi la voce del fiume
ed io vi tuffavo la mia giovinezza
cantando.
A piedi scalzi
coglievo la rugiada nei campi,
bagnavo i miei occhi
nella dolcezza delle cose nuove.

17 giugno 1966

L’ETí€ FELICE

Riappropriarmi
vorrei
della mia fanciullezza,
immergermi nei boschi agli Antonini
o lungo la Corsonna
o sulle rive del Serchio amato
e respirare alle narici
la gioia di quegli anni;
o sotto le mura della mia città
cacciare la lucertola
o la rana nello stagno
o saltare sui covoni
coi compagni.
Tutta l’anima n’è presa!
Vissi davvero quel tempo felice
O è l’incanto della fiaba
che oggi mi strugge
o il sogno di allora
reco sempre con me
e mi tormenta?
Oh sì,
c’è stata l’età felice!
intensa
piena
traboccante,
davvero saltavo nel fossato,
tendevo la fionda,
gareggiavo coi compagni,
o dormivo nei boschi
e sentivo il temporale
abbattersi
e il tuono
e il fulmine
e lo scrosciare dell’acqua
intorno alla tenda.
La mattina si correva l’abetaia
con la piccola scure al fianco,
cantando.
Oggi quel tempo
appare così remoto,
le immagini si confondono
con le altre che ho incontrate
e che non sono mie.
È la giovinezza
un luccichio lontano,
mi agito
e non riesco a trattenere
niente.
Riappropriarmi
vorrei
della mia fanciullezza,
stringerla a me
per non lasciarla mai.

17 luglio 1989

VENDO SOGNI DI SMERALDO

Vendo sogni di smeraldo;
ho con me la rosa che hai colto nel campo
nuda come l’aria
fredda come neve.

La tua immagine nasce dall’acqua marina
e l’anima di sale e di conchiglie
tiene per mano la mia speranza.

Vendo sogni di smeraldo;
ho messo all’occhiello
la rosa che hai colto nel campo
e il mondo gira gira gira.

Gli occhi son fatti di mare
di sale e di conchiglie.

21 maggio 1966

NELL’OMBRA

Ti ho obbedito per lungo tempo
hai goduto gozzovigliato
ed io nell’ombra a crescere
Tesso la mia ribellione
nei tuoi capricci
nei tuoi comandi
nella tua durezza
Hai creduto di piegarmi
ti sei disteso
m’hai tenuto nelle cinque dita
Ti ho lasciato tranquillo
con rabbia con odio
con disprezzo ti anniento
M’hai rivoltato
scoperto il cuore il cervello
essiccato!
appiattito calpestato spezzato
mescolato alla terra
sfiorato punzecchiato maledetto

22 ottobre 1967

PREGHIERA

Ti penetra il canto
(scorrono i secoli, le mandrie
e le nevi. Piccolo qui, sotto l’ombra).
Il ricordo possiedo
ti dà forma
(gridasti,
i nostri figli gridarono).
Andarmene in silenzio
memoria.

16 settembre 1967

TI CHIAMO

Riposi sulla sabbia;
abbiamo sul corpo
i segni bestiali.
Me ne vado nel mare
nel mare solo,
acqua di cristallo.
Giù la falcata del braccio
dura e forte.
Te ne stai quieta;
batte il sole il corpo saziato
(sorridi dolcemente)

25 settembre 1967

CORRIMI DIETRO

Corrimi dietro
con le tue gambe d’aria,
con le tue braccia di vento,
sul letto dei fiumi,
in grembo alle foglie.
Rotolerò come palla di piume
sui castelli della mia fantasia,
e strade percorrerò d’occhi sognanti.
Solleverò sulle punte dei piedi me stesso
e porterò ridendo, fra i miei denti, la speranza.

1 maggio 1966

MONASTERO

Lontano il battito
lento dei remi misura
un ritorno inquieto.
Mezzanotte suona.
Battente con testa d’aquila,
cinta muraria e di cipressi;
qualcuno m’accoglieva
dalla lunga strada
scendendo (Chi viene
con me non ricordo ma
solitudine).

4 marzo 1968

BARCHE

Cerco
sotto l’acqua piovana
azzurre
nere barche
che vedo sulle tue
mani.
Ti aspetto qui.
Camminiamo rovesciati.

15 aprile 1968

CAMMINA LASSU’ IL MIO DIO

Cammina lassù
il mio Dio,
su quella strada
di stelle.
Odi il suo passo
misurato e consolatore?
Il mio Dio
è signore dei laghi
e delle montagne,
del mare
e della grande prateria.
Corri con me stanotte
a cantare le sue lodi
e bagna il tuo viso
nella rugiada dei campi.
La foresta non dorme
quando lui cammina.
Formiamo insieme
un intreccio
di mani amiche.

21 dicembre 1964

UN UOMO MI HA DETTO

Un uomo mi ha detto:
mi piaci, ed io
non me lo sono lasciato sfuggire.
Basta correre in cerca di marito,
farsi vestiti nuovi,
ridere giorno e notte.
Riderò se ne avrò voglia.
Con lui uscirò a ballare
fino a tardi!
Ollallà,
forse ho trovato marito, sapete;
sì proprio io
che facevo finta di nulla.
È davvero bello il mio uomo, vi dico;
per questo sono allegra!
Ollallà,
la mia giovinezza ha avuto fortuna,
ed era ora.

24 dicembre 1964

POSSO IMMAGINARMI

Posso immaginarmi cacciatore,
la vita è la mia farfalla
inseguo l’ore
inseguo gli anni
con la stessa speranza.

Posso immaginarmi fiume,
l’acqua è la mia giovinezza
corro sui sassi
corro coi pesci
da sorgente a foce.

Posso immaginarmi libero uomo,
a te a lui agli altri do la mano
con voi esulto
con voi mi riconosco
nel girotondo immenso.

Posso immaginarmi cielo
albero e mare,
un lungo corpo snodato
fratello del vento
dell’umile terra, dell’uomo.

20 ottobre 1967

SAM

Oggi ho incontrato Sam,
quel birbante.
Voi non lo ricordate di certo;
camminava col naso all’insù,
e sembrava cercare qualcosa nel cielo.
Oh, come mi sarebbe piaciuto
vederlo sbattere contro le spalle
della vecchia Nancy!
Ehi Sam,
gli grido, smettila di cercare lassù
il tuo vecchio cane!
So che le tue tasche non hanno un centesimo
e il tuo stomaco suona a vuoto.
Voi non lo ricordate di certo Sam,
oh è proprio un peccato!
Vi giuro che nemmeno l’angelo più veloce
scende così in fretta dalle nuvole.
Ehi Sam,
gli dico, Mary è come il diavolo,
non riuscirò mai ad essere io il padrone;
ti sembra giusto che non possa più ubriacarmi
e passare le notti da Jane?
Gliel’ho detto tante volte che non c’è niente di male
a fare all’amore con lei;
tutti lo fanno, non è vero Sam?
Gliel’ho detto che Jane mi piace di più
e se mi parla non riesco a capire più niente.
Ehi Sam,
gli grido, non mi guardare così imbambolato
e lascia stare il tuo cane!
Ho qui monete per te
così pesanti che le tue tasche
faranno indigestione.
Corri da Mary
e svegliala se dorme,
dille che ho deciso di fare io da padrone,
che andrò ogni notte da Jane a fare all’amore
e non succederà mai più che me ne stia buono buono
a prenderne da lei.
Dille che mi hai visto florido e allegro
e …
Oh mio Dio!
Sam se n’è andato senza prendere niente!
Come correva!
Gli ho visto luccicare gli occhi più dei miei
quando penso a Jane.
La casa di Mary non è molto lontana;
se a Sam quel fuoco non si spegne per strada
chi potrà andare più in giro?

25 dicembre 1965

MESSAGGIO D’AMORE

Prendi il cavallo più veloce,
ne ho visti tanti nella stalla d’argento
tutti meravigliosi
le criniere lucide
i denti bianchi
i garretti sottili.
Prendi per me il cavallo reale,
nato pei grandi viaggi e le corse veloci.
Guarda,
la notte è pulita come cristallo azzurro,
le stelle lontane,
l’aria senza vento.
Prendi per questo giorno che sta nascendo
il cavallo più veloce
e dàgli il mio messaggio
che ora grido alla notte
dal mio cuore vagabondo
e corri corri corri
più veloce del vento
più veloce del vento
più veloce del fruscio delle fronde
più veloce del battito d’ali d’una rondine.

10 marzo 1966

COLLOQUIO

Sul fiume che attraversa la città
una sola finestra è illuminata,
l’uomo s’affaccia e guarda l’ombra
e la ragazza dice:
– Ecco, le margherite ti ho portate
colte qui fuori stamattina
come comandasti.
– Nessuno badi a me – ordina l’uomo –
ch’io faccia quel che voglio,
resterò qui ad aspettare e tutto
avrà la consueta dolcezza.
Ripete la ragazza:
– Ecco, ti ho portato proprio ora
dal fiume i fiori che chiedesti.

7 maggio 1970

SE VUOI ENTRARE

Se vuoi entrare
nella mia piccola casa
io ti farò entrare.
Ti offrirò le mie piccole cose
e il mio silenzio.
Nella mia casa non si ode rumore
e potrai stare in pace.

1961

TRASCORRE MOLLEMENTE IL TEMPO

Trascorre mollemente il tempo
della mia vita
ora che non ho più padroni.
Per le selve cammino
o in riva al fiume;
le more tra i rovi
o la rossa albatrella
o il chicco dell’uva
assaporo;
e il sole che mi vide
nascere e fanciullo
di nuovo saluto.
Ho visto il ramarro
sopra un sasso,
il ragno nero tra i rami
e con dolcezza li ho ammirati.
Mollemente trascorre il tempo
della mia vita
ora che non ho più padroni.
Chi sei tu, leggiadro signore,
che incontro al mattino sul colle?
Sei la morte, io lo so,
ancor giovane e bella,
e forse mi studi,
e ti sorprendi della mia allegria,
ma è tanto dolce quassù
un giorno di novembre
che anche il pensiero di te
mi rallegra,
e quando da lungi ti scorgo
il mio occhio si ravviva
e guarda giù la valle;
il sole la illumina
e illumina te
quando mi passi accanto.
E tu la senti
la vita che pulsa in me,
oh sì la senti!
e della mia gioia
con tua sorpresa anche tu esulti, sorridi
e mi lasci andare.

6 novembre 1990

TE NE ANDASTI, PADRE

Te ne andasti, padre
l’otto novembre,
chiudendo gli occhi,
a noi parve per un riposo
dopo un faticoso mattino
di febbre,
e fu nostra madre,
toccandoti,
che scoprì il gelo
della morte
e pianse
non avendo potuto darti
il saluto.
Non piansi io,
e quando la bara
entrò nella tomba
e fu alzato il muro tra noi
il dolore rimase nel petto
e sembrò misurato, sereno.
Ma oggi il pensiero
sempre più spesso ti cerca,
padre
ed ora so del sangue che ci lega;
rammento l’orgoglio
che avevi di noi
e sento la tua vita
che scorre nella mia.
Dove sei, padre?
Qual è il punto
lassù nel cielo
dove devo fissare lo sguardo
per incontrarti?
Vorrei accarezzarti,
sentire il tuo corpo stanco
tra le mie braccia;

il tuo viso,
la barba rada
sulle mie mani,
e questo,
questo padre mi manca.

2 dicembre 1989

LA TUA SOFFERENZA, MADRE

La tua sofferenza,
madre,
è finita
e ora dormi
finalmente in pace.
Dal tuo volto
quieto
come non era mai stato
sento che sei
felice.
Non avresti mai voluto
lasciarci,
ma ti ha vinto il dolore.
Quando morirò,
ci dicevi,
sappiate che sarò contenta,
prego il Signore perché la morte
arrivi presto.
Lo pregavi ogni giorno,
e babbo ti ha lasciato con noi
finché ha potuto,
poi è corso da Lui,
dal Signore della vita,
e ti ha chiamato a sé.
Non abbiamo più nessuno,
ora,
se non i nostri figli;
e da alberi
siamo diventati foglie,
non abbiamo più radici.

27 maggio 2006

CONDIZIONE

Dico a me stesso
quale forza per le mie
catene piango e rido eppure
un modo per l’uguaglianza
– sacrificare o distruggere –
un punto di muoversi
e amare liberamente
Qualcuno che aspetti
non verrà sei bella
solo io spettatore
a che servi
Immagina quel prato
ed io diverso allegro e forte
nella mia mano chiusa
Ridi ridiamo stringiti
a me sogno – realtà carne d’erba
Un punto contro cui s’infrangono
egoismo avidità superbia
Si sbriciolano come cristalli
Hanno osato passato il confine rido
rido a crepapelle e calpesto
calpesto distruggo
Immagina una barca tu ed io
a remare
Chi ci toglie la libertà
Chi ci riduce così
Hai trovato l’amante è bello è forte
è allegro
Andiamo lentamente l’acqua anche
è lenta nessuno ha fretta

26 novembre 1967

SOLITUDINE

Le mani sollevami sui verdi platani
Prendile e guardami sempre più salire
C’è riunione nella mia città
brava gente con loro nel viale
parleremo di Fabrizio uno cresciuto qua
Gioca con esse gonfie d’acqua
mi son lasciato cadere
nessuno sa del freddo del vuoto
Prendile molli violacee
avvolgile al collo
è freddo è autunno
i passi nel viale furono i miei
Parleremo del verde piazzale
dove mi sotterrai radice

23 dicembre 1967

GLI ANTICHI CAVALIERI IO VIDI

Gli antichi cavalieri io vidi
una mattina
sugli spalti medievali schierarsi
e dai balconi sporgersi
le castellane;
e gli animali starnazzare nei cortili,
scuotersi nel fango.
Camminavo per un sentiero
di montagna
alla fine del XX secolo,
eppure, più lontano,
una cattedrale gotica
mi apparve
e il verde giardino
cosparso di tombe
e il crocchio dei sacerdoti
esultanti;
e dietro, nell’ombra
della sera,
un duello mortale
di spade.
Ed anche scorsi la mia città
di mercanti
e la piena del Serchio
e le mie Mura nascere,
farsi stupore e incanto.
E il bel San Martino
prendere forma,
e l’immortale Ilaria…
Potevo stringerli nelle mie mani
gli accadimenti,
e forse anche mutarli,
io,
uomo del XX secolo,
apparentemente così lontano,
solo,
sopra questo piccolo monte
della mia città,
colmo di pini odorosi.

28 aprile 1990

SOFFIA UN VENTO OGGI

Soffia un vento oggi
che mi rammenta
di Edimburgo
l’Arthur’s Seat.
Ricordi?
Coi nostri figli
ci incamminammo per quel sentiero
guardando in alto
la cima.
Altri
prima di noi arrampicati
apparivano come insetti lontani.
D’un tratto il vento
ci prese…
Che fatica salire, allora!
Si gonfiavano i nostri cappucci
e tu
ancora una volta
ti burlavi del mio,
che mi faceva somigliare
alla morte, dicevi ridendo,
de “Il settimo sigillo”.
Ma giunti lassù
tutti tacemmo per l’incanto;
stava la città sotto di noi
con le sue case grigie
e là, vicino al monte,
il palazzo dell’Holyroodhouse
ci ammaliava
con la sua solitudine.
Ci stringemmo l’un l’altro allora,
e tu ed io, Raffaella,
avvertimmo la tenerezza dei figli,
l’esultanza della loro giovinezza
che penetrava in noi
e ci faceva grandi,
più grandi del mondo.

30 ottobre 1990

CHITARRA VAGABONDA

Ho la giacca di tutti i giorni,
la giacca che mi regalò mio nonno
la volta che fuggii di casa per fare il vagabondo
e siedo sul solito ceppo
d’una pianta antica che fu,
stanca di raccontarmi la storia
della lunga strada che passava
sotto le sue radici bianche.
Pizzico la chitarra,
pizzico la mia chitarra,
la chitarra tolta da un vecchio baule
la volta che fuggii di casa per fare il vagabondo,
pulita a lucido con le mie dita dinoccolate
a forza di strimpellare la mia allegria.
Pizzico la mia chitarra
con la cassa poggiata sulle ginocchia
e la schiena curva ad ascoltare
il bosco che mi accompagna,
contento dell’amicizia che ci lega;
bosco giovane come i miei vent’anni,
nido di uccelli vagabondi e cantatori come me.

12 marzo 1966

DOVE NASCONDI, STEFANO

Dove nascondi, Stefano
la perla acquistata
nell’isola di Wight?
Quel giorno lontano
mi appare così luminoso…
E la piazzetta di Shanklin
dov’è?
Gridavate, tu e le sorelle,
d’incontenibile gioia
affacciati sul mare.
Ora so
che nessuna meraviglia
dell’universo,
nessuna nuova stella,
nessuna galassia
lontana e magnifica
potrà darmi
la calda emozione
di quel ricordo
qui sulla Terra.

24 giugno 1990

A SAINT ANDREWS

A Saint Andrews
tra raffiche di vento
ci spingemmo sul mare.
Ridevate del mio buffo
abbigliamento,
e mentr’io indicavo
il bel volo dei gabbiani
vi burlavate di me,
del mio cappuccio sghembo.
Cadeva la pioggia
e il grande prato verde
davanti al mare
si allungava nel silenzio.
Voi non ricordate forse,
figli miei,
e quel vostro giorno
è uno dei tanti innominati,
ma io lo conservo nel mio cuore
qual gemma rara.
O anima mia,
quanta gioia accumulasti
ed ora a poco a poco,
goccia dopo goccia,
me la rendi!
Vuoi consolarmi della mia vecchiaia,
forse convincermi vuoi
che tutto è stato bello
e niente è dolore
ma tutto è vita
splendente, luminosa?
Allora rendimi
i miei giorni che nascondi!
Mostrali a chi mi crede vecchio,
rivelagli le perle del mio scrigno,
inondalo della luce che ho qui dentro,
e che egli dica di me:
è un uomo felice!

15 luglio 1990

UN GIORNO HO GUARDATO

Un giorno ho guardato la Primavera:
alberi fioriti aveva
e margherite nei campi
e da lontano veniva odor di giovinezza.
Veniva di là dalle montagne,
di là da quel cielo turchino.

Un giorno ho incontrato la Primavera
e mi sono detta:
già un anno è passato
da che indossai la mia veste nuova,
tutto si consuma
alla ruota del tempo.

Son fiorite rose e lillà
intorno alle mie gambe.
Da un petalo all’altro danzo leggera
e ad ogni passo qualcuno mi dice:
tutto questo ti appartiene.

17 giugno 1966

NEL BOSCO SOPRA LA CERTOSA

Nel bosco sopra la Certosa,
dopo il temporale,
il profumo si spande
dei pini
ed io con passo lento
salgo il colle
e godo gli attimi
di questa beatitudine
che qui è nascosta
dal principio del mondo.
È così dolce l’incontro
ch’io mi ritrovo avvolto
nei secoli
e tutte vedo in un lampo
le immagini del passato.
Fermarmi vorrei,
e naufragare in quest’immensità
dolcissima
che mi circonda;
e nell’abbraccio
sentirmi finalmente appagato.
Invece l’ansia
mi rimpicciolisce…
Ma è grande,
vasto il mondo
che penetra nell’anima!
Tra i rami filtra
davanti a me
nel baluginio del cielo
il sole
ed io godo di quest’armonia
primordiale
che ancora dopo millenni
si rivela all’anima
e mostra
pungente e ammaliatrice
la sua immutabilità.

12 maggio 1990

UNISCITI A NOI, FRATELLO

Unisciti a noi, fratello.
La nostra è una marcia in silenzio.
Sollecitiamo l’ora!
Siamo una lunga fila senza inizio né fine.
Ci hanno pestati, abbrutiti, segregati.
Suonaci l’inno!
Rapidi come l’aquila piomberemo,
graffieremo,
faremo giustizia.
Dolce fratello, unisciti a noi.
Ci credono un muro di sabbia.
Cadranno increduli.

15 ottobre 1967

CROIX DU NANT
(Località nei pressi di Monthey, Svizzera)

Nevica fuori,
ed io sto dietro i vetri
della piccola finestra;
non è ancora l’alba
e attorno al lampione
giù nella strada
vedo i lenti fiocchi
cadere.
L’auto in sosta è già bianca,
bianchi sono i prati
e i tetti delle case sulla collina,
rade.
Una piccola luce lassù
si è accesa,
lontano un rumore
di qualcuno che parte,
poi di nuovo il silenzio,
e quella neve
scende ancora,
pare venire da lontananze
sperdute oltre quel cielo
nero.
Più sotto,
nella vallata,
passa qualche auto,
i fari accesi,
piccini piccini,
ma non giunge quassù
alcun rumore.
Oh, parlare con questo silenzio
che irrompe nell’anima,
capire la sua magia
che rende giustizia
dei molti affanni!
Nella stanza
i miei cari dormono ancora
ed io vorrei destarli,
adunarli a me
dietro i vetri
della piccola finestra,
mostrare il prodigio
di questo evento millenario
che pur così grande
penetra la nostra esistenza
minuta
e la sconvolge con il silenzio.

4 dicembre 1988

LA CODA DI PAGLIA DELLE DONNE

Devo trovarla,
devo a tutti i costi trovarla
quella maledetta coda di paglia!
E quando avrò scoperto
dov’è che la nascondi
con queste forbici
la taglierò.
Da quel momento,
ai miei rimproveri
sempre sorriderai.
L’acconciatura dei capelli,
le insipide ricette,
la tua indolenza,
il tuo sbrigar le cose in fretta
al sommo del piacere
irriderò.
Con grida di gioia
mi accoglierai!
Con salti di felicità
spalancherai la porta!
E sarai fiera di me,
ti vanterai della mia saggezza,
del mio brillante eloquio,
della mia lungimiranza.
Ah, che ridere sarà,
che piacere,
che godimento…
Il mio occhio
sempre fruga su di te
per quella maledetta coda di paglia
quando tu non te ne accorgi.
Non solo la tua schiena
l’ansioso occhio fruga,
ma la tua testolina imbambolata,
la punta del tuo naso;
sotto le palpebre viperine fruga,
sopra l’ampia fronte arguta,
in mezzo al seno straripante,
sul ventre,
sopra il mento,
sulla cima dell’alluce gigante,
sotto il tacco della scarpa rosa,
in ogni angolo fruga,
in ogni angolo in cerca
di quella tua dannata coda!
Dev’essere ben lunga e folta
quella coda
se ogni volta che la sferzi
un mare di parole
esce dalla tua bocca!
Trovarla devo,
trovarla ad ogni costo.
Da quel momento
al tuo cospetto
come un Dio fulgido e possente
apparirò,
come Giove che scende dalle stelle,
come un biondo e indomito vichingo,
come l’uomo cortese e seducente,
il più amabile e dolce tra tutti!
Quella coda di paglia io devo trovare.
Chi potrebbe resistere con te
se non la trovo?
Per il resto dei miei giorni
sarei dannato!
Resterei per te
l’avido sposo crudele,
il cinico aguzzino,
il rude genitore,
l’ultimo degli ultimi,
il demone
che ha distrutto la tua felicità.

