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STORIA: I MAESTRI: Chateaubriand e Napoleone

24 Giugno 2010

di Mario Bonfantini
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 12 febbraio 1970]

Il 21 marzo 1804 a Parigi Chateaubriand era già pron ­to a partire con la moglie per Sion, la capitale del Vallese dove era stato nominato rappresentante della Francia. L’immenso successo, due an ­ni prima del Genie du Christianisme, la cui pubblicazio ­ne era venuta astutamente a coincidere con il Concordato con Roma e la restaurazione del culto cattolico in Francia, voluti dal Bonaparte primo console, gli aveva procurato la sua benevolenza e aperto la carriera diplomatica cui egli ambiva. Ma quella sera, uscito a far due passi, Cha ­teaubriand sentì gli strilloni dei giornali gridare per le vie la notizia della condanna a morte di Luigi Antonio Enrico di Borbone-Condé, che portava il titolo di duca d’Enghien ed era considerato il secondo erede del trono di Francia. La reazione dello scrittore davanti a questo che era ai suoi occhi un odioso crimine fu immediata: rien ­trò in casa e mandò al mi ­nistro Talleirand una secca letterina di dimissioni.

« Quella condanna cambiò la mia vita, come cambiò quel ­la di Napoleone ». E infatti con le sue dimissioni Cha ­teaubriand diventò senz’altro il prestigioso capo dell’opposizione legittimista al regime napoleonico: destinato con la Restaurazione a diventare mi ­nistro di Luigi XVIII, pur conservando sempre quello « spirito di libertà e di indipendenza » che lo rendeva in ­capace di aderire veramente a un « sistema », come aveva

già notato non senza malu ­more Napoleone stesso, che pur lo sopporterà per dieci anni obbedendo tanto a con ­siderazioni di opportunità quanto a un fondo di ammi ­razione per la sua figura.

E d’altra parte l’orgoglioso paragone di Chateaubriand che abbiamo riferito dichiara bene quella paradossale riva ­lità, il tenace duello che lo scrittore più prestigioso del suo tempo, che influì così lar ­gamente sul corso della lette ­ratura e sulla mentalità e sui gusti del pubblico non sola ­mente in Francia, si stimò chiamato a sostenere col gran còrso, con « l’uomo fatale » che stava cambiando la fac ­cia dell’Europa.

Al punto che molti anni do ­po, morto da un pezzo Napo ­leone e ritirato dal mondo lui stesso, scrivendo quelle monumentali Memorie della sua vita che sono probabil ­mente il suo capolavoro, Cha ­teaubriand trovò giusto dedi ­care alla stupefacente avventura napoleonica centinaia di pagine. Quelle stesse che, in occasione del secondo cente ­nario della nascita del tanto esaltato e tanto discusso eroe, la casa editrice Sansoni ha avuto la felice idea di of ­frire al pubblico italiano, in un ricco volume giustamente intitolato Chateaubriand: Na ­poleone (pp. 470, L. 7.000), che contiene per intero, nella tra ­duzione di Orsola Nemi, sei «libri », dal XIX al XXIV, dei Mémoires d’Outre-tombe. Una narrazione completa, che va da Ajaccio a Sant’Elena, e si fa sempre più incalzan ­te, ora poggiando su note di accanita minuzia (Chateau ­briand si è ben documenta ­to) e ora aprendosi su vasti affreschi di efficacia inegua ­gliabile, improntati a una drammatica grandiosità. E’ chiaro che l’autore si è impo ­sta l’obbiettività: cerca so ­prattutto di far parlare i fat ­ti. Ma è curioso che poco do ­po d’aver sentito chiamare Napoleone « il devastatore », e poco prima di incontrare una violenta apostrofe a questo « eroe » che « si faceva una gioia di disonorare il caratte ­re degli uomini », il lettore trovi questa confessione: « La mia ammirazione per Bona ­parte è sempre stata grande e sincera, anche quando più vivacemente lo attaccavo »: contraddizione che è sottesa a tutte le pagine e spiega la loro strenua energia.

Alla grandezza dì Napoleo ­ne come amministratore e le ­gislatore, al segno che egli ha lasciato nella nostra civiltà, Chateaubriand dedica pochi periodi come a cose accettate da tutti gli spiriti « positivi », in un giudizio conclusivo so ­stanzialmente equilibrato e nel complesso ancor valido. Chi volesse saperne di più ha a disposizione oggi un effica ­ce strumento, nella bellissima opera pubblicata dalla Libre ­ria Hachette l’anno scorso e magnificamente riprodotta ora in italiano dal Mondado ­ri: Napoleone e l’Impero (2 volumi di pp. 226 e 224, splen ­didamente illustrati a colori, L. 16.000). Diciannove capito ­li, spesso divisi a loro volta in sezioni, di studi densi ed attenti, ad opera di ventiset ­te specialisti francesi, che il ­lustrano con sobrietà e com ­pletezza non solo gli aspetti più vari dell’opera e dell’at ­tività del grande autocrate, ma la situazione delle arti e della cultura nel suo tempo e i rapporti coi diversi paesi europei.

E, per quanto riguarda l’Italia, ecco una pennellata pittoresca che togliamo dal bel volume recentissimo di Aldo Bertoluzza, Napoleone a Trento (ed. G. B. Bonauni, pp. 217, L. 3000) zeppo di no ­tizie sulle alterne e spesso mi ­serevoli vicende della città e del contado trentino fino al 1801, ricavate per lo più da manoscritti inediti e con il ­lustrazioni spesso rare e sem ­pre interessanti. Entrato la prima volta in città alle 10 del mattino del 5 settembre 1796 (relazione Tovazzi), di statura piccolo, macilento, con cappello nero tagliato al ­la Macbeth », con « l’ufficia ­lità francese logora, male in arnese e impulitissima », e i suoi laceri soldati, il generale in capo dell’Armata d’Italia interruppe bruscamente il de ­cano del Capitolo di Trento che gli parlava come rappre ­sentante del governo del Ve ­scovo-Principe (fuggito a pre ­cipizio con tutte le sue ric ­chezze): « Io non riconosco prìncipi, e voi prete vi azzar ­date d’immischiarvi in affari politici e civili: uscite entro sei ore dal territorio altri ­menti vi farò fucilare », la ­sciando il buon decano « at ­tonito ad una tal sentenza ».

Napoleone parlava da rivo ­luzionario; ma poco dopo, meravigliandosi di non sen ­tire il suono delle campane, protestò che i francesi non venivano da nemici della re ­ligione; e parlava già da po ­litico.


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Bart