ROMANZO: Tosca Pagliari: “Nivek, il Segreto dell’Erba Tagliata” #1/68 Marzo 2010 “La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: Dedicato a tutti i bambini speciali, (parte prima) Il gatto era grasso col pelo così folto e lungo da sembrare ancora più imponente. Era grigio tigrato sulla schiena, sulla coda e sulle zampe, mentre era bianco immacolato sul muso, sotto il collo e sul ventre. Nonostante sembrasse fuggito da un quadro di Botero, conservava intatta l’agilità felina perfezionata da insoliti allenamenti. Il bambino aveva cominciato a farlo saltare dall’interno delle sue braccia congiunte a cerchio. Poi le aveva sollevate sempre più in alto finché l’animale non era stato in grado di avere slanci sempre più spettacolari. Non contento aveva deciso che, oltre alle sue braccia, dovesse oltrepassare una sedia, in seguito il tavolo ed infine una sedia posta sul tavolo. Il gatto partiva come una saetta e, a conclusione dell’ampia parabola ascendente e discendente, atterrava leggero, così corpulento com’era, senza neanche un tonfo. Di quel gatto si diceva che fosse speciale, così intelligente da mancargli soltanto la parola, ma non era vero. Infatti, all’ insaputa di tutti, possedeva anche il dono del parlare. All’insaputa di tutti, tranne del bambino che lo aveva reso campione di salto.  – Dai usciamo a fare quattro zampate, con tutti questi salti sono stufo da capo a coda. Ho tutto il pelo in turbinio e voglia solo di prendere un po’ d’aria. – Dove andiamo? – Che importa, intanto si parte. – Quando torniamo? – E’ un problema che ci porremo dopo essere partiti. – Torneremo? – Chi parte non deve mai avere simili angosce, altrimenti resta sempre piantato lì come quell’albero di pere. – La ritroveremo la casa? – Dove vuoi che vada la casa? Quella sì che non si può muovere. Resterà dove la lasciamo. Anche se si annoia sarà costretta ad aspettarci. – E la mamma? – Le mamme bisogna che si abituino a veder partire di casa i propri figli.  Il gatto andava avanti con la coda diritta, il bambino lo seguiva ed ogni tanto si voltava per guardarsi alle spalle. Il gatto, che pareva avesse occhi anche dietro la testa, lo riprendeva: – Chi deve andare avanti non è bene che si volti di continuo indietro. Rischia solo di rompersi il collo per non avvedersi di dove mette le zampe. – Io ho i piedi e so metterli anche senza guardarli. Ma la casa sta diventando sempre  più piccola, pare che debba sparire da un momento all’altro. – E’ tutta una questione d’apparenze, credimi. Gli occhi, a volte, ingannano anche i pensieri. – Allora ci hai pensato dove stiamo andando? – Tu dove vorresti arrivare? – Non lo so, è stata tua l’idea di uscire. – Male! Non si può stare sempre a seguire le idee degli altri, bisogna averne di proprie. – Ma adesso in che direzione andiamo? – Andiamo nella direzione giusta. – Come lo sai? – Lo so! Lo sento con le vibrisse. – Che sono? – Bambino ignorante! Sono i miei “baffiâ€, ma questo è un termine adatto agli umani. I gatti con tanto di rispetto posseggono le vibrisse. – Quando arriviamo? – Dove? – Dove lo sai tu. – Io non lo so. – Allora perché dici che siamo nella direzione giusta? – Non lo dico io, ma le mie vibrisse.  