31 gennaio 1992

TALVOLTA

Una certa inquietudine
e non sai cosa fare,
questo mi accade
talvolta.
E se è una bella giornata
soprattutto d’Autunno o d’Inverno
corro a San Biagio,
salgo alla dolce Pieve (1),
cerco di quietare il tumulto,
lo sguardo rivolgo
alla natura soave,
struggente.
E se la mia anima
domanda il rendiconto
di ciò che avrei voluto essere
e non sono diventato,
il tepore del sole
e la dolcezza di quelle colline
placano il mio tormento.
Vorrei essere semplice
ma so che è impossibile;
scorrere nella vita
come l’acqua del fiume,
avere dentro di me
solo armonia.
Oh, limare la mente,
l’anima liberare
dalla superbia dei sogni!
E se il mio cuore anela
il tempo andato
ed io sedermi su di un sasso
in cima al monte
dove non c’è che il vento
e la vastità dell’orizzonte,
come posso, dimmi,
fermare il desiderio?
Vorrei essere semplice
e so che è impossibile,
scacciare da me il tumulto
che mi spinge ad andare;
fermarmi a toccare,
vedere,
ciò che mi passa accanto.
E se in un raro istante
riesco a sentirmi
aria, pianta, sorgente,
provo a trattenere la mente
ma tutto è già passato;
resta il delirio
di aver sentito
di aver provato
e di non poter più dire:
è un sogno.

1 novembre 1988

Nota 1: La pieve di Santo Stefano

VORREI SU AEREA NAVE

Vorrei su aerea nave volare
e tra le nubi passare
al suono di sirena.

E lassù l’occhio muovere
intorno.
Forse non sono uomo, come tu mi dici.

Del fiume salire alla sorgente
tra prati boschi e balze vorrei
e di lassù lieto discendere

nell’acqua rotolando.
E coi pesci a gara
tuffarmi nel mare.

D’amore coprirmi e di gioia,
le braccia nel vento,
a farmi immagine grande.

14 maggio 1967

IL MIO UOMO

Il mio uomo non voleva
innamorarsi di me.
Diceva che ero civettuola
e il mio cuore non poteva
appartenere a nessuno.

Oh, dovreste vederlo ora
il mio uomo,
chiuso da Gio’
tutto il giorno
a ubriacarsi e a piangere.

Oh, dovreste vederlo ora
il mio uomo,
quando mi guarda ballare
sulla piazza e gli uomini
si battono per avermi.

Il mio uomo non voleva
innamorarsi di me;
ma ora son io
il sole delle sue giornate,
gli occhi della sua anima.

12 agosto 1965

UN VENTO FORTE

Un vento forte, improvviso
esce da un cielo nero,
s’abbatte sugli alberi.
Subito scroscia
una pioggia che il vento
trascina,
tarda a posarsi sui campi.
Vedo la mia città turrita,
le Mura antiche illuminarsi
dentro quel buio
ed io non so ritrovarmi,
capire se è un sogno
ciò che vedo,
e se qualcuno più grande
si burla di me
e mi allontana e mi avvicina
ai giorni del mio tempo.
I miei figli nell’altra stanza
sono intenti a studiare,
vorrei la loro angoscia fugare,
sentirli soltanto felici.
E mi domando perché
non esiste una vita così,
e se mi conviene
aver risposta ai miei pensieri,
comprendere il succedersi
dei giorni,
l’alternarsi delle gioie
e delle pene.
E se è difficile, come sento,
dare una ragione al mio spirito,
quietarlo come si quieta il vento.
Intanto vivo
una giornata di tristezza,
e non so perché.

26 febbraio 1989

QUANDO SAPREMO LA VERITí€

Quando sapremo la verità
di questa vita,
accadrà all’improvviso,
come per un velo caduto.
Rimpiangeremo di essere
diventati grandi
in questo modo violento,
innaturale.
È la società l’errore,
la vita organizzata
che ha bisogno dileggi,
di violenza sull’uomo.
Oggi desidero tanto
ritrovarmi,
scendere un po’
per il sentiero dell’anima
mia.
È irripetibile
la mia esistenza;
prima di perderla
lascia, o Signore,
che la conosca,
che dia un senso
a questo viso
e a queste mani.
Poi fammi anche morire,
ma senza le lacrime
degli altri,
soltanto le mie,
disperate
per questa nascita
dal buio
che scolpisce un’anima
e pare abbandonarla.
I miei ricordi più belli
sono un immenso dolore.

26 marzo 1977

FANCIULLO, FERMATI

Fanciullo, fermati.
Dimmi: che hai?
Ti ho visto di lontano
oltrepassare quei monti.
Correvi come gazzella;
verdi prati hai superato,
azzurri orizzonti.
Il tuo passo leggero
ti conduce molto lontano.
Fanciullo, fermati.
Dimmi: che hai?

