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Racconto: L’amicizia di Attilio #1/8

25 Settembre 2008

di Bartolomeo Di Monaco
Per le altre sue letture scorrere qui. Il suo blog qui.]

L’amicizia di Attilio #1

I

  Corrado ricordava quel modo tutto speciale che Attilio aveva di donare la propria amicizia, e lui, timido fino all’inverosimile, si era aperto al mondo grazie al contatto avuto con quel meraviglioso compagno. Attilio non temeva niente della vita e affrontava ogni cosa senza esitazione, quando intuiva che era giusto fare così.
  Ma dove mai si trovava ora?
  Corrado lo aveva perso di vista. Un banale diverbio li aveva separati. Si erano incontrati per strada qualche volta; eppoi Corrado seppe un giorno che Attilio aveva avuto qualche sbandamento della mente. Ne fu trafitto, e immaginò che il Creatore del mondo avesse indirizzato quella straordinaria allegria di Attilio verso nuovi insondabili sentieri, e sopra quelli camminava ora il suo spirito.  

  Da che nasciamo, noi facciamo i nostri conti con la vita non una ma milioni di volte, e anche se nel corso dei secoli si è tentato di dare qualche risposta su che cosa essa sia realmente, ciascuno di noi con la propria nascita e la personale esperienza ricomincia ad interrogarsi sempre da capo. Perché apprendere sui libri non equivale mai a vivere. Corrado intuì una mattina, non più ragazzino, che se voleva onorare la vita, egli doveva impostare la sua esistenza su di una serie innumerevole di presenti, poiché il presente non è soltanto l’istante che si riesce a cogliere, ma esso si compone e si salda con tutti i presenti passati e futuri; essi si riversano in qualche modo uno dentro l’altro e generano la propria individuale, inimitabile esistenza.
  Era una mattina di primavera; stava con la sua bicicletta sull’argine del Serchio, e fu proprio lì, davanti allo scorrere dell’acqua di quel fiume antico, che conquistò il suo brandello di verità. Si sentì soddisfatto.  

  Terminati gli studi e trovato un lavoro, Corrado si considerò fortunato. Ma del mondo, dei suoi nuovi rapporti con la realtà non era contento. Qualcosa non stava al posto giusto nell’ordine costituito della società civile e quella sensazione di sconforto e di delusione che lo stava attanagliando un poco alla volta mostrò infine la sua radice, e Corrado poté cominciare ad analizzare le ragioni della sua scontentezza.
  Egli constatava che tutti i principi e gli accadimenti di un certo rilievo che avevano fatto la storia del mondo erano stati capaci di produrre solo dolore. I millenni trascorsi erano dunque andati perduti? Che poteva fare lui, Corrado? Esisteva una possibilità di agire che gli fosse riservata?
  E così, il ricordo di Attilio gli offrì di nuovo una grande occasione, poiché ormai era certo che l’amico era entrato dentro una realtà diversa e possibile, e a lui toccava di decifrarla.  

  D’estate, la sera tardi, per le strade di Lucca non s’incontra molta gente. La città antica, con le sue viuzze strette e i tetti che quasi si toccano, si veste di magia per accogliere i pochi passanti, che sono   gli adoratori silenziosi e fedeli della città. Corrado era tra questi, e spesso vi si recava, dopo aver cenato e chiuso alle spalle l’uscio di casa; si dirigeva verso piazza San Michele, e da lì entrava nel Fillungo. Ascoltava, sotto quelle fioche luci, i suoi passi risuonare sul selciato, e udiva quelli degli altri, ancora lontani e ammaliatori. Giunto all’incrocio con Chiasso Barletti, gli pareva perfino qualche volta di riudire le voci dei triumviri Cesare, Pompeo e Crasso, che stringevano il patto nella sua bella città.
  Una sera percorse, dopo via Fillungo, tutta via dei Borghi. Si ritrovò sui fossi. Gorgogliava l’acqua del canale. Si sporse dal muretto: vi si specchiava magica e incantatrice la luna.  

  Si annunciava un autunno carico di tensioni. Vi era rabbia negli uomini. Si aveva voglia di qualcosa, di qualunque cosa che rigenerasse la speranza.
  Una manifestazione di operai giunse davanti al palazzo del Prefetto.
  Gli animi erano accesi. Alcuni avevano perduto il posto di lavoro proprio in quei giorni. La gente s’era fidata dei governanti.
  «Andiamo dal Prefetto. Ci deve guardare bene in faccia » cominciò a gridare qualcuno.
  «Diamogli una lezione! » gli fece eco un altro.
  «Devono capire che si fa sul serio. »
  «Portiamolo a Roma con noi. »
  La gente si era stufata di ripetere i soliti cortei, comizi e manifestazioni varie, che non sortivano alcun risultato.
  «Non devono più governarci quelli che ci hanno ridotto così! »
  «La politica è diventata strumento di corruzione. »
  «Quei farabutti hanno messo alla berlina il nostro Paese. »
  «Maledetti! Hanno distrutto il futuro ai nostri figli. Non lo vedete che non c’è più speranza negli occhi dei nostri ragazzi? »
  «Peggio degli assassini! »
  «Siano stramaledetti! »
  Corrado deplorava la violenza, ma la sentiva gonfiare e salire dappertutto.
  Poteva esserci un’altra strada? Ma guardando alle leggi generali della natura, doveva ammettere che la condizione dei deboli, in ogni specie vivente, è a tal punto miserabile che un debole resta tale per tutta la sua esistenza.
  Dove la si doveva cercare dunque questa nuova strada? Si doveva forse cercare nell’amore la chiave straordinaria per un definitivo cambiamento?
  «Come può riuscire l’amore se nemmeno quello di Cristo c’è riuscito! » ironizzava Irene, la sua compagna, ogni qualvolta ne parlava con lei.
  Ma Corrado intuiva che nell’uomo, più che nella natura, vanno ricercati i segni di questa possibilità. Avvertiva che solo nell’uomo vi sono i tratti di una distinzione che promana direttamente da Dio.
  Certi giorni prendeva coraggio e si rallegrava dei suoi pensieri.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart