STORIA: I MAESTRI: Chateaubriand e Napoleone24 Giugno 2010 di Mario Bonfantini Il 21 marzo 1804 a Parigi Chateaubriand era già pron to a partire con la moglie per Sion, la capitale del Vallese dove era stato nominato rappresentante della Francia. L’immenso successo, due an ni prima del Genie du Christianisme, la cui pubblicazio ne era venuta astutamente a coincidere con il Concordato con Roma e la restaurazione del culto cattolico in Francia, voluti dal Bonaparte primo console, gli aveva procurato la sua benevolenza e aperto la carriera diplomatica cui egli ambiva. Ma quella sera, uscito a far due passi, Cha teaubriand sentì gli strilloni dei giornali gridare per le vie la notizia della condanna a morte di Luigi Antonio Enrico di Borbone-Condé, che portava il titolo di duca d’Enghien ed era considerato il secondo erede del trono di Francia. La reazione dello scrittore davanti a questo che era ai suoi occhi un odioso crimine fu immediata: rien trò in casa e mandò al mi nistro Talleirand una secca letterina di dimissioni. « Quella condanna cambiò la mia vita, come cambiò quel la di Napoleone ». E infatti con le sue dimissioni Cha teaubriand diventò senz’altro il prestigioso capo dell’opposizione legittimista al regime napoleonico: destinato con la Restaurazione a diventare mi nistro di Luigi XVIII, pur conservando sempre quello « spirito di libertà e di indipendenza » che lo rendeva in capace di aderire veramente a un « sistema », come aveva già notato non senza malu more Napoleone stesso, che pur lo sopporterà per dieci anni obbedendo tanto a con siderazioni di opportunità quanto a un fondo di ammi razione per la sua figura. E d’altra parte l’orgoglioso paragone di Chateaubriand che abbiamo riferito dichiara bene quella paradossale riva lità, il tenace duello che lo scrittore più prestigioso del suo tempo, che influì così lar gamente sul corso della lette ratura e sulla mentalità e sui gusti del pubblico non sola mente in Francia, si stimò chiamato a sostenere col gran còrso, con « l’uomo fatale » che stava cambiando la fac cia dell’Europa. Al punto che molti anni do po, morto da un pezzo Napo leone e ritirato dal mondo lui stesso, scrivendo quelle monumentali Memorie della sua vita che sono probabil mente il suo capolavoro, Cha teaubriand trovò giusto dedi care alla stupefacente avventura napoleonica centinaia di pagine. Quelle stesse che, in occasione del secondo cente nario della nascita del tanto esaltato e tanto discusso eroe, la casa editrice Sansoni ha avuto la felice idea di of frire al pubblico italiano, in un ricco volume giustamente intitolato Chateaubriand: Na poleone (pp. 470, L. 7.000), che contiene per intero, nella tra duzione di Orsola Nemi, sei «libri », dal XIX al XXIV, dei Mémoires d’Outre-tombe. Una narrazione completa, che va da Ajaccio a Sant’Elena, e si fa sempre più incalzan te, ora poggiando su note di accanita minuzia (Chateau briand si è ben documenta to) e ora aprendosi su vasti affreschi di efficacia inegua gliabile, improntati a una drammatica grandiosità. E’ chiaro che l’autore si è impo sta l’obbiettività: cerca so prattutto di far parlare i fat ti. Ma è curioso che poco do po d’aver sentito chiamare Napoleone « il devastatore », e poco prima di incontrare una violenta apostrofe a questo « eroe » che « si faceva una gioia di disonorare il caratte re degli uomini », il lettore trovi questa confessione: « La mia ammirazione per Bona parte è sempre stata grande e sincera, anche quando più vivacemente lo attaccavo »: contraddizione che è sottesa a tutte le pagine e spiega la loro strenua energia. Alla grandezza dì Napoleo ne come amministratore e le gislatore, al segno che egli ha lasciato nella nostra civiltà, Chateaubriand dedica pochi periodi come a cose accettate da tutti gli spiriti « positivi », in un giudizio conclusivo so stanzialmente equilibrato e nel complesso ancor valido. Chi volesse saperne di più ha a disposizione oggi un effica ce strumento, nella bellissima opera pubblicata dalla Libre ria Hachette l’anno scorso e magnificamente riprodotta ora in italiano dal Mondado ri: Napoleone e l’Impero (2 volumi di pp. 226 e 224, splen didamente illustrati a colori, L. 16.000). Diciannove capito li, spesso divisi a loro volta in sezioni, di studi densi ed attenti, ad opera di ventiset te specialisti francesi, che il lustrano con sobrietà e com pletezza non solo gli aspetti più vari dell’opera e dell’at tività del grande autocrate, ma la situazione delle arti e della cultura nel suo tempo e i rapporti coi diversi paesi europei. E, per quanto riguarda l’Italia, ecco una pennellata pittoresca che togliamo dal bel volume recentissimo di Aldo Bertoluzza, Napoleone a Trento (ed. G. B. Bonauni, pp. 217, L. 3000) zeppo di no tizie sulle alterne e spesso mi serevoli vicende della città e del contado trentino fino al 1801, ricavate per lo più da manoscritti inediti e con il lustrazioni spesso rare e sem pre interessanti. Entrato la prima volta in città alle 10 del mattino del 5 settembre 1796 (relazione Tovazzi), di statura piccolo, macilento, con cappello nero tagliato al la Macbeth », con « l’ufficia lità francese logora, male in arnese e impulitissima », e i suoi laceri soldati, il generale in capo dell’Armata d’Italia interruppe bruscamente il de cano del Capitolo di Trento che gli parlava come rappre sentante del governo del Ve scovo-Principe (fuggito a pre cipizio con tutte le sue ric chezze): « Io non riconosco prìncipi, e voi prete vi azzar date d’immischiarvi in affari politici e civili: uscite entro sei ore dal territorio altri menti vi farò fucilare », la sciando il buon decano « at tonito ad una tal sentenza ». Napoleone parlava da rivo luzionario; ma poco dopo, meravigliandosi di non sen tire il suono delle campane, protestò che i francesi non venivano da nemici della re ligione; e parlava già da po litico. Letto 3218 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||