Ecco, io ti dirò,
ma tu non crederai.
Vedi quell’orizzonte
laggiù, lontano?
Oltre quello io andrò.
Là mi attende
una grande prateria.
Vi scorrono mandrie
di cavalli indomiti,
le criniere al vento.
Là arriverò.
Mi sdraierò sulla fresca erba,
riposerò in pace.

1964

QUANDO VERRí€ IL MIO TURNO

Quando verrà il mio turno
di dare l’addio al mondo
mi siederò in giardino
come un tempo
e guarderò soavemente
crescere l’erba.
Le cose ricorderò
che sognai
e non ho avuto.

1966

FANTASIA

Prendi tutto di me, fantasia,
lusinga la mia mente
e vola,
vola sempre più in alto,
oltre quel cielo lassù;
supera i pianeti,
oltrepassa le stelle.
A te mi affido.
Conserva il mio ricordo
nelle epoche future,
nei millenni che verranno,
nella mente dei ragazzi che sapranno
pronunciare appena
il mio nome.

19 dicembre 1991

ME NE SONO ANDATO

Me ne sono andato
lontano
per qualche ora
con la mente.
Tu domandavi
nella notte
ed io non sapevo.
Ho paura, amore mio
di lasciarti un giorno
all’improvviso
senza saper più dire
parole,
e lasciare i miei figli
tanto amati,
e vagare, vagare nel nulla
che non conosco,
nel vuoto senza percezione
e senza memoria.
Ricorda allora,
e ricordalo ai figli,
quello che fui un tempo
e le gioie che abbiamo vissute
insieme,
che da qualche parte
dentro di me
restano
per risorgere,
chissà dove e quando.
Sarò un’ombra,
forse, in questa casa
dove fui un principe,
un re.

25 novembre 2001

LA MIA PANIA

Su Gallicano s’impone
a mo’ di propaggine,
maestosa e regina.
In silenzio la si osserva,
soggiogati.
Da casa mia, pur lontano,
la vedo dinanzi a me,
superba
ma amorevole
alla fine d’una strada
azzurra
del cielo.
Se avessi le ali,
dritta sarebbe
la direzione
per posarmi sulla sua Croce
e pregare.
Un giorno vi arrivai,
nel fiato la fatica
dell’ascesa
e una felicità
mi prese
di stringerla a me.
Non tornerò più,
le dissi,
ma ogni giorno
nel mio sguardo
c’incontreremo
e mi avvolgerai
ancora una volta
il cuore.
Tu esprimi l’eterno
ed io il debole e il caduco
dell’esistenza umana,
e quel giorno a te
con quell’abbraccio
consegnai la mia
immortalità.
Nessuno potrà sapere
del nostro giuramento,
se non da questa poesia
umile e affranta
dalla dolorosa finitezza.
Oggi, mirandoti dal viale,
con la mano ti porgo
l’usato saluto
affettuoso
e ti ricordo ch’io sono qua
vivo
e felice
affinché tu mi protegga ancora
e mi stringa al tuo cuore.

13 settembre 2020


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4 Comments

  1. Commento by Marzio Siracusa — 28 Luglio 2009 @ 17:38

    Caro Bartolomeo,
    “quando l’Estate era calda” è un’immagine a – tomica, oltre la memoria non può scandagliare, quindi è un’immagine fondante che risale a noi e non resta voragine del tempo perduto. Ecco un esempio di memoria salvata dal ricordo. Marzio

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 28 Luglio 2009 @ 19:37

    Grazie, Marzio. Il riferimento, per i lettori, è alla poesia: Lucca, dedicata al compianto prof. Guglielmo Lera.

  3. Commento by Sara Ferraglia — 15 Ottobre 2009 @ 19:02

    Ho letto anche le tue.
    La mamma mi colse è splendida!
    Un saluto

    Sara

    ( grazie per la visita al mio ORTO / GIARDINO )

  4. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 15 Ottobre 2009 @ 19:19

    Grazie a te, Sara.

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