Il bambino non si voltava più indietro, ma sentiva che la casa era sparita. Allora cominciò a toccarsi  sopra le labbra per appurare se gli stessero spuntando le vibrisse. Ad un certo punto il gatto si fermò. – Siamo arrivati? – Come sei noioso! Faccio una sosta, devo annusare. – Che senti? – Un odore improvviso d’incertezza. – Adesso perché ti lecchi? – Mi assaggio, devo sapere se so d’inquietudine. – Perché rizzi gli orecchi. – Ascolto se la paura sta attraversando questo tratto. E tu invece che combini? – Mi lecco il braccio. Ha solo un sapore tra il dolce e il salato. Come faccio a capire se sono inquieto? – Non ci provare neanche. Non sei addestrato a usare correttamente i tuoi sensi. Gli occhi per vedere, la lingua per gustare, il naso per odorare bla, bla, bla… – Allora che si fa? – Si procede, è tutto a posto. – Sta calando il buio e tu hai anche gli occhi fosforescenti, io no! – Fo-sfo-re-scen-ti! Che parola! Mi pare d’essere considerato un extraterrestre. Non c’è nessun buio dove non si possa vedere, è solo una questione d’adattamento soprattutto mentale. Allora anche le tue pupille, le tue orecchie, la tua pelle, tutto di te può diventare fo-sfo-re-scen-te. Ma che parole straordinarie inventate voi umani per dare un tono al rumore della vostra voce. – Torniamo indietro. – Di già ? Se siamo appena partiti! E poi prima bisogna arrivare , non si può sprecare un viaggio a vuoto. – Siamo nel bosco? – Perché ti trema la voce? Se il bosco ti fa paura pensa solo di essere tra gli alberi. – Ho freddo! – Stai tranquillo, vuol solo dire che non hai caldo. – Sono stanco. – Alla stanchezza non si può rimediare, vuol dire che è giunto il momento di riposare. – Dove? – Uno di questi alberi sarà ben lieto di alloggiarci. – A te basterà fare un salto, in questo sei anche un campione. Io invece dovrò arrampicarmi fin lassù e soffro di vertigini. – Non c’è alcun bisogno di tutto questo, gli alberi sono creature educate e vedrai che ci faranno entrare. – E come? – Basterà bussare con delicatezza. Dai scegline uno. – Uno a caso? E gli altri non si offenderanno? – Gli alberi sono esseri superiori, non dimenticarlo.  Adesso il bambino vedeva anche al buio. Poteva scegliere. Si diresse verso un albero dal fusto così grosso che non si riusciva ad abbracciarlo e così alto che con lo sguardo non si arrivava a scorgerne la cima. Non ebbe neanche bisogno di bussare. Era un albero molto cortese e li accolse di slancio senza alcuna esitazione.  – Chi l’avrebbe mai detto che un albero potesse diventare un alloggio! – Bambino sciocco, sapessi quanti animali vi si rifugiano! – Sì, ma entrano dai buchi, noi come abbiamo fatto? Sembra che l’albero stesso ci abbia risucchiato. – Che importa, oramai ci siamo dentro e basta. – Vorrei anche capire come poter uscire. – Non è detto che tu debba farlo dalla parte da cui sei entrato. E poi non convincerti mai che ci sia un’unica via d’uscita. Sprecheresti altre occasioni.  Nonostante le considerazioni del gatto, il bambino continuava ad essere irrequieto.   – Non ho sonno Il gatto rispose: – Nessuno ti ha ordinato di dormire. E se stessi sognando di essere sveglio? – Come faccio a capirlo? – Capire, capire, capire … Che t’interessa! Vivi e basta! – Per te è facile, sei un gatto. – Lo dici come se fossi un essere inferiore, ma sono talmente al di sopra di queste banalità che non mi offendo neanche. E sai che ti dico? Per te dovrebbe essere ancora più facile, sei un bambino. – Lo senti? – Che cosa? – Questo odore intenso di resina, il gorgoglio dei liquidi che scorrono, il contatto con le pareti umide e vischiose. – Non so sentire con un senso alla volta. Sento tutto insieme, come un grande respiro. Prova anche tu, concentrati.  Il bambino si raggomitolò ed ebbe l’impressione di galleggiare. Poi riuscì a parlare senza usare alcun suono. La sua mente era direttamente collegata con quella del gatto mentre considerava: – Sento una cosa sola. -Da dove? – Dall’ombelico. – Cos’è? – E’ la vita, soltanto la vita. – Bravo, cominci ad imparare. Domattina andremo oltre. Gli alberi là fuori allungavano i propri rami, s’avvinghiavano l’un l’altro in un groviglio impenetrabile. Al centro del bosco se ne stava quello gigantesco scelto dal bambino. All’interno della sua corteccia per tutta la notte vi fu un irrequieto brontolio d’essenza vitale. Al mattino, spossato, lo spirito dell’albero tuonò: – E’ ora di svegliarsi, tutta la natura è desta. Non potete più restare qui. – Da dove si esce? Chiese il bambino assonnato. – Andate per le scale. Incitava l’albero con gran fretta. – Su o giù? Chiese ancora il bambino con uno sbadiglio, accorgendosi solo allora della scala intagliata dentro il tronco. – Dipende se vuoi salire o scendere. Intervenne tutto serio il gatto. – Tu dove andresti? Indagò il bambino. Il gatto rispose sardonico: – Sopra, sotto o sottosopra, che differenza fa? A destra, a sinistra, davanti, dietro … sono tutti concetti vaghi perché cambiano al variare del punto di riferimento, così come tutto cambia al variare del punto di vista. Mettitelo bene in testa, non c’è una direzione ben definita, ma bisogna scegliere se si vuole andare e scegliere al meglio se non ci si vuole perdere. – Voglio andare fuori! Voglio vedere il sole, saliamo! Strillò il bambino  Sbucarono sulla cima ed i rami erano ricolmi di bacche rosse. – Ho fame! Si lamentò il bambino. – Mangia pure. Rispose l’albero con la sua voce cavernosa. Ed aggiunse: – Ma devi masticare anche i noccioli ed ingoiarli tutti, finché non troverai quello giusto. – Giusto per cosa? – Giusto per vedere. – Cosa c’è da vedere? – Prova invece di chiedere. Il bambino afferrò il primo frutto che gli capitò ed iniziò a masticarlo. Era così succoso che sbrodolava da tutte le parti. Il nocciolo era troppo duro ed i suoi giovani molari non riuscivano a triturarlo così lo sputò. Aveva ancora fame e mangiava i frutti uno dopo l’altro. Incurante delle raccomandazioni dell’albero sputava i semi in basso sparpagliandoli intorno alle radici. Ad un tratto ne trovò uno morbido e dolce come chewingum, allora riuscì a masticarlo ed uno schermo si accese nella sua mente. Era un ragazzo dagli incredibili occhi azzurri, d’un azzurro puro e deciso. Nessun riverbero di luce riusciva ad alterarne il colore. Aveva il sorriso sfacciato di chi è ancora convinto di dominare gli eventi della vita a proprio piacimento. Così sorrideva intanto che s’udiva una voce fuori campo incrinata dal pianto. – Allora che dobbiamo fare? – Ma dai, che ci vuole? Vedrai, non sentirai neanche nulla. Non ci possiamo certo incasinare l’esistenza per un banale inconveniente. Non lo saprà mai nessuno, sarà il nostro segreto per sempre. – Non posso, lo sento già mio. – Che sentimentalismo esagerato! Mandalo via prima che devasti il tuo corpo e la tua vita. Domani ti farò avere tutto il denaro che ti servirà . Dai non fare quella faccia, pensa a prendere il diploma, poi partiremo. Appena avrai sistemato la faccenda andremo all’agenzia di viaggi a prenotare una vacanza da sballo. Se ce la faccio a superare l’esame di quella maledetta materia, la mia vecchia scucirà una bella cifra. Su che ci divertiremo. Smettila di piangere. Ma lo sai quante ragazze lo fanno al giorno d’oggi, non c’è niente di male. Il ragazzo allungava una mano come per fare una carezza, ma il suo sorriso scanzonato non aveva nulla di tenero. Poi diceva come preso da improvvisa fretta: – Adesso devo andare, ma stasera ti squillo, tieni acceso il cellulare, magari mamma mi ha già fatto la ricarica e ti chiamo. La testa bionda si chinava come per protendersi nell’atto di un bacio, ma subito si ritraeva quasi avesse ricevuto un rifiuto. Eppure aveva stampato sempre lo stesso sorriso mentre si calava il casco rosso scintillante. Poi spariva come una saetta, mentre lo schermo si spegneva. Letto 2776 volte. | ![]() | ||||||||||
Pingback by Bartolomeo Di Monaco » ROMANZO: Tosca Pagliari: “Nivek, il Segreto … — 8 Marzo 2010 @ 11:41
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