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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Racconto: I figli di Ludovico #1/7

18 Settembre 2008

di Bartolomeo Di Monaco
[Per le altre sue letture scorrere qui. Il suo blog qui.]

I figli di Ludovico #1

I

  Ludovico alzò il capo, poggiò la schiena alla sedia e prese fiato. La penna gli stava tra le dita come abbandonata.
  Una delle nipoti, Chiara, la più piccola, di cinque anni, irruppe nella sua stanza.
  «Nonno! Nonno! Corri a vedere! »
  Arrivati davanti alla porta d’ingresso rimasta spalancata, non videro gli alberi del bosco che circondava la loro casa, ma un’immensa pianura verdeggiante, e sullo sfondo alcune desolate colline.
  Un sorridente cavaliere stava sull’uscio a fianco del suo cavallo, e ne aveva un altro con sé dietro al primo.
  «Vieni anche tu con noi? » domandò Ludovico alla piccola Chiara.
  «Oh sì, portami con te, nonno. Voglio venire con te. »
  Si fece inquieto il loro cavallo. Si avvicinò all’uscio, scosse la testa, e sembrava volerli incoraggiare.
  Ludovico allora si chinò sulla bimba, l’accarezzò. Era una cosa meravigliosa quella che stava accadendo – le disse – e per nessuna ragione al mondo vi avrebbe rinunciato. La sollevò sulle sue braccia.
  Saliti a cavallo, la loro casa presto fu lontana.  

  Fuori dell’uscio rimasto spalancato s’intravedeva il piccolo pollaio. Margherita, l’altra nipotina di tredici anni, rimproverava Sandrino.
  «Non devi stare intorno al pollaio! »
  Sandrino, di nove anni, rappresentava un vero flagello per quelle galline. Spesso si divertiva a dar loro da mangiare erbacce del bosco, che le gonfiavano, e qualche volta le facevano morire.
  «Da qui non mi muovo » rispondeva lui, e mostrava le mani vuote, lasciando intendere che non aveva fatto niente a quelle bestiacce, che lui non poteva proprio soffrire.
  «Torna a fare i compiti. »
  «Bada piuttosto a te! » Sandrino paragonava nella sua fantasia l’immagine della sorella a quella delle antipatiche galline.
  «Potessi tirarti il collo » brontolava piano per non farsi sentire.
  Invece di ubbidire alla sorella, si dirigeva svelto svelto verso lo stallino dei maiali. Si appoggiava al cancelletto, e chiamava per nome quei suoi amiconi, coi quali intratteneva un rapporto tutto speciale. Aveva dato a ciascuno un nome da cristiano (Prospero, Cornelio, Pompeo, Serafino…) e spesse volte ci parlava, raccontava delle prepotenze che gli faceva la sorella maggiore, e quando sentiva qualche maiale che gli rispondeva con un grugnito, allora si consolava.
  «Vedi che anche tu mi dài ragione. »
  Solo la mamma certi giorni riusciva a farlo rientrare in casa e a metterlo davanti ai quaderni di scuola. Se fosse dipeso da Sandrino, le scuole le avrebbe bruciate tutte quante e avrebbe innalzato lodi al Padreterno intorno a quel bel falò che si levava al cielo.
  Non capiva perché si doveva andare a scuola; e fin ora nessuno era riuscito a dargliene una spiegazione accettabile.
  «Quanto tempo della mia vita mi rubi, scuola ladra! » inveiva, allorché la mamma lo lasciava solo, seduto davanti al tavolino. Subito faceva la linguaccia al suo quaderno.
  «Ti brucio, quando sarà finita la scuola. »
  Era la sola rivincita in cui potesse sperare.
  Margherita, intanto, stava ancora lì ad attendere, coi pugni sui fianchi e l’espressione del viso adirata.
  Sandrino, appoggiato al cancelletto, la guardava di sbieco, cercando di capire le intenzioni della sorella.
  Margherita sbuffava. Era sempre un duello sfibrante quello che intraprendeva col fratellino. Mai una volta che ubbidisse al primo richiamo! Non la svolgeva volentieri quella parte che le assegnava la mamma, e avrebbe voluto tanto trovarsi al posto di Chiara, che era lasciata libera di fare tutto ciò che le pareva, e nessuno aveva mai da rimproverarle niente. Lei aveva avuto la sfortuna di nascere per prima. Ma era lei che aveva portato la gioia nella casa; nessuno pareva ricordarsene più, e la trattavano come una serva. La mamma le spiegava invece che era tenuta in gran conto nella famiglia, e occupava un posto di responsabilità: dopo il nonno, il babbo e la mamma. Ma Margherita era ben lontana dal crederlo. Bella responsabilità, se certe volte al mattino doveva prepararla lei la colazione anche per gli altri due lavativi!
  «Uffa! Vieni o non vieni! Guarda che chiamo la mamma. » E quando Margherita stava per girare la schiena e ritornare in casa a passo svelto, il sedere come al solito levato in aria per la stizza, allora Sandrino capiva che non era più tempo di mandarla per le lunghe. Sbuffando anche lui, ma a passo molto, molto più lento, la testa un poco chinata a terra, si decideva al mesto rientro.  

  Oltrepassata la verde pianura, superate le desolate colline, tutte sassi e sterpaglia, Ludovico arrestò il suo cavallo.
  «Ma nonno, perché ti fermi? »
  Il cavaliere tornò indietro, andando loro incontro.
  Chiamò Chiara per nome.
  «Ti piacerebbe volare? »
  «Non sono mica un uccello! »
  «Fai come me. Guarda! »
  Aprì le braccia, le agitò in aria come fanno gli uccelli con le ali, e all’improvviso ecco che si staccò dal cavallo, restò sospeso nel vuoto.
  «Vedi? È facile come camminare. »
  Chiara rideva, e anche il nonno guardava con meraviglia il cavaliere librarsi nell’aria.
  «Vogliamo provare anche noi, Chiara? » disse alla nipotina, che aveva gli occhi pieni di curiosità.
  Il nonno la sollevò per la vita, mentre lei spalancava le braccia e tentava il volo. Poi all’improvviso si staccò dal cavallo, si levò in aria e rimase sospesa accanto al cavaliere. Con piccoli movimenti delle braccia riusciva a restare ferma lassù! Rideva contenta, ancora un po’ timorosa.
  «Vieni nonno. È facile! È facile! Che bello volare! »
  Il cavaliere ogni tanto si allontanava dalla bimba, faceva un largo giro all’intorno e disegnava leggiadre figure con il suo volo. Chiara lo guardava al colmo della felicità.
  «È bello, nonno. È una cosa meravigliosa! »
  Si alzò ancora più in alto. Ludovico vide il cavaliere avvicinarsi a lei, prenderla per mano e condurla sopra la bella pianura.
  Chiara prendeva dimestichezza col volo. S’era fatta ardita. Virava con le braccia e di quando in quando scendeva in picchiata fino a sfiorare la testa del nonno, che ancora stava sul suo cavallo, incredulo.
  «Sei contenta, piccola mia? » le diceva, quando la nipotina gli passava accanto.
  «Tanto tanto, nonno caro. »
  Allora il nonno si fece coraggio. Anche lui aprì le braccia, con colpi potenti fendette l’aria, e subito si trovò librato nel cielo.
  I cavalli stavano laggiù sul prato, i colli tesi verso l’erba. Solo ogni tanto levavano i musi al cielo, e a mano a mano che i tre straordinari viaggiatori salivano sempre più in alto, essi si facevano piccini piccini. Ludovico ad un certo punto non li vide più.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart