STORIA: I MAESTRI: Fondazione di una città10 Agosto 2017 di Leonardo Sciascia Ad Anzio, il 12 ottobre del 1925: « Quando partecipo ad una cerimonia che consiste nella posa di una prima pie tra, io sono generalmente gri gio, perché ho constatato che talvolta l’erba cresce sulla pri ma pietra prima che vi si po si la seconda ». Ma negli ar chivi dell’istituto Luce ci sa ranno a migliaia scene in cui Mussolini appare tutt’altro che grigio alla posa di una prima pietra, e anzi con allegra de strezza, ad alludere a quella sua esperienza di muratore in Svizzera, di cui si leggeva nei libri di scuola, maneggia la cazzuola a chiudere nella pie tra il buco in cui la perga mena con la sua firma era stata calata. Da dove dunque gli veniva ad Anzio quella no ta così malinconica e scettica? Un presentimento? Una no tizia? Non pare fosse uomo da presentimenti. Forse gli era arrivata la notizia che su quel la prima pietra che l’anno avanti aveva posato in terri torio di Caltagirone, a fon dare una città di nome Mussolinia, l’erba cresceva rigo gliosa all’ombra delle querce da sughero; e aggiungendosi la notizia al ricordo degli in cidenti che avevano punteg giato il suo breve soggiorno nella città di don Sturzo, l’u mor grigio trovava piena giu stificazione. Incidenti che nel la qualità e nel ritmo fanno pensare alle comiche finali di allora: e si dispiegarono dalla sostituzione della bombetta (posata per un momento, ri presa: e il duce si ritrovò in testa un cappelluccio a ca ciotta da clown) a una salva di fischi, è il caso di dire, inaudita. A fischiare erano stati i caprai, corporazione al lora incredibilmente numerosa e di tale valentìa nel fischio da disgradare quello delle lo comotive ferroviarie. Parago ne non gratuito: ché appunto i caprai erano venuti a fischia re il capo del governo per la decisione, che si diceva il go verno avesse presa, di sospen dere i lavori della linea fer roviaria Gela-Caltagirone. Perché poi i caprai avesse ro tanta sensibilità al riguar do, è un mistero: forse va gheggiavano le erbose scarpa te demaniali su cui avventare i loro avidi branchi; forse su bivano l’influenza di qualcu no che a Mussolini voleva di mostrare quanto poco valesse la fazione locale cui aveva da to fiducia e quanto forte fosse invece l’altra che aveva re spinto. Pare sia da escludere che nei caprai agissero senti menti e risentimenti sturziani: l’avvenire della città, le sue fortune future, ormai si con fidavano a colui che, nato a Caltagirone come Giacomo Barone, sposando a Forlì Ca milla Paulucci di Calboli, era diventato Paulucci di Calboli Barone Giacomo, marchese e conte (così negli atti dell’uf ficio di stato civile di Caltagirone). In quel periodo, Gia como Barone era capo di ga binetto del ministro degli este ri, che era Mussolini: e II messaggero siciliano, quindi cinale locale, pubblicava alla vigilia della festa una foto grafia in cui l’illustre concit tadino, in piedi alle spalle del duce seduto, con un sorriso di rispettosa confidenza si chi na sul foglio che il duce sta leggendo. Inutile dire che Gia como Barone aveva parenti a Caltagirone; e tra questi uno zio che nella fazione fascista trionfante aveva un peso ov viamente considerevole. Ma veniamo alla cronaca della festa. * Proveniente da Catania, il treno presidenziale arrivò a Caltagirone la sera dell’11 maggio. Erano ad attenderlo il commissario prefettizio ono revole Benedetto Fragapane, il senatore Gesualdo Libertini, i deputati Pennavaria e Li bertini, il grande ufficiale Sil vio Milazzo, il conte Gravina, i baroni Libertini, Chiarandà e d’Urso… Si formò un corteo di sette automobili che, att raversando la città fastosa- mente illuminata, sotto una pioggia di fiori e manifestini tricolori che veniva dai balconi « rigurgitanti di signore », si fermò alla casa del fascio e prosegui poi fino alla casa del barone d’Urso, dove « il Presidente si intrattiene a conversare con le dame e gentiluomini che gli recano i loro omaggi, mentre vien ser vito un sontuoso e ricchissi mo trattamento ». Più tardi, in municipio, l’o norevole Fragapane proclama il duce cittadino onorario di Caltagirone; il duce ringrazia, attacca addirittura un discor so, dice Il messaggero sicilia no, che elettrizza il pubblico e provoca applausi schietti e reiterati. Non meno schietti e reiterati, dalla piazza, i fischi dei caprai: ma il cronista non li registra. C’è poi la visita alla mostra di ceramica e la deposizione di una corona di fiori davanti al busto di Gior gio Arcoleo, che tanto meritava per essere stato assertore della ricostruzione dello Stato e per aver prediletto tra i suoi allievi Giacomo Barone. In fine, un pranzo di cui vanno segnalati il « consumé al Tricolore » e il « dolce di stagione », cioè una cassata gelata. E non era tanto di stagione, se dalle fotografie si vede Mussolini sempre in cappotto e, l’indomani mat tina, in coppola di pelliccia o velluto, a sostituire la bom betta scomparsa. L’indomani « la nuova cit tà-giardino », dice il giornale, apparve al Presidente e al numeroso seguito tutta inon data di sole tricolore ». Non che la città ci fosse: in quel la vasta pianura fitta di quer ce e di ulivi (ottantamila al beri d’ulivo, e più erano le querce), soltanto si levavano due delle sedici torri che do vevano sorgere intorno alla piazza centrale, a punteggiare un colonnato circolare. La città, così come l’architetto Saverio Fragapane l’aveva concepita, era su una meda glia che venne offerta al duce e alle autorità presenti. Era no circa le nove del mattino quando si venne alla posa del la prima pietra. Passando da una mano all’altra, arrivò al l’onorevole Fragapane il tubo metallico che conteneva la pergamena con la scritta in latino che Mussolini doveva firmare. L’onorevole aprì il tubo: la pergamena non c’era più. Allo smarrimento succes se una frenetica ricerca. Mus solini s’innervosì: strappò un foglio da non si sa quale re gistro e scrisse quelle frasi che qualcuno fece in tempo a copiare prima che la pietra le inghiottisse: e si leggono alla pagina duecentosessantanove del ventesimo volume dell’opera omnia. Alle dieci, in automobile, Mussolini partiva per Ragusa: piuttosto « grigio », ma non dimenti cando il bellissimo mazzo di rose, della varietà Remigia, che gli aveva offerto la baro nessa Grazietta di San Marco. * La pergamena scomparsa diceva, nel latino dell’ispetto re ferroviario cavalier Nicolò Vitale e di un professore suo omonimo, che il feudo di San to Pietro, dove Mussolinia doveva sorgere, era stato do nato dal re Ruggero « ai fede li cittadini di Caltagirone ». E già la prima pietra avrebbe contenuto un falso: ché i fe deli cittadini quella terra l’a vevano pagata quarantamila tari, più la prestazione annua di altri cinquemila, più duecentocinquanta marinai da tener pronti alla chiamata del re. Ma il feudo, che si esten deva in circa cinquemila et tari di fertilissime terre, va leva l’enorme prezzo pagato: come diceva don Sturzo, Cal tagirone si poteva considera re, in rapporto agli abitanti, il più ricco comune d’Italia; e forse ancora oggi, nonostan te le spartizioni e i rosicchiamenti. « Principio sì giolivo ben conduce », direbbe il Boiardo. Quella falsificazione, quegli incidenti preparati come gags da film comico, la presenza di quei baroni, la bordata di fischi: tutto portava alla co ronale beffa di una città della cui esistenza soltanto Musso lini per qualche tempo fu il luso e Le cento città d’Italia dell’editore Sonzogno illustra rono. E pare che Mussolini ci tenesse molto, a quella cit tà cui aveva dato nome, e continuamente chiedesse no tizie e rapporti: per cui ad un certo punto, a placare la impazienza del duce, fu mon tato un album che mostrava Mussolinia in tutto il suo splendore. Forse Mussolini ebbe una certa sorpresa, a ve dere una città di villette fin de siècle al posto di quella, alquanto piacentiniana avan ti lettera, che l’architetto Fra gapane aveva concepita; ma la soddisfazione per l’opera in suo nome compiuta dove va esser tale da superare l’in sorgere della critica o della diffidenza. Ma ecco che gli venne da Caltagirone, dalla fazione fascista refoulé (e che pare fosse vicina a Starace), una fotografia in cui la città appariva in riva al mare, con la dicitura che non solo Cal tagirone aveva la sua città-satellite, la sua città-giardino, ma il mare anche, che bat teva alle sue mura. Ne venne un’inchiesta, con dotta dall’avvocato De Marsico, i cui atti e risultati re stano finora segreti. Sole vit time furono l’onorevole Fra gapane, che pagò con l’allon tanamento dalla vita pubbli ca, e il comune di Caltagi rone, che pagò il debito con tratto col Banco di Sicilia. Ma pare che il Fragapane, che uf ficialmente veniva ad essere il maggior responsabile della beffa, in realtà non ne fosse stato l’autore, e tanto meno il profittatore. I veri profit tatori non furono puniti: bi sognava troncare, sopire; che più non si parlasse di Mus solinia. E chissà se tra qual che secolo, imbattendosi nel fascicolo dedicato a Caltagirone dalla casa Sonzogno, un archeologo non si darà a sca vare nel bosco di Santo Pie tro, alla ricerca della città-giardino: e nemmeno troverà quella prima pietra, che for se è già stata furata da un cacciatore di autografi. Letto 1414 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||