STORIA: I MAESTRI: Napoleone Bonaparte. Prima attacco poi vedo28 Giugno 2014 di Raimondo Luraghi DAVID CHANDLER La letteratura italiana su Napoleone Bonaparte è sterminata. Eppure è sor prendente constatare quanto poco sia stato studiato quello che è l’aspetto fondamentale della personalità napo leonica: il militare. E quel poco è per più dovuto a uomini che non face vano prevalentemente professione di storia, come ad esempio l’indimenti cabile Waterloo, del generale Pollio. Si deve quindi salutare come un av venimento la traduzione italiana delle Campagne di Napoleone, dovuto a uno studioso britannico: David Chandler, insegnante alla Reale Accademia Mili tare di Sandhurst. Per la prima volta il pubblico del nostro Paese e i nostri studiosi hanno a disposizione un’opera che non solo offre un’analisi minuzio sa ed esauriente del pensiero strategi co e tattico di Napoleone ma che, a differenza di vecchie opere anche ec cellenti come quella del prussiano Yorch von Wartenburg, appare aggior nata in base alle esperienze pratiche ed agli studi più recenti. Il Chandler ha saputo padroneggia re, attraverso quattro anni di lavoro, una immensa bibliografia: il quadro che ne esce è grandioso, analitico e nello stesso tempo organico e comple to. Alle vicende personali e politiche di Napoleone, all’età che fu sua, l’auto re dedica quel tanto di spazio e di at tenzione che sono sufficienti ad inqua drarne in maniera sintetica la sua fi gura di generale e di stratega. E’, però, necessario osservare che egli rimanda costantemente ai maggio ri studiosi dei problemi politici (e non solo politici) dell’epoca, come Georges Léfebvre, di cui mostra un’ampia e meditata conoscenza. Ma il vero, il reale tema dell’opera è altrove. Quale fu, veramente l’essenza dell’arte mili tare napoleonica? Come avvenne che le concezioni tattiche e strategiche del grande Imperatore si generarono e si svilupparono, dai primi passi alla ma turità? E come fu che egli riuscì a mutare durevolmente e per sempre (almeno fino a questo momento) l’o rientamento dell’arte della guerra? Qual era, in sostanza, il « segreto » delle vittorie napoleoniche? Napoleone è uno dei condottieri più difficili da ridurre in schemi. Non era un artista della guerra come Epa minonda, Annibale o Lee; né un con dottiero come Caio Mario o Garibaldi il cui « segreto » stava essenzialmente nella immensa forza morale della vo lontà trascinatrice. Studiare, nella strategia di Annibale, il concetto del duplice avvolgimento d’ala come tema costante della sua strategia continuamente rivissuto e foggiato in forme nuove, estemporanee, originali e im prevedibili, è uno tra i più grandi pia ceri intellettuali. Lo stesso accade per Epaminonda e il suo attacco d’ala, o per il metodo di Lee di usare la forti ficazione campale come elemento per la manovra sia tattica che strategica. In tale senso questi tre condottieri sono probabilmente, nell’intera storia dell’arte militare, i soli le cui concezio ni strategiche più Si avvicinino ad es sere un prodotto puro di intelligenza assoluta. Nessun piano d’operazioni Ma l’arte militare napoleonica (simi le, in questo, a quella di Cesare) è ap parentemente la più inafferrabile, ap parentemente priva di un tema comu ne. E’ tuttavia parere del Chandler che tale tema esista: del resto già Jo- mini era stato di questa opinione ed aveva creduto di rintracciarlo nella manovra per linee interne. Il Pieri in un suo breve, ma fondamentale stu dio, aveva invece posto in rilievo l’uso spregiudicato della intimidazione stra tegica: ma aveva anche osservato co me il vero « schema » napoleonico fos se proprio per così dire, di non avere schemi. David Chandler dedica una serie di paragrafi allo studio delle origini stori che e della genesi del pensiero milita re napoleonico. In queste pagine (che si sarebbero volute più ampie e per cui quindi il ricorso al fondamentale studio del Colin su L’éducation militaire de Napoléon rimane indispensa bile) vengono lumeggiati tre elementi: l’influsso, cioè, esercitato su Bonaparte dalle teorie del Bourcet e del Du Teil rispettivamente sulla guerra in monta gna, sull’uso degli eserciti nazionali di massa e sull’impiego dell’artiglieria. Di questi, il terzo fu probabilmente quello in cui si espresse il contributo più propriamente napoleonico all’arte della guerra: ché gli eserciti nazionali egli li trovò già pronti, creati dall’immensa forza suscitatrice della Rivolu zione francese. La fortuna di Bonaparte fu quella di non essersi trovato troppo presto a capo di eserciti eccessivamente nume rosi. Egli evitò, così, di essere schiac ciato da compiti per cui non aveva an cora l’esperienza (come sarebbe suc cesso durante la guerra civile america na al generale McClellan). La campa gna d’Italia rimane, nel pensiero del l’autore, la chiave per tutti gli eventi successivi. Là Bonaparte sviluppò per la prima volta con immenso successo l’intimidazione strategica (Montenotte); la manovra per linee interne (Lo nato e Castiglione); e, sul piano tatti co, l’uso dell’artiglieria tenuta in pu gno dal comandante in capo per fran tumare il fronte nemico con il fuoco prima che le colonne di fanteria gli dessero, alla baionetta, il colpo finale. « Je n’ai jamais eu un pian d’operation »; « Je m’éngage, depuis je vois ». Questo era ciò che Napoleone ebbe a dire di se stesso. E per quanto rivela trici siano queste frasi circa la immen sa sua adattabilità, la sua mancanza di schemi, la sua capacità di mutare ful mineamente piani, direzioni di attac co, linee di operazione ad ogni emer genza, esse non dicono tutto. Il Chan dler mette giustamente in rilievo un altro giudizio di Napoleone: « Il fuoco deve essere concentrato su un sol pun to, ed appena una breccia si apre, l’e quilibrio è rotto e il resto non conta più nulla ». E la cosa più straordinaria è che verso quelpunto le divisioni francesi marciavano sin dall’inizio non già della battaglia, ma dell’intera campagna. Il capolavoro di Ulm Chandler mette bene in rilievo come la tattica napoleonica sul campo non fosse che la continuazione della sua logistica (cioè dell’organizzazione del le sue marce) e come il tutto si inqua drasse nella sua strategia, avente un solo fine: la massa principale del nemi co. « Io non vedo che una cosa: le mas se », egli soleva dire. La direzione del colpo principale nella sua strategia era fissata fin dall’apertura della cam pagna (pronta, beninteso, ad essere fulmineamente mutata ad un mutare di prospettive): la battaglia non era che il momento finale, l’istante in cui il suo pugno di ferro colpiva l’avversa rio dopo essere stato orientato e diret to fin dall’inizio (e, in questo senso, il capolavoro napoleonico fu probabil mente Ulm, ove, giunti i due eserciti sul campo, gli austriaci si trovarono già talmente battuti senza speranza che non rimase loro se non la resa senza combattere). In ciò si inseriva naturalmente l’im piego dell’artiglieria: non già, come nel ‘700, in funzione di semplice ap poggio sul campo di battaglia, ma co me un vero e proprio maglio che dove va vibrare il colpo (la cui forza era andata concentrandosi) esattamente nel punto più debole, colpendo il quale tutto il dispositivo avversario sal tava. Le pagine successive non sono che una stupenda esemplificazione (attra verso quadri appassionanti) del modo con cui questo fondamentale sistema fu applicato, con coerenza e lucidità impressionanti, da Austerlitz a Jena, a Wagram sino alle campagne del 1814 e del 1815 che, per non essere state vit toriose, furono nondimeno tra le più splendide della strategia napoleonica. Il Chandler, crediamo, mette bene in rilievo che a Waterloo la sconfitta fu essenzialmente tattica: il pugno cioè (per continuare nella nostra immagi ne) fu vibrato con abilità e maestria straordinarie; esso scartò con precisio ne cronometrica la guardia del nemi co; ma al momento dell’urto finale la botta non fu amministrata con la con sueta precisione e sicurezza. L’ostina ta resistenza di Wellington, l’arrivo di Bluecher (che i collaboratori di Napo leone si lasciarono « scappare » ) gli co starono la vittoria e il trono. Queste pagine su Ligny e Waterloo sono tra le più magistrali del Chandler. Water loo non può essere veramente capita che nel quadro dell’intera campagna, che fu tra le più magistrali di Napo leone. I difetti non mancano: l’organizza zione dello Stato Maggiore Generale napoleonico non è sufficientemente chiarita; l’effettivo metodo di impiego dell’artiglieria sul campo è precisato solo vagamente (scarsa è la caratteriz zazione della riserva d’Armata, così importante per intendere il pensiero militare napoleonico). Manca poi del tutto ogni analisi sul nuovo carattere di guerra « industriale » generata dalla rivoluzione tecnologica. Sarebbe inte ressante vedere fino a che punto il fuoco tambureggiante dei cannoni na poleonici fosse reso possibile dalla nuo va capacità produttiva delle fabbriche che l’incipiente rivoluzione industria le andava scatenando. Nella cam pagna di Russia, per esempio, già ap paiono chiare le linee di una strategia nuova, che avrebbe potuto estrinsecar si completamente solo con l’avvento delle ferrovie e dei telegrafi. Qui sta il vero motivo della disfatta finale del condottiero: egli aveva cercato di eri gere un edificio più imponente e più complesso di quello eh . i mezzi tecnici del suo tempo consentissero. Ma in ciò si sentono già gli echi di battaglie e di problemi futuri che egli lascerà in re taggio alle generazioni successive, ai Grant e ai Moltke. Ma tutte queste sono mende minori. Letto 1448 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||