Romanzo: Cara Anna – una storia d’amore vera sbocciata a Lucca durante gli anni della Seconda Guerra mondiale #1/162 Settembre 2008 di Bartolomeo Di Monaco Per circostanze fortunate, ho potuto conoscere e consultare il materiale riprodotto in questo libro, che narra di una delicata storia d’amore sbocciata nel corso della Seconda Guerra mondiale tra due lucchesi, abitanti della periferia di Lucca. Il giovane è chiamato all’età di 21 anni ad assolvere il servizio di leva. Prima di partire, furtivamente nasconde in un libro destinato ad una coetanea la sua dichiarazione d’amore. È l’inizio della loro bella avventura. A Milano, assegnato come scritturale all’Alto Comando della 1a Squadra Aerea, viene sorpreso dalla dichiarazione di guerra dell’Italia e segue giorno per giorno, dovendo redigere le quotidiane relazioni, gli avvenimenti bellici. Ne scaturisce un diario assai interessante e minuzioso, di cui abbiamo trascritto solo una parte. Trasferito a Pisa, assiste al suo bombardamento, avvenuto il 31 agosto del 1943, e anche a quello di Lucca del 6 gennaio 1944, e di entrambi ci lascia una descrizione indimenticabile. Cara Anna #1 Lucca, 14 gennaio 1940. XVIII ° Carissima Anna, Data la circostanza che tra poco dovrò partire spero che non ti recherà meraviglia questa mia improvvisa decisione di scriverti. La prospettiva di dover lasciare per molto tempo la casa e gli amici mi ha spinto, in omaggio alla nostra amicizia, a renderti noti molti pensieri che in altri momenti forse non ti avrei esternato. La mia condizione di spirito si trova in una strana situazione fino ad oggi mai provata a motivo forse della mia partenza ed in questo frangente il mio pensiero s’è rivolto costantemente verso di te convincendomi della necessità di farti sapere molte cose. Giuliano partì per il servizio militare di leva il 17 gennaio 1940, due giorni dopo aver consegnato – era il lunedì 15 gennaio – nelle mani di Anna la sua dichiarazione d’amore. “Era una triste giornata. L’inverno che già dai primi inizi si era presentato molto infido e freddo, pure quella mattina voleva imperversare con la sua pioggia ed un freddolino che arrivava fino in fondo alle ossa. Era il giorno della mia partenza. Da più giorni, dietro il sollecito lavoro della mamma e dei miei familiari tutti, avevo preparato ogni cosa per la mia lunga assenza. Una piccola valigetta conteneva tutto il necessario utile per la mia nuova vita. Essa si trovava lì, davanti a me, posata su di una piccola tavola, nell’ingresso della mia casetta. Sembrava aspettarmi e, muta, guardandomi, dicesse: perché non ti decidi a prendermi, perché esiti ancora? Oh! Essa non poteva di certo immaginare l’angoscia che era nel mio cuore, il tormento che era in me stesso. Tutto era pronto. Un amico, Sirio, già era davanti alla mia porta, aspettando che mi decidessi a partire. Il babbo, avviatosi con la valigetta, era andato in Piazza San Francesco ad aspettarmi. Il momento decisivo era arrivato. Detti un ultimo sguardo a tutto ciò che avevo d’intorno affinché sempre mi fosse presente. Cara la mia casetta, il mio orticello, i miei campi, il mio piccolo salottino da studio! Cari i miei libri, lì ammonticchiati l’uno sull’altro; quanto tempo sarebbero rimasti soli e forse quanta malinconia avrebbero provato! Il mio piccolo gattino, scodinzolando, si strusciava fra le gambe quasi avesse capito della mia partenza. Cara bestiola, quanto mi voleva bene! Forse pensava che mai più avrebbe mangiato qualche bel bocconcino trafugato qua e là in cucina sotto gli occhi della mamma, oppure non avrebbe avuto più quelle carezze che sempre gli davo. Tutto osservavo come trasognato, tutto volevo tenere fisso nella mia mente. Da una finestrella, quella del mio studio, febbrilmente osservai una casetta poco distante, visibile ai miei occhi giacché le foglie degli alberi tutte erano cadute, e mi parve scorgere dietro i vetri di una finestra una testa di bimba che ben conoscevo, nessun legame mi univa a lei, ma entrambi avevamo da tempo un segreto nel cuore. Un ultimo sguardo anche a quella, un bacio lanciato dalla mia piccola mano e poi giù di corsa per le scale, deciso finalmente ad andarmene. Saluto lo zio, la zia, i vicini, abbraccio la mamma rassicurandola di me, pregandola di stare contenta. Essa mi guarda, mi stringe di nuovo a sé e mi bacia. Pure io la bacio e poi fuggo via, poiché un nodo che mi serrava la gola m’impediva di parlare e qualche lacrima già scendeva lungo le guance. Fuori ancora pioveva. In pochi minuti raggiungiamo la città , lascio la bicicletta da un amico meccanico, pregandolo di mettermela bene a posto, e quindi di consegnarla ai miei, e a piedi m’incammino verso il mio nuovo destino.” Letto 1564 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||